domenica 8 gennaio 2017


Proprio qualche giorno fa, discutevo con un amico sull'utilità dei remake hollywoodiani di film stranieri, per lo più asiatici. Uno di questi, è il più conosciuto tra tutti e a più riprese gli americani hanno tentato di riproporre in chiave anglosassone e con un punto di vista puramente "all'americana" il famosissimo quanto mostruoso Godzilla. Ci hanno provato nel 1997 e fu un fallimento (se non come incassi, come rappresentazione fedele) mentre nel 2014 ci fu un riavvicinamento al concetto Godzillesco giapponese... ma ancora, non c'eravamo. Nel 2016, il Giappone ha deciso di replicare alle americanate mostrando a tutti come si realizzi un film su Godzilla, distribuendo nelle sale Shin Godzilla (o Godzilla Resurgence, in lingua inglese), un vero e proprio reboot della saga nonché film numero 30 dedicato al mostro più famoso del mondo. Il film è scritto da Hideaki Anno (noto ai più come la mente dietro l'anime Neon Genesis Evangelion) che ne cura anche la regia insieme a Shinji Higuchi.

La storia di Godzilla non è propriamente da presentare. Essendo questo un reboot, non andremo a vedere lotte tra kaiju o Godzilla l'eroe, bensì la prima apparizione del mostro che semina distruzione in quel di Tokyo col Governo nipponico che cerca a tutti i costi una soluzione al problema. Un problema che si trovano ad affrontare per la prima volta, per l'appunto, senza nemmeno andare troppo in là con la fantasia. La particolarità di questa pellicola, è proprio il realismo con cui vengono mostrate il rapporto della burocrazia e dei militari di fronte al problema. Un film molto parlato, quasi difficile da starci dietro (2 ore di film) ma che ovviamente non disdegna le parti con il mostro. Un mostro che, così come il Godzilla di Gareth Edwards, viene mostrato poco dandoci la massima concentrazione sui personaggi alle prese con la crisi.

Ma se il Godzilla americano e questo presentano le stesse dinamiche, dov'è la differenza?
Mettiamola così, non sono amante dei paragoni, specie se forzati, ma qui è doveroso. Il film della Legendary Pictures aveva dal canto suo una forte morale ambientalista ma aveva come pecca il volersi soffermare troppo su dei personaggi con zero caratterizzazione e buttarci in mezzo un sentimentalismo tipico degli anglosassoni che sarebbe anche stato sopportabile, se Godzilla non fosse apparso per 20 minuti scarsi in 2 ore di film. Un altro punto di forza, era la caratterizzazione del mostro, abbastanza fedele e che "faceva la sua bella figura", ma nel complesso, risultò come un film noioso e poco avvincente nonché con tanti (troppi) plot holes. Il Godzilla di Anno e Higuchi ha anch'esso come protagonisti dei personaggi poco caratterizzati ma se non altro funzionali alla trama: c'è un mostro che sta distruggendo Tokyo, loro sono lì per trovare una soluzione. È vero, è un film troppo parlato e dopo un'ora la pesantezza si fa sentire, ma che non si venga a dire che sia fine a sé stessa. Innanzitutto, il mostro appare con un rapporto di minutaggio maggiore rispetto alla pellicola americana, quando poi la sua realizzazione mista tra CGI e stop motion rende la sua caratterizzazione grottesca quanto più imponente. Stiamo comunque parlando anche del Godzilla più gigante della storia, con i suoi 118 metri (quello americano era di 108). Una produzione mostruosa, quindi, che ben si sposa con la storia cinematografica di Godzilla, anche per la cura nel complesso della pellicola - con addirittura un occhio di riguardo per il reparto sonoro, andando a ripescare il montaggio sonoro della pellicola originale! Un lavoro decisamente meno complesso ma più curato e fedele, rispetto al film di Edwards, ma questo si potrebbe già intuire in quanto Godzilla è pur sempre di nazionalità giapponese. Nel complesso, con questo reboot i giapponesi hanno mostrato agli americani come si fa un film su Godzilla, facendo addirittura un lavoro migliore.

In definitiva.
Credo di aver già detto tutto. Il paragone forzato, forse, stona un po' con una recensione che, di base, dovrebbero tutte essere fatte in maniera imparziale e senza andare a far paragoni. Ma tant'è, qui trattandosi di un reboot e di una rivisitazione moderna era quasi inevitabile farlo, soprattutto se pensiamo che sia realizzato soltanto due anni dopo l'uscita del film americano... e che durante il film, i personaggi lanciano giusto alcune frecciatine (del tipo "imparate da questo, USA"), quindi non è stata sicuramente una scelta a caso. Ad ogni modo, il film ha diverse trovate che vanno a differenziarsi parecchio dal concetto di Godzilla iniziale: innanzitutto, qui Godzilla è capace di evolversi autonomamente a più riprese, durante lo svolgimento del film e, a differenza di come ci veniva proposto da una decina d'anni a questa parte, viene mostrato nuovamente come il mostro e non come l'eroe, pur mantenendone le sue origini invariate. Il messaggio, a sua volta, non è ambientalista ma ce n'è traccia se pur in minima parte, ma è più concentrata sulla situazione politica/burocratica giapponese andando poi a far riferimento alla situazione post-Hiroshima riproponendo uno scenario più o meno simile (inevitabile, se parliamo del Godzilla nipponico). Tutto sommato, un film che si lascia guardare sebbene dopo un'ora di dialoghi si inizi a sbadigliare col rischio di perdersi addirittura dei passaggi importanti - vedetelo con molta attenzione, quando saprete che riuscirete a reggerlo, un film dove per il 98% sono solo ed esclusivamente dialoghi tra politici, scienziati e diplomatici.

A tal proposito, vi segnalo che il film verrà doppiato e distribuito anche in Italia, arrivando nelle nostre sale in una data imprecisata alla metà del 2017 ma per un giorno soltanto. Se ne siete incuriositi, dunque, vi invito a restare in attesa e di controllare. Shin Godzilla è sia un pretesto per far vedere agli americani come si realizzi un film su Godzilla che un ottimo film, realizzato egregiamente. E nel caso avessi scordato di dirlo: qui Godzilla, nei suoi 118.5 metri, è più cazzuto che mai!




Fu una incredibile sorpresa quando, per puro caso, mi imbattei su Amazon in Fantozzi Forever. In un primo momento, credevo si trattasse dell'ennesima raccolta in volumi di uno dei tanti libri scritti da Villaggio, ma quando scoprii che si trattava di un libro, andai in visibilio. E quindi eccomi qua, dopo averlo letto tutto d'un fiato, con la necessità di parlarne. Perché? Perché Fantozzi è uno dei miei personaggi preferiti, forse uno di quelli che mi è entrato dentro (spesso e volentieri, nelle mie storie, c'è sempre un Fantozzi che salta fuori), ma più di tutti perché con Fantozzi ci son cresciuto. E, a discapito di checché se ne dica in giro (almeno nella mia cerchia di conoscenze), non reputo affatto Fantozzi un personaggio banale, frivolo o di poco valore. Al contrario, Fantozzi è lo specchio di un'Italia sempre attuale, o meglio dell'italiano medio. Una parte di me vorrebbe dire "in pochi", ma fortunatamente non è affatto così: è risaputo che dietro il personaggio di Fantozzi ci sia una forte critica sociale e di costume, o più che critica, un vero e proprio sbeffeggiamento del nostro consueto modo di vivere. Paolo Villaggio, insomma, ritorna grazie ai disegni di Francesco Schietroma col suo personaggio più di successo: il Ragionier Ugo Fantocci! Pupazzi! Fracassi! FANTOZZI!

Il fumetto si apre con nientemeno che Paolo Villaggio in persona fare visita al ragionier Fantozzi in casa sua dove, tra una chiacchiera e un'altra, nascono vari episodi di ilarità assoluta. La prima storia, vede il ragioniere cercare di inserire il suo nipote scansafatiche, Ugo Jr., all'interno della sua vecchia azienda per assicurargli un lavoro; nella seconda è alle prese con un appuntamento galante con la (ex) signorina Silvani mentre nell'ultima si gode un'insolita vacanza con la Pina, la sua dolce metà. Tutto ciò è soltanto il pretesto per raccontare di come Fantozzi se la cavi nel nuovo millennio con le nuove tecnologie, adoperando le sue gag più classiche (e mai troppo abusate) e lo stile inconfondibile che negli anni libri e film di Fantozzi ci hanno abituato a sorridere amaramente.

Inutile dire comunque che il fumetto è indirizzato ai "fan più puri" o almeno a chi abbia saputo e sappia tutt'ora apprezzare il personaggio. Le dinamiche dei dialoghi e della narrazione si mantengono sulla stessa base e, fondamentalmente, non ne esce fuori nulla di nuovo (com'è logico che sia) se non per il contesto che risulta più uno spunto interessante per mostrare come il buon caro vecchio ragioniere (e non solo) se la cavi ai giorni d'oggi tra infernet e social networks. Difficile scovare la storia migliore, credo che vada più secondo i gusti. Personalmente, ho trovato più simpatica la vicenda con la signorina Silvani ma tutte e tre le storie presentano delle tematiche interessanti e che, senza approfondire, toccano dei punti abbastanza dolenti per la nostra società attuale. Non parlo soltanto del messaggio finale che Fantozzi lascia a Villaggio, di come suo nipote - ancora più inutile di quanto sia il nonno - lo invidi perché lui ha avuto occasioni che la nostra generazione ora come ora si sta sognando, ma ci sono realtà anche più grosse, tipo il Megadirettore Galattico, un uomo di 100 e passa anni, candidarsi in politica come se nulla fosse solo per procurarsi un'immunità tale da non mandarlo in carcere. Il tutto mettendo in mostra ogni singolo aspetto della nostra società ipocrita e menefreghista, in cui tutti perdono e a vincere sono soltanto i potenti, i vari Cobram e Megadirettori. Una descrizione amara di un'amara realtà che, anche se ne sfuggiamo con ironia fantozziana, viviamo tutti i giorni.

Discostandomi da un discorso più tecnico, vorrei spendere qualche parola per la qualità del libro. Esatto, dico libro perché - bensì sempre di fumetto si tratti - Fantozzi Forever presenta una cura a livello di rilegatura e carta veramente efficienti. I disegni sono volutamente più curati nel dettaglio dei volti, ma anche per quanto riguarda la rappresentazione dei paesaggi il discorso resta valido; il tratto caricaturale si sposa benissimo con la storia e sebbene ad un primo impatto possano risultare rozzi, nel complesso funzionano alla grande. La stessa impaginazione dona all'opera dei punti a favore, tuttavia non tutto è perfetto e Fantozzi Forever non è da meno. Il lettering è il vero pugno nell'occhio se si ha l'occhio più attento a questi dettagli. Il testo è decentrato non dico per gran parte dei balloon ma copre ugualmente un gran numero, in più sono presenti diversi errori di battitura. Errori che, ahimè, sono nulla se comparata alla qualità della narrazione ma che ugualmente toglie qualche punto per quanto riguarda la cura e l'attenzione.

In definitiva.
Salvo i difetti elencati poc'anzi, reputo Fantozzi Forever un lavoro ben riuscito.
A distanza di anni, possiamo vedere come il personaggio di Fantozzi sia ancora attuale, senza doversi per forza adattare alle regole moderne della nostra società. Al contrario, mostrare lo stesso medesimo personaggio rapportarsi al mondo d'oggi funziona addirittura meglio! Tutto questo, tuttavia si sposa perfettamente con quanto Villaggio e Schietroma ci parlano nel loro fumetto. Viviamo in un Paese dove ogni cosa resta sempre la stessa. Cambiano i tempi, ma l'italiano resta uguale. Un'amara verità, forse. O magari è solo dimostrazione che è veramente il fantozziano ad aver vinto su di noi.

martedì 3 gennaio 2017



Apro questo 2017 con una recensione fresca fresca di una recensione "a caldo" (perdonate l'ossimoro). Sebbene la serie sia stata trasmessa da ottobre e ha visto la sua conclusione a fine dicembre, ho impiegato questi primi due giorni di Gennaio a guardare la seconda stagione di Scream Queens. Della prima ne avevo già parlato precedentemente e, facendo un riassunto, l'ho praticamente elogiata dicendo come sia una delle migliori serie TV che avessi visto per il suo esilarante nonsense. Un parere, però, che a quanto pare sia soltanto mio e di pochi visto che ratings alla mano, la serie ha avuto una seconda stagione quasi a fatica visti gli scarsi numeri di ascolti avuti - e alcune persone a cui l'ho suggerita l'ha abbandonata presto, non apprezzandola particolarmente. Io ci aggiungere un bel chi-se-ne-frega, perché ritengo che una genialità di un certo tipo non può certo arrivare a tutti e sono stato alquanto contento nel riuscire ad avere una seconda stagione che mi ha entusiasmato tanto quanto la prima!

Insomma, col ritorno di Chanel e le sue minions, Chanel #3 e Chanel #5 (rispettivamente Emma Roberts, Billie Lourd e Abigail Breslin), lo scenario si sposta da una sorority ad una clinica privata, la C.U.R.E., nata per "curare gli incurabili", gestita da una rinata Cathy Munsch (Jamie Lee Curtis). Il tutto, non ignorando gli eventi scaturiti dal finale della prima stagione, ovviamente risolti alla solita maniera approssimativa a cui Ryan Murphy e soci ci hanno abituato nella prima stagione. La storia, nonostante il cambio di scenario, è molto simile - oserei dire identica - alla stagione precedente, compreso un mistero legato ad un bambino nato vent'anni prima e un misterioso serial killer con una maschera da diavolo. Dov'è la differenza? Green Meanie (letteralmente Il cattivone verde?) è appunto verde! Che sia una presa in giro da parte di sceneggiatori e produttori, credo sia abbastanza ovvio, visto che comunque i toni son quelli, basti pensare anche ai personaggi cambiati veramente poco e che non subiscono quasi nessuna evoluzione! La trama della scia degli omicidi si dilunga per l'intera stagione ma a noi poco importa sapere l'identità dell'assassino (anche perché non ci vengono dati indizi!), tuttavia - e qui sta la genialata di questa stagione! - ogni puntata scimmiotta il format delle serie TV a-là Dr. House, E.R. etc. mostrandoci un caso clinico speciale in ogni puntata che poi andrà risolto puntualmente con qualche metodo stupido e/o irrisorio - ma d'altronde, anche molte delle malattie sono veramente al di sopra dell'assurdo, ma cosa ci aspettiamo?

A mio parere, Scream Queens non ha difetti in quanto ogni singolo elemento è creato a tavolino per essere sbeffeggiato. Ma dirò di più: nonostante il nonsense, ogni puntata riesce ugualmente ad essere avvincente e stimolante, con addirittura dei cliffangher che spiazzano chiunque abbia criticato la serie per la mancanza di "uccisioni nel cast principale". I personaggi, caricaturali al massimo, riescono poi nel loro scopo e molte new entry risultano già carismatiche e capaci di far affezionare (il ché, a mio parere, è molto difficile). Parlare dei personaggi, infine, mi porta automaticamente ad elogiarne il cast! Già ho avuto modo nella precedente recensione di parlare bene di Emma Roberts e di come il ruolo di Chanel Oberlin le calzi a pennello, così come ho fatto con Niecy Nash (Denise, l'addetta alla sicurezza diventata poi agente dell'FBI) i quali toni caricaturali sono così sopra le righe al punto da essere una parodia di sé stessa (in senso positivo). In questa stagione si fa notare anche una vecchia conoscenza, la Chanel numero 5 interpretata da Abigail Breslin la quale era già esilarante e ben caratterizzata nella stagione precedente e che in qualche modo qui buca lo schermo riuscendo a risultare il più carismatico tra tutti, grazie soprattutto alla sua tenerezza e alla sua "sfigataggine". Anche Jamie Lee Curtis resta a buoni livelli, mentre gran parte del cast se la cava bene - degno di nota è a mio parere James Earl nella parte di Chamberlain, un personaggio di nicchia ma ben caratterizzato grazie sia alla scrittura del personaggio che alle doti dell'attore. Ovviamente non sto dimenticando della guest star d'eccezione, Kristie Alley, che nel ruolo di Ingrid Hoffel (ribattezzata da Chanel Awful) ha il suo giusto spazio, anche se non sempre presente.

Discutendo del nonsense e della sua destrutturazione, nella prima stagione avevo parlato di come tutto ciò fosse non altro che una pesante critica di costume incentrata sui modelli di riferimento sbagliati, sul femminismo e più di tutti sull'uso spropositato dei social media e della lobotomia di massa subita dai giovani della classe sociale media americana. In questa seconda stagione, il messaggio resta lo stesso, forse in maniera meno marcata ma presente (più evidente e diretto nell'episodio di Halloween--ops, Chanel-o-ween, pardon), non manca ugualmente una critica al sistema sanitario americano che - sempre grazia al nonsense - tocca punti delicati come il volersi creare denaro e pubblicità a discapito dei più sfortunati. Il tutto, viene visto a 360°: dottori egocentrici, praticanti incapaci o addirittura senza nemmeno aver studiato (esilarante la battuta: oggi, grazie a internet, tutti possiamo essere dottori!). Insomma, se di facciata Scream Queens è solo un circo ridondante di caricature e situazioni assurde, sotto la superficie si nasconde qualcosa di più elaborato,

In conclusione.
Io riassumerei il tutto con capolavoro, ma qui io cerco sempre di non esaltare troppo le singole opere... nonostante mi venga spontaneo etichettare Scream Queens come "geniale". Per gli amanti del nonsense, magari, può anche esserlo ma ragionandoci su, Scream Queens è davvero una di quelle serie che può arrivare solo a pochi "eletti". Il cast eccezionale, che non fatica a ridicolizzarsi nei loro ruoli caricaturali, aiuta a rendere riconoscibile uno show che ora come ora naviga nell'oblio, non essendoci notizie sulla realizzazione di una terza stagione... ma tant'è. Vista la fine di American Horror Story, altra serie realizzata da Ryan Murphy, si può sempre correre il rischio che il tutto diventi ripetitivo e senza più nulla da raccontare. Fondamentalmente, questa seconda stagione ha rischiato parecchio visto l'utilizzo riciclato della trama della prima stagione ma per me ha retto grazie alle situazioni sempre diverse in ogni episodio, parecchio aiutato dallo sbeffeggiamento dei serial TV di "stampo ospedaliero". Io non so voi, ma ho riso dall'inizio alla fine. Scream Queens resta la mia seconda serie TV preferita (se la contende parecchio con iZombie!) e spero che "fuori" ci sia qualcun altro che la pensi me come. D'altronde, ne ho proprio bisogno di una terza e ultima stagione!