giovedì 18 gennaio 2018



Guido lontano dalle luci e dal casino della festa. Stasera neanche m’andava di uscire, stare in mezzo agli altri, fingendo interesse nel conoscere nuova gente. In realtà, mi andrebbe di scrivere ma neanche quello mi riesce quindi avevo pensato sticazzi. Mi sono trascinato lì, ho bevuto un calice di vino, mangiato un rustico e sono rimasto a fissare una ragazza per tutto il tempo, fino a deprimermi al punto che me ne sono andato. Ho il blocco dello scrittore e per giunta una leggera misantropia che mi porta a pensare che tutti siano delle grandissime facce di cazzo. Ma sì, torniamocene a casa, che me ne fotte di tutto il resto. Leggerò un libro, guarderò una puntata, sigaretta, pugnetta e buonanotte.
Faccio il famoso curvone, quello che imbocca sul sottopasso e mi porta dritto a casa, ma appena svolto mi ritrovo davanti un cannolo gigante piazzato proprio al centro strada.
Penso, ok che caspita è ‘sta roba? Mi fermo e scendo dall’auto, mi ci avvicino e tutto ciò a cui penso non è neanche che cosa ci fa un cannolo qui in mezzo ma che cazzo ho fumato? No, penso nulla di strano, ho anche smesso da un po’. Forse era il rustico… quella torta alla crema di funghi… vuoi vedere che qualche stronzo ci ha messo un allucinogeno, lì in mezzo?
Ma poi a chi cazzo viene un’idea del genere? Ma poi dico, lasciarla lì a disposizione di tutti? Ma questi sono scemi? Va beh, penso. Magari può pure essere qualcos’altro, fatto sta che qualsiasi sia la spiegazione, ora c’è un fottuto cannolo gigante e vorrà pur significare qualcosa, no?
Mentre mi perdo nei miei pensieri, sento una voce che mi ricorda tanto un cartone Disney, di tanti anni fa. È tardi, è tardi! No, vabbè.
Ma non è il Bianconiglio, assomiglia più a una zoccola, cioè a un topo di fogna… però indossa anche lui un panciotto! È su due zampe e ha in mano un orologio. Resto fermo a osservarlo e la mia capacità di razionalizzare si annulla del tutto. Poi quella zoc… cioè, il topo (Biantopino! mi corregge) prende e mi intima di seguirlo. Ti perderai la festa, aggiunge mentre svanisce all’interno del cannolo.
Scuoto la testa e realizzo che, droga o non droga, a ‘sto punto voglio sapere fin dove possa spingersi ‘sta cazzata e decido di seguirlo (poi magari dopo questa, smetterò di drogarmi).
Oltrepassare il cannolo è una sensazione inspiegabile, è come attraversare una normalissima porta, ma il cambio di temperatura è repentino. Di fronte a me c’è un enorme spazio bianco che mi regala una forte sensazione di vuoto. Mi giro e mi rendo conto che non c’è una parete, sono bloccato qui, perfetto. In più, non c’è traccia del Biantopino.
Mi incammino, ignorando tutte le sensazioni negative che quel posto mi trasmette, fin quando in lontananza vedo una luce e del verde… oh, è una casetta! Che cliché allucinante, comunque m’avvicino e, una volta superata la piccola recinzione, apro la porta d’ingresso, che è aperta.
C’è nessuno? – no, non lo dico. Perché dovrei farlo? Ok, forse in questa grossa allucinazione sto commettendo violazione di domicilio, o male che vada sono ancora alla festa e chissà ‘sta droga come mi mostrerebbe due esseri umani che scopano.
Purtroppo niente di tutto questo, solo un odore di pasticceria e un bimbo chino con la testa sul tavolo, intento a disegnare. Mi ci avvicino piano, senza far rumore, poi guardo in volto il bambino e… no, dai. Sono io! Sono io a 11 anni, non può essere!
Ora riconosco anche il posto, questa è casa di mia nonna e… sì, ricordo anche come ne restavo sempre in disparte, a disegnare o a leggere un fumetto! È come guardare i propri ricordi attraverso un filmato, assurdo!
Mi avvicino a… me stesso?… giusto per vedere cosa sto disegnando, con un entusiasmo quasi fanciullesco, ma poi noto una cosa abbastanza strana. Mentre disegno con la mano destra, quella sinistra è sotto il tavolo, che si agita e… Dio, forse era meglio non vederlo!
Sono abbastanza sicuro che quelle cose, a casa di nonna, non le ho mai fatte… a 11 anni, poi! Faccio due passi indietro, schifato, poi alle spalle ecco che sbuca mia nonna.
Ho un colpo al cuore: è esattamente come la ricordavo e mi rendo conto che un po’ mi manca. La vedo posare un cannolo sul tavolo, accanto ai miei disegni, poi accarezza la testa al me bambino che ignora totalmente il gesto e continua a disegnare e a farsi la sega.
Poi nonna scompare alle mie spalle, così come l’intera casetta. Restiamo solo io, il tavolo e il giovane falegname, impegnato a disegnare. Ah, e il cannolo.
Mi avvicino al disegno, non che voglia toglierglielo di mano, per mera curiosità, ma la peste mi colpisce la mano con la matita e mi procura un taglio.
Il sangue schizza sul cannolo e su tutti i disegni, non è normale che una matita tagli in questo modo e, infatti, noto con sommo piacere che quello che ha in mano non è più una matita ma un coltello e il bimbo non è più seduto al tavolo ma è in piedi, di fronte a me. Sempre col cazzo in mano, sia mai perdesse il record mondiale.
Gli urlo un paio di insulti a caso, che neanche riesco a sentire, poi abbasso lo sguardo e gli fotto i disegni, così impara! Però non deve averla presa bene, perché alza il coltello minaccioso e mi si avvicina. D’istinto indietreggio e faccio pure bene perché quello comincia ad aumentare il passo ed eccomi che mi ritrovo a scappare da un bimbo psicopatico e pugnettaro che vuole uccidermi.
Fuggo più veloce che posso ma quello non demorde, poi di fronte a me si palesa… che cazzo c’entra Darth Vader, adesso?! Quello pure ci si mette ad agitare la spada laser e, vaffanculo, ma che razza di trip è dove vedi solo gente che ti vuole ammazzare?!
Fuggo via, nell’immenso spazio bianco, cercando di scappare al me undicenne a Darth Vader, alle navi spaziali dell’Impero, a pterodattili, nani con l’ascia, orchi, draghi, le SS, un tornado di squali, ma che cazzo è!
Poi una voce dall’alto: Quassù, presto! e a ‘sto punto m’aspetto di trovare Indiana Jones quando mi arrampico su quella corda.
Quindi mi ritrovo in uno spazio immensamente oscuro, la figura nell’ombra resta indistinta fin quando una luce soffusa lo illumina; non è Dio ma quasi: è Neil Gaiman!
Il trip ha preso una svolta inaspettata. Mentre dalla botola da cui sono salito intravedo battaglioni spaziali e personaggi dei fumetti farsi la guerra, sono su una soffitta con Neil Gaiman!
Sei nel Lato Oscuro del Cannolo, mi dice mentre penso quanto sia figo sia lui che la situazione. Poi realizzo che quel “Lato Oscuro” sia posizionato tra la pasta del cannolo e la ricotta.
Mentre sorrido come un ebete, mi mostra con un cenno della mano una TV dove mi mostra la stessa scena di poco fa nella casetta con nonna, solo che stavolta è un ricordo reale. Ci sono io, con la testa china sui disegni e la nonna che mi porta un cannolo, che prontamente ignoro. La stessa scena si ripete in diverse occasioni, in diversi momenti della mia vita. A 11 anni, poi 12, 16… poi nonna non c’è più.
E non hai mai assaggiato il cannolo, mi dice Neil Gaiman. Ha ragione, non l’ho mai fatto, ma tutto questo cosa c’entra con questo trip?
Neil fa un nuovo gesto con la mano, indicando stavolta la mia, quella in cui ho ancora i disegni che ho rubato al me stesso bambino. Quei disegni, anche se orribili, rappresentano dinosauri, navi spaziali, Darth Vader. Ok, ma non risponde alla domanda.
A cosa pensavi, prima di ritrovarti qui? mi chiede. Io scuoto le spalle e realizzo che pensavo al mio blocco, al non riuscire a scrivere.
Neil mi guarda, come se s’aspettasse dell’altro. Io mi giro, guardo verso la botola, dove al piano di sotto vedo il me undicenne ancora col cazzo in mano e rispondo alzando lo sguardo verso il cielo… eh, alla ragazza che ho fissato per tutta la sera.
Neil Gaiman sembra soddisfatto, mi sorride e sparisce nell’oscurità lasciandomi da solo, nel Lato Oscuro accanto alla botola dove al di sotto non c’è più nessuno. Poi un pezzo del soffitto, cioè la pasta, cade e una luce colpisce terra. Non ho bisogno di affacciarmi, riconosco che al di sopra c’è la festa, quella da cui sono scappato stasera.
Riabbasso lo sguardo e di fronte a me ritrovo il Biantopino accanto ad un cannolo.
Non ritorni alla festa? mi chiede. Nah, non ancora.
Non so che cazzo sia, se un allucinazione o addirittura sia in coma (non lo escludo). Dio solo sa se posso fidarmi a mangiare quel cannolo. Chi se ne fotte. Me lo mangio e me ne resto qui ancora per un po’, poi potrò ritornare alla festa.

sabato 2 dicembre 2017



Dopo mesi di silenzio, dovuta anche agli impegni portati dalla sponsorizzazione del mio libro (nel caso ve lo foste perso), torno a parlare di film horror tra le pagine dell'Oblivion Bar.
Seppur nei mesi passati non ho disdegnato l'interesse verso film più a portata di mano, come The Bye Bye Man o Auguri per la tua morte, la mia attenzione ricade sempre verso quei film apparentemente di nicchia, dico apparente perché Verónica tanto di nicchia non è, o almeno trovati un po' a caso e non distribuiti in Italia.
Il film di cui andrò a parlare oggi è di origine spagnola, scritto e diretto da Paco Plaza, conosciuto dai più per la trilogia di [REC] e, diciamocelo, già affermato regista di qualità. Come al solito, la mia recensione non vuole essere troppo pretenziosa - ribadiamo che sono le opinioni di un semplice appassionato e non di un cinefilo con vasta conoscenza del settore. Chiarito questo, passiamo alla consueta presentazione della pellicola.

Il film si apre con la premessa che i fatti narrati sono tratti da una storia vera, almeno secondo il rapporto di un ispettore incaricato ad indagare ad uno dei misteriosi omicidi avvenuti nel 1991 in un quartiere di Madrid. Verónica è una quindicenne che vive sola con le sue due sorelle gemelle e il fratello minore, cui accudisce in quanto la madre è perennemente occupata a lavorare nel bar di sua gestione. Durante una giornata di scuola, all'insaputa delle suore, organizza con le sue amiche una sessione spiritica con una tavola Ouija per parlare con il suo padre, deceduto anni prima, ma qualcosa va storto ed evocano una oscura presenza che s'insidierà nella vita di Verónica.

Detto così, sembra la tipica trama scontata, trita e ritrita nel genere horror.
Forse un po' lo è, ma Verónica sa bene distinguersi dalla massa innanzitutto per una regia impeccabile e ben curata, così come la fotografia, e da un cast sì composto da ragazzine alcune addirittura al loro debutto, ma veramente capaci (soprattutto una delle due gemelle, nella scena finale... da brividi). Ma il punto di forza di Verónica qual è, a mio avviso? Il fulcro centrale della narrazione, il non soffermarsi alla semplicistica visione "ragazzine vivono con degli spiriti nella casa/t'oh, un jumpscare", ma il volersi soffermare sull'aspetto psicologico della protagonista. Qui mi verrebbe da spoilerare il finale, ma no... non lo farò, sebbene abbia una gran voglia di parlarne.

In definitiva.
Verónica è un film horror che fa onore al genere. Ben strutturato, anche se con qualche pecca di esecuzione nel finale (ahimè, non è perfetto) ma una introspezione psicologica che salva l'intero lavoro, rendendolo interessante, nonché coinvolgente sia perché i personaggi sono scritti veramente bene, sia grazie alle eccellenti interpretazioni degli attori coinvolti. Verónica, in sostanza, parla dei deliri adolescenziali di una quindicenne intrappolata in un mondo di fantasia perché non ancora cresciuta del tutto, indicherei anche una sottile critica sociale che sono riuscito a ricondurre solo grazie ad una intervista fatta al regista che, anziché riportare, preferisco rimandare al link.

Un 2017 più che buono per l'horror, che di base è un genere abbastanza bistrattato, ma che grazie a registi come in questo caso Paco Plaza, si sta riscattando a dovere. L'horror visto da un'ottica più introspettiva, interiorizzato, che tratta il paranormale non come banalissimo espediente per regalare jumpscare gratuiti ma per narrare effettivamente qualcosa (qui il passaggio all'età adolescenziale) è il genere di horror che a me piace e di cui penso la cinematografia abbia bisogno. Più volte ci siamo ritrovati davanti a film horror che sanno spaventare, addirittura anche risultare divertenti, ma film che raccontano qualcosa negli ultimi tempi sembravano davvero essere rari.

Se dovessi dare un voto a Veronica, darei un 8/10 perché penalizzato da un finale che, secondo me, è stato eseguito male nonostante fosse azzeccato e sensato. Un peccato, perché per me sarebbe stato un 10 pieno. Consigliatissimo, da vedere agli appassionati del genere sicuramente, allo spettatore occasionale sperando non sia tra quelli così esigenti da non sapere neanche quali siano le proprie esigenze.

venerdì 11 agosto 2017



Uno dei principali motivi per cui non ho più scritto recensioni nel mio blog è stato, ahimè, il non essere riuscito a trovare un'opera che mi avesse colpito così tanto da volerne scrivere qualche riga. Quest'oggi invece sono qui, a parlare di The Noise, fumetto horror tutto italiano edito dalla Editoriale Cosmo (e realizzato inizialmente con l'Ora Pro Comics del compianto Ade Capone) con la sceneggiatura di Pietro Gandolfi accompagnato dai disegni di Nicola Genzianella.

Di cosa parla The Noise?
Semplicemente raccoglie, in 160 pagine, tre storie parallele apparentemente slegate tra loro se non per l'evento che sta scombussolando l'intera popolazione americana: un forte rumore assordante e incessante sta portando alla follia le persone. In men che non si dica, le strade diventano teatro di una violenza inaudita e senza ritegno nei confronti di chi non è "influenzato" da questo rumore. Esattamente, perché se questo suono (udibile da chiunque) porta ad una vera e propria follia primordiale ad alcuni soggetti, c'è chi ne rimane misteriosamente immune. I nostri protagonisti, ognuno di una città differente, sono tra questi ultimi e lottano disperatamente per la sopravvivenza. La particolarità di questa storia? Uno dei protagonisti che seguiamo è un serial killer psicopatico e ricercato dalla polizia per violenti crimini verso donne i quali cadaveri vengono brutalmente deturpati.

Inutile dire che le premesse di The Noise sembrano quantomeno banali, ma con un espediente originale, l'atmosfera a-là invasione zombie assume un intrigante spunto iniziale, se andiamo poi a precisare che fin dall'inizio ci viene fatto intendere che un racconto di zombie non si tratta, la voglia di continuare a leggere è tanta per comprendere di cosa realmente si tratti. Specie se contiamo che ha un inizio al cardiopalma, uno dei migliori che io abbia mai letto in un fumetto.

Pochi spoiler sulla storia, se non un paio di commenti a caldo: la sceneggiatura è perfetta, la narrazione scorre bene ed è un fumetto fatto come si deve, ovvero che dà il giusto equilibrio qualitativo tra narrazione e disegni, quindi in nessuno dei due "campi" si va per strafare per dare una impronta che possa far valorizzare maggiormente un aspetto rispetto all'altro. Unica nota stonata? La Cosmo ci piazza in copertina la dicitura STORIA COMPLETA, ma di una storia completa non si tratta in quanto il racconto si conclude sul più bello. Possiamo trarne, però, un aspetto positivo sulla qualità inattaccabile del fumetto di per sé: troppo perfetto per non vederne una continuazione.

Spero vivamente che Gandolfi sia al lavoro con il secondo ciclo narrativo, perché dopo aver letto il primo, si sente la necessità di storie horror a fumetti come The Noise. Così come io ne sento il bisogno di andare a riscoprire questo autore anche come romanziere di genere horror.

martedì 18 luglio 2017



Post abbastanza inusuale, oltretutto dopo un lungo periodo di silenzio sul blog.
Ne approfitto per pubblicizzare il mio primo libro di prossima uscita 3:33; trattasi di un antologia horror racchiudente cinque racconti di genere. Il libro è acquistabile sia su Amazon che su IBS (link associati).

La descrizione del libro:
3:33 è l’Orario del Diavolo. Esso si manifesta in diverse forme: ombre spettrali, figure inquietanti, mostri cannibali, assassini dall’aspetto di personaggi folkloristici… ma soprattutto, noi stessi. 
Il Diavolo è insidiato in noi: è quella voce che ci fa desiderare qualcosa al punto tale da far del male a noi stessi, alle volte è così in profondità da contaminare i nostri ricordi più puri. 
3:33 raccoglie cinque racconti horror di natura diversa che ci rivelano che non serve fuggire dal Diavolo: siamo noi stessi il Male.

Si apre, quindi, un nuovo capitolo con questa nuova esperienza che, almeno spero, segni l'inizio di una serie di pubblicazioni in quanto nel corso degli anni ho gettato su carta molte idee ancora da sviluppare e almeno fino ad oggi queste continuano ad arrivare. Non che mi piaccia lodarmi o autocelebrarmi, il tempo mi dirà se quello dello scrittore sia un ruolo che mi compete o meno. Con la speranza che tutto vada per il verso giusto e che il libro possa apparire in qualche libreria d'Italia e incuriosire quanti più lettori, forse un giorno potrò anche coronare quello che è il mio sogno più grande: scrivere fumetti. O anche soltanto uno, poi potrò morire felice.
Scherzi a parte, 3:33 viene pubblicato grazie alla LFA Publisher ed è già prenotabile su varie piattaforme e vedrà la sua uscita cartacea (si presume in libreria e per chi lo prenota già da ora) verso gli inizi di agosto 2017. Ovviamente, ringrazio la casa editrice che mi ha permesso di cominciare questa "avventura" con la speranza (ancora, ma ripetiamoci che non fa mai male) che possa proseguire per molto altro tempo.

La prima di copertina è stata realizzata da Monica Tieppo, "in arte" Montié (potete trovare i suoi lavori sulle sue pagine Facebook, Instagram e Blogger), una mia carissima amica nonché studentessa della Scuola Internazionale di Comics in Veneto. In copertina sono racchiusi un po' tutti gli elementi delle storie inserite nella raccolta che, per "esclusiva" andrò ad elencare di seguito:


  • 3:33: il racconto che porta il titolo alla raccolta. Un ragazzo (o una ragazza?) si sveglia nel cuore della notte e un gatto nero lo accompagna in luoghi in cui lui (o lei) non vuole andare;
  • Alice: Alice è una ragazza come le altre... se non fosse che il mondo attorno a lei è diverso da quello che tutti noi vediamo. In quella che potrebbe risultare un accostamento alla Alice Liddell di Lewis Carroll, la "nostra" Alice cerca di vivere la sua vita in maniera spensierata, anche se le ombre della notte e la Foresta Vivente cercano in ogni modo di trascinarla a sé nell'oscurità;
  • Contaminazione: Diario di un sopravvissuto: Roma, futuro non ben precisato. Un'epidemia zombie, scaturita non si sa come, ha decimato la popolazione italiana. I confini sono stati chiusi, contenendo l'epidemia. L'Italia è divenuta Terra di Nessuno, pochi sono i sopravvissuti che possono documentare quanto sia accaduto - e stia accadendo. Uno di questi è il nostro protagonista, il quale attraverso il suo diario ci porterà a comprendere gli eventi che hanno portato a questa piccola apocalisse italiana;
  • Dualismo: ognuno di noi vive la propria vita ancorato alle responsabilità, senza una via di fuga e vivendo alla giornata. Alcuni di noi vive con la costante sensazione di non avere un futuro. Vito è uno di questi ma, grazie all'incontro con una strega, scopre come poter separare la sua anima dal corpo ed inseguire i propri sogni;
  • Venerdì di Quaresima: un gruppo di amici decide di prendersi una pausa dagli esami universitari organizzando un festino in una casa sperduta accanto al mare. Peccato, però, che nei dintorni si consuma una recente leggenda metropolitana che coinvolge un killer psicopatico che se ne va in giro vestito da Pulcinella... in quella che potrebbe risultare una parodia di Venerdì 13, il famoso slasher movie.
Con la speranza che questi racconti possano risultare quanto meno interessanti, vi invito ad acquistare il libro e, nell'eventualità che ne sentiate il bisogno, recensirlo o farlo quantomeno girare. Sia chiaro, io non scrivo storie perché ricerco fama o successo, ma perché mi piace farlo. Scrivere non è la mia passione, raccontare storie lo è. E dai, se queste stesse storie riescono ad appassionare e soprattutto divertire qualcuno, la soddisfazione più grande sarà proprio questa.

mercoledì 15 febbraio 2017



Durante una mia "escursione" in una fumetteria di Secondigliano di proprietà di un mio amico, mi sono imbattuto in un volume impolverato, quasi abbandonato, coperto dal volume di Total Overfuck. Avevo cominciato a sfogliare proprio quest'ultimo quando l'occhio mi è caduto su Erotico Nero, un fumetto italiano edito da AbsoluteBlack che, sarà per la copertina minimalista e la mia incondizionata curiosità verso il poco noto, mi ha lasciato completamente indifferente all'opera da me sfogliata quasi come essere attratto da una forza inspiegabile. Completamente differente dal fumetto che stavo sfogliando attimi prima, ho deciso di comprarlo istintivamente, colpito dal fatto che - a differenza di Total Overfuck - intendesse puntare su qualcosa di differente dal semplicistico porno gore. Di cosa tratta quest'opera, dunque? Erotico Nero è un'antologia erotica che racchiude tre storie completamente differenti l'uno dall'altro.

La prima storia, Proserpina e il Principe Nero, è a tutti gli effetti una fiaba erotica (c'è chi direbbe fantasy, ma è chiaramente una fiaba) e vede i testi di Susanna Raule accompagnati dai disegni di Simone Buonfantino. Il breve racconto vede il viaggio di Proserpina assieme al Principe Nero sfociare in un'insolita passione inespressa, raccontando un erotismo più psicologico, ben lontano dall'essere romantico, restando comunque poetico, a suo modo. Segue, poi, Paolo e Francesca di Valentino Sergi, racconto dal tono horror e che ben si distacca dalla visione poetica del racconto precedente. Il protagonista, Paolo, è affetto da una deformazione che gli impedisce di vivere una vita sessuale appagante con la compagna Francesca, fin quando però non fa un patto con un demone.

Prima di passare al terzo racconto, soffermiamoci sui primi due.
Iniziamo col parlare brevemente dei disegni: se in Proserpina e il Principe Nero si distingue per un tratto molto particolareggiato ed elegante e che rende giustizia alla narrazione della Raule, Dario Vitti in Paolo e Francesca ha un tratto decisamente più semplice ma svolge il suo lavoro alla perfezione sia nelle scene erotiche che nella rappresentazione del demone. Per quanto riguarda i temi affrontati, ho già detto come in Proserpina e il Principe Nero si tratti l'erotismo in chiave poetica ma voglio soffermarmi un attimo per elogiare il fatto che tratti il tema erotico nella maniera più giusta e concreta. Si parla di erotismo, attrazione che arriva principalmente da un fattore psicologico, una attrazione che prescinde dalla semplice e scontata attrazione fisica, senza nemmeno sfociare nell'ormai abusato romanticismo, che è a mio avviso un concetto totalmente estraneo, se parliamo di opere erotiche. Non a caso, il finale riassume esattamente questo concetto - pur rimanendo nella concezione fiabesca data alla narrazione - e resta fedele al "Nero" del titolo della raccolta. Ma se Susanna Raule apre con un tono più elegante, Paolo e Francesca ci catapulta in una psicologia più cupa, quello di uno storpio che non accetta la sua deformità e che è pronto a sacrificare ogni cosa pur di raggiungere il suo solo benessere. Di contro, potremmo dire che qui l'erotico è più del lavoro del disegnatore, in quanto la tematica è tutt'altro che incentrata sulla passione vera e propria, anzi vuole più mettere a nudo il lato più oscuro della sessualità. Insomma, possiamo comunque notare come già tra la prima e la seconda storia c'è un enorme distacco di tematica, il ché ci porta alla terza storia.


Tipologie di un amore fantasma: Lydia Schneemann è forse la più forte e ribelle delle tre. Scritta da Andrea Barone sui disegni di Valentino Biagetti, è dichiaratamente dedicata a Carolee Schneemann e Lydia Lunch, due icone del movimento femminista. La protagonista infatti porta il nome di Lydia Lunch, che sembrerebbe aver girato uno snuff porno e ucciso la sua vittima, dopo averla torturata e narra il suo punto di vista ad un interlocutore invisibile durante un interrogatorio. La storia si concentra maggiormente sul ruolo di dominazione nel sesso, lanciando poi un messaggio più ampio e decisamente positivo - o se non altro, che può portare a riflettere. Attraverso la protagonista, l'autore utilizza lo strumento della violenza per lanciare chiaro il suo messaggio per poi mettere in chiaro il vero scopo: smuovere le menti, aprire nuovi orizzonti e accettare il sesso, l'erotismo, in ogni sua forma, senza alcun tipo di convenzione sociale. Il tutto, in un'opera che ha dei toni molto forti e sconsigliati ad un pubblico fin troppo impressionabile ma che non utilizza la violenza fine a sé stessa, il ché non può che essere una cosa positiva.

In conclusione.
Erotico Nero si presenta come un fumetto ben realizzato e che mantiene un buon ritmo di narrazione e un perfetto equilibrio tra qualità narrativa e disegni. Posso solamente dire come Erotico Nero rappresenti in tutto e per tutto la mia visione sull'argomento sesso: dall'erotismo passionale, quello tanto ambito e cui vorresti goderne per l'eternità, a quello egoistico che ci fa sentire solamente meglio con noi stessi e, infine, al sesso puro, senza freni e tabù. L'inserimento della parola Nero all'interno del titolo resta comunque più che azzeccato, in quanto le tre storie trattano l'argomento in una chiave sia cupa che cinica, ma è una vera e propria opera erotica, che non sfocia in banalità o pre-concetti.

In definitiva, fumetto consigliatissimo.
La rilegatura è buona e la qualità della carta è soddisfacente, considerato anche il prezzo abbastanza scarno. E se vi è piaciuto o vi ha convinto, vi consiglierei di farvi un giro sul sito della AbsoluteBlack, il quale pare avere un catalogo abbastanza interessante!

domenica 8 gennaio 2017


Proprio qualche giorno fa, discutevo con un amico sull'utilità dei remake hollywoodiani di film stranieri, per lo più asiatici. Uno di questi, è il più conosciuto tra tutti e a più riprese gli americani hanno tentato di riproporre in chiave anglosassone e con un punto di vista puramente "all'americana" il famosissimo quanto mostruoso Godzilla. Ci hanno provato nel 1997 e fu un fallimento (se non come incassi, come rappresentazione fedele) mentre nel 2014 ci fu un riavvicinamento al concetto Godzillesco giapponese... ma ancora, non c'eravamo. Nel 2016, il Giappone ha deciso di replicare alle americanate mostrando a tutti come si realizzi un film su Godzilla, distribuendo nelle sale Shin Godzilla (o Godzilla Resurgence, in lingua inglese), un vero e proprio reboot della saga nonché film numero 30 dedicato al mostro più famoso del mondo. Il film è scritto da Hideaki Anno (noto ai più come la mente dietro l'anime Neon Genesis Evangelion) che ne cura anche la regia insieme a Shinji Higuchi.

La storia di Godzilla non è propriamente da presentare. Essendo questo un reboot, non andremo a vedere lotte tra kaiju o Godzilla l'eroe, bensì la prima apparizione del mostro che semina distruzione in quel di Tokyo col Governo nipponico che cerca a tutti i costi una soluzione al problema. Un problema che si trovano ad affrontare per la prima volta, per l'appunto, senza nemmeno andare troppo in là con la fantasia. La particolarità di questa pellicola, è proprio il realismo con cui vengono mostrate il rapporto della burocrazia e dei militari di fronte al problema. Un film molto parlato, quasi difficile da starci dietro (2 ore di film) ma che ovviamente non disdegna le parti con il mostro. Un mostro che, così come il Godzilla di Gareth Edwards, viene mostrato poco dandoci la massima concentrazione sui personaggi alle prese con la crisi.

Ma se il Godzilla americano e questo presentano le stesse dinamiche, dov'è la differenza?
Mettiamola così, non sono amante dei paragoni, specie se forzati, ma qui è doveroso. Il film della Legendary Pictures aveva dal canto suo una forte morale ambientalista ma aveva come pecca il volersi soffermare troppo su dei personaggi con zero caratterizzazione e buttarci in mezzo un sentimentalismo tipico degli anglosassoni che sarebbe anche stato sopportabile, se Godzilla non fosse apparso per 20 minuti scarsi in 2 ore di film. Un altro punto di forza, era la caratterizzazione del mostro, abbastanza fedele e che "faceva la sua bella figura", ma nel complesso, risultò come un film noioso e poco avvincente nonché con tanti (troppi) plot holes. Il Godzilla di Anno e Higuchi ha anch'esso come protagonisti dei personaggi poco caratterizzati ma se non altro funzionali alla trama: c'è un mostro che sta distruggendo Tokyo, loro sono lì per trovare una soluzione. È vero, è un film troppo parlato e dopo un'ora la pesantezza si fa sentire, ma che non si venga a dire che sia fine a sé stessa. Innanzitutto, il mostro appare con un rapporto di minutaggio maggiore rispetto alla pellicola americana, quando poi la sua realizzazione mista tra CGI e stop motion rende la sua caratterizzazione grottesca quanto più imponente. Stiamo comunque parlando anche del Godzilla più gigante della storia, con i suoi 118 metri (quello americano era di 108). Una produzione mostruosa, quindi, che ben si sposa con la storia cinematografica di Godzilla, anche per la cura nel complesso della pellicola - con addirittura un occhio di riguardo per il reparto sonoro, andando a ripescare il montaggio sonoro della pellicola originale! Un lavoro decisamente meno complesso ma più curato e fedele, rispetto al film di Edwards, ma questo si potrebbe già intuire in quanto Godzilla è pur sempre di nazionalità giapponese. Nel complesso, con questo reboot i giapponesi hanno mostrato agli americani come si fa un film su Godzilla, facendo addirittura un lavoro migliore.

In definitiva.
Credo di aver già detto tutto. Il paragone forzato, forse, stona un po' con una recensione che, di base, dovrebbero tutte essere fatte in maniera imparziale e senza andare a far paragoni. Ma tant'è, qui trattandosi di un reboot e di una rivisitazione moderna era quasi inevitabile farlo, soprattutto se pensiamo che sia realizzato soltanto due anni dopo l'uscita del film americano... e che durante il film, i personaggi lanciano giusto alcune frecciatine (del tipo "imparate da questo, USA"), quindi non è stata sicuramente una scelta a caso. Ad ogni modo, il film ha diverse trovate che vanno a differenziarsi parecchio dal concetto di Godzilla iniziale: innanzitutto, qui Godzilla è capace di evolversi autonomamente a più riprese, durante lo svolgimento del film e, a differenza di come ci veniva proposto da una decina d'anni a questa parte, viene mostrato nuovamente come il mostro e non come l'eroe, pur mantenendone le sue origini invariate. Il messaggio, a sua volta, non è ambientalista ma ce n'è traccia se pur in minima parte, ma è più concentrata sulla situazione politica/burocratica giapponese andando poi a far riferimento alla situazione post-Hiroshima riproponendo uno scenario più o meno simile (inevitabile, se parliamo del Godzilla nipponico). Tutto sommato, un film che si lascia guardare sebbene dopo un'ora di dialoghi si inizi a sbadigliare col rischio di perdersi addirittura dei passaggi importanti - vedetelo con molta attenzione, quando saprete che riuscirete a reggerlo, un film dove per il 98% sono solo ed esclusivamente dialoghi tra politici, scienziati e diplomatici.

A tal proposito, vi segnalo che il film verrà doppiato e distribuito anche in Italia, arrivando nelle nostre sale in una data imprecisata alla metà del 2017 ma per un giorno soltanto. Se ne siete incuriositi, dunque, vi invito a restare in attesa e di controllare. Shin Godzilla è sia un pretesto per far vedere agli americani come si realizzi un film su Godzilla che un ottimo film, realizzato egregiamente. E nel caso avessi scordato di dirlo: qui Godzilla, nei suoi 118.5 metri, è più cazzuto che mai!




Fu una incredibile sorpresa quando, per puro caso, mi imbattei su Amazon in Fantozzi Forever. In un primo momento, credevo si trattasse dell'ennesima raccolta in volumi di uno dei tanti libri scritti da Villaggio, ma quando scoprii che si trattava di un libro, andai in visibilio. E quindi eccomi qua, dopo averlo letto tutto d'un fiato, con la necessità di parlarne. Perché? Perché Fantozzi è uno dei miei personaggi preferiti, forse uno di quelli che mi è entrato dentro (spesso e volentieri, nelle mie storie, c'è sempre un Fantozzi che salta fuori), ma più di tutti perché con Fantozzi ci son cresciuto. E, a discapito di checché se ne dica in giro (almeno nella mia cerchia di conoscenze), non reputo affatto Fantozzi un personaggio banale, frivolo o di poco valore. Al contrario, Fantozzi è lo specchio di un'Italia sempre attuale, o meglio dell'italiano medio. Una parte di me vorrebbe dire "in pochi", ma fortunatamente non è affatto così: è risaputo che dietro il personaggio di Fantozzi ci sia una forte critica sociale e di costume, o più che critica, un vero e proprio sbeffeggiamento del nostro consueto modo di vivere. Paolo Villaggio, insomma, ritorna grazie ai disegni di Francesco Schietroma col suo personaggio più di successo: il Ragionier Ugo Fantocci! Pupazzi! Fracassi! FANTOZZI!

Il fumetto si apre con nientemeno che Paolo Villaggio in persona fare visita al ragionier Fantozzi in casa sua dove, tra una chiacchiera e un'altra, nascono vari episodi di ilarità assoluta. La prima storia, vede il ragioniere cercare di inserire il suo nipote scansafatiche, Ugo Jr., all'interno della sua vecchia azienda per assicurargli un lavoro; nella seconda è alle prese con un appuntamento galante con la (ex) signorina Silvani mentre nell'ultima si gode un'insolita vacanza con la Pina, la sua dolce metà. Tutto ciò è soltanto il pretesto per raccontare di come Fantozzi se la cavi nel nuovo millennio con le nuove tecnologie, adoperando le sue gag più classiche (e mai troppo abusate) e lo stile inconfondibile che negli anni libri e film di Fantozzi ci hanno abituato a sorridere amaramente.

Inutile dire comunque che il fumetto è indirizzato ai "fan più puri" o almeno a chi abbia saputo e sappia tutt'ora apprezzare il personaggio. Le dinamiche dei dialoghi e della narrazione si mantengono sulla stessa base e, fondamentalmente, non ne esce fuori nulla di nuovo (com'è logico che sia) se non per il contesto che risulta più uno spunto interessante per mostrare come il buon caro vecchio ragioniere (e non solo) se la cavi ai giorni d'oggi tra infernet e social networks. Difficile scovare la storia migliore, credo che vada più secondo i gusti. Personalmente, ho trovato più simpatica la vicenda con la signorina Silvani ma tutte e tre le storie presentano delle tematiche interessanti e che, senza approfondire, toccano dei punti abbastanza dolenti per la nostra società attuale. Non parlo soltanto del messaggio finale che Fantozzi lascia a Villaggio, di come suo nipote - ancora più inutile di quanto sia il nonno - lo invidi perché lui ha avuto occasioni che la nostra generazione ora come ora si sta sognando, ma ci sono realtà anche più grosse, tipo il Megadirettore Galattico, un uomo di 100 e passa anni, candidarsi in politica come se nulla fosse solo per procurarsi un'immunità tale da non mandarlo in carcere. Il tutto mettendo in mostra ogni singolo aspetto della nostra società ipocrita e menefreghista, in cui tutti perdono e a vincere sono soltanto i potenti, i vari Cobram e Megadirettori. Una descrizione amara di un'amara realtà che, anche se ne sfuggiamo con ironia fantozziana, viviamo tutti i giorni.

Discostandomi da un discorso più tecnico, vorrei spendere qualche parola per la qualità del libro. Esatto, dico libro perché - bensì sempre di fumetto si tratti - Fantozzi Forever presenta una cura a livello di rilegatura e carta veramente efficienti. I disegni sono volutamente più curati nel dettaglio dei volti, ma anche per quanto riguarda la rappresentazione dei paesaggi il discorso resta valido; il tratto caricaturale si sposa benissimo con la storia e sebbene ad un primo impatto possano risultare rozzi, nel complesso funzionano alla grande. La stessa impaginazione dona all'opera dei punti a favore, tuttavia non tutto è perfetto e Fantozzi Forever non è da meno. Il lettering è il vero pugno nell'occhio se si ha l'occhio più attento a questi dettagli. Il testo è decentrato non dico per gran parte dei balloon ma copre ugualmente un gran numero, in più sono presenti diversi errori di battitura. Errori che, ahimè, sono nulla se comparata alla qualità della narrazione ma che ugualmente toglie qualche punto per quanto riguarda la cura e l'attenzione.

In definitiva.
Salvo i difetti elencati poc'anzi, reputo Fantozzi Forever un lavoro ben riuscito.
A distanza di anni, possiamo vedere come il personaggio di Fantozzi sia ancora attuale, senza doversi per forza adattare alle regole moderne della nostra società. Al contrario, mostrare lo stesso medesimo personaggio rapportarsi al mondo d'oggi funziona addirittura meglio! Tutto questo, tuttavia si sposa perfettamente con quanto Villaggio e Schietroma ci parlano nel loro fumetto. Viviamo in un Paese dove ogni cosa resta sempre la stessa. Cambiano i tempi, ma l'italiano resta uguale. Un'amara verità, forse. O magari è solo dimostrazione che è veramente il fantozziano ad aver vinto su di noi.

martedì 3 gennaio 2017



Apro questo 2017 con una recensione fresca fresca di una recensione "a caldo" (perdonate l'ossimoro). Sebbene la serie sia stata trasmessa da ottobre e ha visto la sua conclusione a fine dicembre, ho impiegato questi primi due giorni di Gennaio a guardare la seconda stagione di Scream Queens. Della prima ne avevo già parlato precedentemente e, facendo un riassunto, l'ho praticamente elogiata dicendo come sia una delle migliori serie TV che avessi visto per il suo esilarante nonsense. Un parere, però, che a quanto pare sia soltanto mio e di pochi visto che ratings alla mano, la serie ha avuto una seconda stagione quasi a fatica visti gli scarsi numeri di ascolti avuti - e alcune persone a cui l'ho suggerita l'ha abbandonata presto, non apprezzandola particolarmente. Io ci aggiungere un bel chi-se-ne-frega, perché ritengo che una genialità di un certo tipo non può certo arrivare a tutti e sono stato alquanto contento nel riuscire ad avere una seconda stagione che mi ha entusiasmato tanto quanto la prima!

Insomma, col ritorno di Chanel e le sue minions, Chanel #3 e Chanel #5 (rispettivamente Emma Roberts, Billie Lourd e Abigail Breslin), lo scenario si sposta da una sorority ad una clinica privata, la C.U.R.E., nata per "curare gli incurabili", gestita da una rinata Cathy Munsch (Jamie Lee Curtis). Il tutto, non ignorando gli eventi scaturiti dal finale della prima stagione, ovviamente risolti alla solita maniera approssimativa a cui Ryan Murphy e soci ci hanno abituato nella prima stagione. La storia, nonostante il cambio di scenario, è molto simile - oserei dire identica - alla stagione precedente, compreso un mistero legato ad un bambino nato vent'anni prima e un misterioso serial killer con una maschera da diavolo. Dov'è la differenza? Green Meanie (letteralmente Il cattivone verde?) è appunto verde! Che sia una presa in giro da parte di sceneggiatori e produttori, credo sia abbastanza ovvio, visto che comunque i toni son quelli, basti pensare anche ai personaggi cambiati veramente poco e che non subiscono quasi nessuna evoluzione! La trama della scia degli omicidi si dilunga per l'intera stagione ma a noi poco importa sapere l'identità dell'assassino (anche perché non ci vengono dati indizi!), tuttavia - e qui sta la genialata di questa stagione! - ogni puntata scimmiotta il format delle serie TV a-là Dr. House, E.R. etc. mostrandoci un caso clinico speciale in ogni puntata che poi andrà risolto puntualmente con qualche metodo stupido e/o irrisorio - ma d'altronde, anche molte delle malattie sono veramente al di sopra dell'assurdo, ma cosa ci aspettiamo?

A mio parere, Scream Queens non ha difetti in quanto ogni singolo elemento è creato a tavolino per essere sbeffeggiato. Ma dirò di più: nonostante il nonsense, ogni puntata riesce ugualmente ad essere avvincente e stimolante, con addirittura dei cliffangher che spiazzano chiunque abbia criticato la serie per la mancanza di "uccisioni nel cast principale". I personaggi, caricaturali al massimo, riescono poi nel loro scopo e molte new entry risultano già carismatiche e capaci di far affezionare (il ché, a mio parere, è molto difficile). Parlare dei personaggi, infine, mi porta automaticamente ad elogiarne il cast! Già ho avuto modo nella precedente recensione di parlare bene di Emma Roberts e di come il ruolo di Chanel Oberlin le calzi a pennello, così come ho fatto con Niecy Nash (Denise, l'addetta alla sicurezza diventata poi agente dell'FBI) i quali toni caricaturali sono così sopra le righe al punto da essere una parodia di sé stessa (in senso positivo). In questa stagione si fa notare anche una vecchia conoscenza, la Chanel numero 5 interpretata da Abigail Breslin la quale era già esilarante e ben caratterizzata nella stagione precedente e che in qualche modo qui buca lo schermo riuscendo a risultare il più carismatico tra tutti, grazie soprattutto alla sua tenerezza e alla sua "sfigataggine". Anche Jamie Lee Curtis resta a buoni livelli, mentre gran parte del cast se la cava bene - degno di nota è a mio parere James Earl nella parte di Chamberlain, un personaggio di nicchia ma ben caratterizzato grazie sia alla scrittura del personaggio che alle doti dell'attore. Ovviamente non sto dimenticando della guest star d'eccezione, Kristie Alley, che nel ruolo di Ingrid Hoffel (ribattezzata da Chanel Awful) ha il suo giusto spazio, anche se non sempre presente.

Discutendo del nonsense e della sua destrutturazione, nella prima stagione avevo parlato di come tutto ciò fosse non altro che una pesante critica di costume incentrata sui modelli di riferimento sbagliati, sul femminismo e più di tutti sull'uso spropositato dei social media e della lobotomia di massa subita dai giovani della classe sociale media americana. In questa seconda stagione, il messaggio resta lo stesso, forse in maniera meno marcata ma presente (più evidente e diretto nell'episodio di Halloween--ops, Chanel-o-ween, pardon), non manca ugualmente una critica al sistema sanitario americano che - sempre grazia al nonsense - tocca punti delicati come il volersi creare denaro e pubblicità a discapito dei più sfortunati. Il tutto, viene visto a 360°: dottori egocentrici, praticanti incapaci o addirittura senza nemmeno aver studiato (esilarante la battuta: oggi, grazie a internet, tutti possiamo essere dottori!). Insomma, se di facciata Scream Queens è solo un circo ridondante di caricature e situazioni assurde, sotto la superficie si nasconde qualcosa di più elaborato,

In conclusione.
Io riassumerei il tutto con capolavoro, ma qui io cerco sempre di non esaltare troppo le singole opere... nonostante mi venga spontaneo etichettare Scream Queens come "geniale". Per gli amanti del nonsense, magari, può anche esserlo ma ragionandoci su, Scream Queens è davvero una di quelle serie che può arrivare solo a pochi "eletti". Il cast eccezionale, che non fatica a ridicolizzarsi nei loro ruoli caricaturali, aiuta a rendere riconoscibile uno show che ora come ora naviga nell'oblio, non essendoci notizie sulla realizzazione di una terza stagione... ma tant'è. Vista la fine di American Horror Story, altra serie realizzata da Ryan Murphy, si può sempre correre il rischio che il tutto diventi ripetitivo e senza più nulla da raccontare. Fondamentalmente, questa seconda stagione ha rischiato parecchio visto l'utilizzo riciclato della trama della prima stagione ma per me ha retto grazie alle situazioni sempre diverse in ogni episodio, parecchio aiutato dallo sbeffeggiamento dei serial TV di "stampo ospedaliero". Io non so voi, ma ho riso dall'inizio alla fine. Scream Queens resta la mia seconda serie TV preferita (se la contende parecchio con iZombie!) e spero che "fuori" ci sia qualcun altro che la pensi me come. D'altronde, ne ho proprio bisogno di una terza e ultima stagione!

venerdì 30 dicembre 2016



Come già detto più volte tra queste pagine, il 2016 ha regalato un bel po' di bei film. C'è chi parla di Dr. Strange o Rogue One, ma ringraziando il cielo la scelta è vasta e il film di cui andrò a parlare non è di certo stato molto chiacchierato, nonostante una campagna virale sul web capace di attirare l'attenzione. Sto parlando di Morgan, film che vede il debutto alla regia di Luke Scott, figlio d'arte del già conosciuto e pluripremiato Ridley. Il film, che si basa sulla sceneggiatura di Seth W. Owen, è di genere fantascientifico e vede come protagoniste Kate Mara nel ruolo dell'agente Lee Weathers e Anya Taylor-Joy in quello di Morgan.

Pubblicizzato nei social media con l'hashtag #WhatIsMorgan, il tema centrale di questa storia è proprio questo: capire cosa è Morgan. L'interrogativo, tuttalpiù, se lo pone lo spettatore mentre l'intero cast del film sa già la risposta. Lo sanno l'equipe di scienziati che vivono con Morgan in una casa di campagna (adiacente ad un bunker dov'è rinchiuso il soggetto che porta il titolo del film) e lo sa con certezza l'agente Weathers, che è stata inviata dai suoi superiori per comprendere se il progetto Morgan è un successo o un totale fallimento.

Con questi pochi elementi, viene costruito un soggetto a dir poco interessante che, sì potrebbe risultare abbastanza scarno complice anche la poca durata della pellicola (un'ora e trenta), ma che racchiude un senso profondo, una visione del genere umano che - manco a farlo apposta - rimanda un po' ai temi utilizzati dal papà del regista, Ridley Scott, nella sua pellicola Alien e approfonditi poi in Prometheus. Che sia un caso o meno, poco importa, fatto sta che il figlio Luke ha imparato molto dal padre. La regia è impeccabile, la narrazione procede spedita e non annoia. Un plauso va anche per le (poche) scene d'azione presente nel film, le quali evitano di "strafare" rimanendo su dei binari più semplicisti. Il finale, poi, non è affatto telefonato ma qui evito di fare spoiler. Morgan è in fin dei conti un film corto, senza tante pretese, ma che si lascia guardare con delizia e il messaggio lanciato alla conclusione del film (riassumibile in il genere umano è affascinante tanto quanto orribile e manipolatore) dà quel tocco in più. Se forse sto riempiendo di elogi questo film e, una volta visto, pensate che io abbia esagerato, beh... io ammiro Morgan per la capacità di risultare semplice con una struttura narrativa profonda e un'identità tutta sua.

Come ho detto, per me Morgan è a mani basse uno dei film più belli di questo 2016, uno di quei progetti che - una volta tanto - si è saputo vendere grazie ad un utilizzo ponderato dei social media. Ovviamente, il discorso si pone al contrario per quanto riguarda la nostra penisola, il quale film non ha avuto la benché minima considerazione e nei cinema è passato per un singolo giorno. Vabbè. Un'uscita in home video, comunque, è prevista quindi vi consiglio di recuperarla appena possibile (in realtà in digitale sarebbe anche disponibile, ma ancora, noi italiani abbiamo appena cominciato a saper usare i social network, tempo al tempo).

Infine, chiudo con questa "recensione" un po' corta il 2016 dell'Oblivion Bar.
Ho postato decisamente poco, rispetto al 2015, ma è stato un anno frenetico che mi ha permesso comunque, tra alti e bassi, di poter crescere "artisticamente". Sto parlando del mio desiderio di poter scrivere racconti e, se tutto va bene, avrei alcuni progetti per l'anno in entrata che spero di riuscire a mandare in porto. Salvo ripensamenti, sperando non ce ne siano. Quindi, che dire, prendiamoci una pausa tutti insieme, avrò molto da scrivere, leggere, guardare e giocare, ma per il momento la mente è indirizzata al concludere questo anno in fretta. Ai pochi lettori (che spero ce ne siano, lol) auguro un buon fine anno. Ci leggiamo l'anno prossimo!


lunedì 26 dicembre 2016



L'edizione natalizia di Colazione da Bruno dà il via alla trasformazione definitiva di questa "rubrica" che dal recensire esclusivamente film del fu Mattei Bruno passerà a revisionare tutti i b-movie visionati col mio ormai compagno di visioni orribili, Marcello. I film visionati questo Natale sono stati tre, rispettivamente nel seguente ordine: 7 dell'Infinito contro i Mostri Spaziali, House (a.k.a. Hausu) e A Christmas Horror Story. Solitamente, passo a recensire i film nell'ordine di visione ma stavolta farò un'eccezione, andando per gradi di apprezzamento. Iniziamo, quindi, con...

7 dell'Infinito contro i Mostri Spaziali
Possono mai un'ora e venticinque sembrare otto ore? Ho visto questo film e mi sono sentito invecchiare man mano che s'andava avanti. Oddio, che parolone, non va avanti, non va da nessuna parte. Alla fine non ho capito se i mostri spaziali sono i lucertoloni (draghi di comodo ripresi combattere in una riproduzione su scala), le aragoste giganti con le faccie più simpatiche di sempre o i vampiri coi denti usciti dalle buste di patatine... che poi, ma le fanno ancora le patatine con la sorpresa? Non ne vedo in giro da parecchio, mi ricordo che da piccolino ce n'erano un botto, tipo quelle che portavano come sorpresa degli alieni di nonsochematerialeappiccicoso che mia madre odiava tanto. Se sto divagando con altri argomenti è perché è quello che ho fatto durante tutto il film. Se volete la recensione, compratevi Il dizionario dei film brutti a fumetti, Davide La Rosa è riuscito a renderlo più interessante di quello che è, perché davvero è una martellata nei coglioni. Che poi, la genialata è che il film è stato ripreso in parte a colori e in parte su pellicola in bianco e nero non so perché, così che gli sceneggiatori (delle scimmie ammaestrate, senza offesa per tale categoria) hanno pensato di ribadire a più riprese che degli alieni (forse i vampiri, boh non l'ho capito!) hanno installato un dispositivo che altera le tonalità cromatiche nell'atmosfera. Bella la scena in cui un tipo sulla Terra in due minuti scopre come hanno fatto quegli alieni costruendo un dispositivo simile che va ad alterare il filtro della pellicola della scena in cui appare l'attrice a cui sta facendo l'inutile spiegone. Non sto facendo uno sfottò, davvero in quella scena il tipo utilizza l'arma contro la tizia e l'unica "tonalità cromatica dell'atmosfera" che si va a modificare è la singola inquadratura della donna. Tutto sommato, ha l'idea carina di mostrare come sulla Terra non si usi più "fare l'amore come un tempo": i coniugi, infatti, si collegano le sinapsi in dei macchinari. Interessante, davvero, ricorda Demolition Man però comunque i tizi si toccano e si baciano, quindi che cazzo ne so. Come se non bastasse, il film è intervallato da scene tagliate ma sono così tante che viene il dubbio su quanto sia la durata effettiva del film! Poi abbiamo scoperto che nel DVD c'è proprio l'edizione italiana con scene totalmente nuove (prese poi chissà dove) e un montaggio un po' fatto a cazzo di cane perché troppo frenetico però decisamente meno noioso. A quel punto stavamo pensando di praticare l'Harakiri, però avevamo altri due film da vedere, quindi abbiamo desistito. Prossimamente, recensiremo quella versione. Andiamo avanti.

A Christmas Horror Story
Questo, a dire il vero, è stato l'ultimo film da noi visionato, ma come ho detto, si va per indice di gradimento. Questo film è stato il nostro film natalizio (La spada nella roccia e Una poltrona per due ci ha stufato) e decisamente non si può catalogare come film brutto, perché brutto brutto non è. Realizzato bene, con un tema principale veramente figo, inoltre vede la partecipazione speciale di William Shatner! Di cosa parla, insomma? Questo film ha il poster più figo di sempre, Santa Claus contro il Krampus (un demone natalizio) ma questi due sono soltanto due storie separate, perché questa pellicola racchiude ben quattro storie differenti strutturate non ad episodi ma scorre via via col film. Abbiamo una coppia di colore il cui figlio viene posseduto da un troll natalizio, un trio di adolescenti rimasti chiusi nella loro scuola mentre indagano su degli omicidi avvenuti lo scorso Natale, una famiglia che fugge dal Krampus e Babbo Natale alle prese con i suoi folletti tramutati in zombie! Bello, vero? Infatti, la parte di Santa Claus è la più figa di tutte, il resto del film ha alcune trovate interessanti ma non decolla più di tanto. William Shatner è utilizzato piuttosto male (forse se gli avessero dato un copione con più battute), le varie storie sono originali e accattivanti, tranne per la parte dei ragazzi nella scuola che utilizza un tema trito e ritrito. Il trucco del Krampus e la caratterizzazione di Santa Claus sono quelle che mantengono in vita l'interesse, il film di base però rischierebbe di finire nel dimenticatoio se non fosse per quel finale che cambia le carte in tavola. Si sarebbe potuto fare decisamente meglio, ma questo film è stata una bella rivelazione. Consigliato!

Ora, il piatto forte!

House / Hausu
House è il film di debutto di Nobuhiko Obayashi, regista sperimentale giapponese che realizza il capolavoro di una vita. La trama non è necessaria raccontarla, perché quasi fa di contorno e non è neanche interessante: sette ragazze vanno in una casa infestata dove appare un gatto e un fantasma. In realtà, c'è tutta una storia più articolata di così ma chi se ne frega, perché il film va visto per come è stato realizzato. Scene assurde, psichedelico su alcuni punti e trash in altri, lascia nello spettatore delle emozioni contrastanti. All'inizio sembra un film brutto, realizzato male e con delle scene che sfiorano - no, scusate - toccano il ridicolo... ma la cosa bella è che se pur arriva a toccare il fondo, risulta interessante per vedere cos'altro s'è inventato il regista! In venti minuti, il film è già follia pura, in un'ora e trenta il vostro cervello sarà fottuto completamente. Difficile davvero recensire questa pellicola, racchiude veramente troppi elementi, perché non è un film banale, tocca tematiche interessanti e nella narrazione ci sono frammenti di qualcosa di veramente più grosso di quel che sembra, il tutto contornato da una personalità forte, prorompente e diversa. Diversa in ogni campo, ma principalmente diversa per il panorama del cinema giapponese, strizzando l'occhio al cinema americano ma riuscendo a sua volta a diventare qualcosa di più. Tim Burton, quando parla di liberare la creatività deve chiudere la bocca perché è un signor nessuno, Obayashi è in confronto a lui un Dio e questo film ne è la prova vivente. L'intero film riesce a sembrare una continua sequenza onirica e addirittura in certe parti riesce a dare l'impressione di assistere a scene in dormiveglia - presente quando vi svegliate con la TV accesa e non capite esattamente cosa state guardando? Ecco, quella sensazione lì, solo che voi siete svegli e coscienti! Paragono questo film a due pellicole: la prima, è La Casa 2 per l'ambientazione, la storia e la follia da cazzeggio (è stato realizzato comunque prima). La seconda è Eraserhead per il semplice motivo che le emozioni che ho provato sono state molto simili, sebbene indirizzate verso direzioni differenti. Nel film di David Lynch, rimasi inquietato mentre con Obayashi ho riso tutto il tempo, però mi hanno dato entrambe la sensazione di vivere in un sogno, appunto. Poi, vorrei veramente aggiungere altro, ma credo che questo film vada visto per intero e poi giudicato. Scene memorabili: troppe. Voglio solo ricordarlo così:


Ricordate di tenere d'occhio quello scheletro, durante il film.

E dopo questa splendida recensione (scritta e non riletta, quindi non corretta!), Colazione da Bruno ritornerà l'anno prossimo con altre recensioni di film di merda! Un buon 2017 e... va beh, su vi regalo qualche altra perla da Hausu. Ciao!