martedì 16 giugno 2015



Ultimamente sto un po' facendo pena, riguardo i film.
Ne sto vedendo pochissimi, molti dei quali sono film un po' vecchiotti (mi sto un po' rifacendo) ma ogni tanto trovo del tempo per alcuni horror, che è un po' il genere che nell'ultimo anno ho riscoperto un po' come il mio genere preferito. Tra titoli visionati e gettati nella spazzatura, altri di cui vorrei parlare ma ho un po' paura a farlo (potrebbe risaltare la mia ignorantosità!) ho scelto The Pyramid perché 1) l'ho visto solo ieri, 2) anche se non mi è piaciuto molto, mi sono reso conto che effettivamente ne vale la pena parlarne. E siccome stasera avevo voglia di scrivere, eccoci la mia consueta pseudo-recensione!

The Pyramid è uno pseudo mockumentary horror ambientato in Egitto e gira attorno alla scoperta di una nuova piramide la cui particolarità è che questa abbia tre lati. Perché "pseudo mockumentary" ci arriverò più tardi. Ritengo ci sia poco da scrivere a riguardo, in quanto la cosa bella di questo film è che gran parte dell'hype su questo film lo ha fatto il trailer, cosa da non sottovalutare. Ultimamente si è un po' perso il senso del trailer, il quale fondamentalmente dovrebbe dare uno spunto per far interessare la gente a vedersi il film mentre ora c'è quel tentativo di creare hype con millemila trailer diversi dove, alla fine, ci si spoilera mezzo film. Insomma, spariamoci 'sto trailer (ve lo metto in italiano, perché so che quei miei 3-4 lettori abituali sono, almeno 2 o 3, pigri).



Interessante? No? Ci ho provato.
The Pyramid parte con questa presupposta delle antiche leggende "reali" che ancora oggi si tramandano e che sono entrate nell'immaginario più comune, ma nel film non c'è traccia, anzi la storia si concentra proprio sulla scoperta di questa nuova piramide e non c'è traccia alcuna di insulsi spiegoni, buttandoci direttamente all'interno del film che, ricordiamo, è diretto da Grégory Levasseur sulla sceneggiatura di Daniel Meersand e Nick Simon. Prodotto da quelli de Le colline hanno gli occhi, piccola nota inutile ma comunque da annotare.

Il film, come già detto, dovrebbe essere un mockumentary ovvero, quei film che vogliono farci credere che sia tutto un filmato amatoriale. Però, tendo a precisare che dovrebbe esserlo, in quanto a tratti prima e per gli ultimi 10 minuti di film poi, i registi si saran dimenticati cosa stavano girando e il film ha ripreso a scorrere come un film qualunque; potrebbe risultare anche una scelta stilistica voluta, ma secondo me spezza parecchio. Ci ritroviamo in un film dove sembra ci vogliano regalare qualcosa di curioso, introducendo la telecamera dal "robottino" Shorty, che altri non è che una di quelle sonde che inviano su Marte, per poi passare alla ripresa più classica da "telecamera in spalla e via". Di solito odio a morte i paragoni, però qui è dovuto visto che le atmosfere ricordano molto quelle di Necropolis, film bellissimo che consiglio a tutti (anziché guardarvi The Pyramid!), solo che qui le aspettative calano parecchio. Da degli effetti che ricordano una computer grafica  da inizio anni 2000 a una trama che, se pur nel fascino da "antico mistero", finisce nel banale in maniera molto grezza. Non mi sento di salvare molto di questo film, lo reputo come un qualcosa che può facilmente lasciarsi scivolare via e perderselo senza nemmeno essersene pentiti, però credo sia un peccato perché elementi interessanti nella sceneggiatura ce ne sono eccome.

Oltre proprio al già citato fascino che possa ispirare l'antico Egitto (io stesso ne sono accanito), la storia introduce delle origini sugli antichi déi che spaziano da antiche culture popolari di epoche antiche anche di tribù differenti all'astrologia. Anubi (l'amatissimo dio cane, sì sono caduto anche io in questa battuta ignorante e scontata ghgh) viene rappresentato come un dio "cattivo" proveniente, forse, dallo spazio ed è interessante notare a riguardo come non abbiano nemmeno voluto dare una spiegazione vera e propria lasciando intendere due spiegazioni differenti di diversa natura, mistica o ufologica (si può dire?) che sia. Insomma, gli elementi ce li ha tutti per risultare un bel film, ma nel complesso credo che non ci si perda assolutamente nulla perché, appunto, numerose sono le pecche di questo film, compresi dei grossolani buchi di sceneggiatura o alcune illogicità. Peccato.

In conclusione, The Pyramid lo consiglio per una serata tranquillissima e a chi guardando un film non ha molte pretese. Dal canto mio, che cerco sempre di non buttar via nulla di ciò che guardo, dico che purtroppo ci ritroviamo a un genere di film che vuole ricalcare il successo di altre pellicole trattanti lo stesso tema da "antico mistero" risalente a culture popolari e leggende metropolitane, ma ci riesce proprio poco. Una bella idea sviluppata un po' malaccio, ma tant'è.

giovedì 11 giugno 2015



Giuro che stavolta non so da dove cominciare.
Allora, iniziamo col dire che io, iZombie, l'ho adorato. E sto parlando del fumetto di Roberson e Allred (ne scrissi anche in passato, elogiandolo a dovere). Questa serie TV, diciamocelo, non ha NIENTE a che vedere con la serie se non per: il titolo, l'idea, la sigla - che è disegnata da Mike Allred. Fine, nient'altro. Detto ciò, è possibile che un fissato come me con l'idea che una qualsiasi opera derivante da un fumetto debba almeno avvicinarsi di parecchio alla sua base si appassioni ad una serie che parla praticamente di tutt'altro? La risposta è un . Direi meno di un no, anzi, perché lì dove la serie decide di perdere parte della sua identità che ha decretato il successo riesce comunque a cavarsela bene e a proporre qualcosa che si adatti maggiormente al gusto di un pubblico di massa, cosa che fondamentalmente, diciamocelo, è necessario per far soldoni ma soprattutto per mandare avanti una serie, senza però perdere quel tocco di originalità che riesca ad accattivare e a tenere incollati allo schermo ogni settimana. Ma come al solito, andiamo per gradi.

La protagonista di iZombie è Olivia "Liv" Moore, studentessa di medicina che dopo una festa in barca vede la sua vita completamente sconvolta. Dopo esser stata graffiata da uno zombie, questa viene infettata e tramutata in uno di questi; nonostante il suo aspetto da morta-vivente, Liv riesce a mantenere la sua umanità. Come? Mangiando cervelli! Oltre a riuscire a mantenere il controllo di sé, questa particolare dieta le conferisce anche momentaneamente i ricordi della vittima e alcuni tratti della sua personalità. Quest'ultima è l'elemento che causerà numerosi siparietti divertenti nel corso della serie, mentre il primo dono sarà quello che permetterà a Liv di vivere in pace con sé stessa aiutando le vittime a scoprire i loro assassini, perché a proposito, Liv oramai lavora in obitorio insieme al collega Ravi (che conosce il suo segreto) ed è a stretto contatto col detective Babineaux che, sebbene non conosca la vera natura di Liv, si serve di lei credendola una sensitiva. Questi tredici episodi ci hanno raccontato, in breve, un caso da risolvere in ogni puntata, i rapporti di Liv con la sua coinquilina, col suo ex-fidanzato Major, con la sua famiglia e infine una battaglia contro Blaine, lo zombie che l'ha tramutata che nel frattempo ha infettato mezza città creandosi una sorta di piccolo impero sul traffico di cervelli umani. Non mancano ovviamente le storie d'amore e le multinazionali che ci sono dietro all'epidemia zombie.

Per chi avesse familiarità col fumetto,
ha appena notato che con esso la serie TV non c'entra assolutamente N I E N T E. Gwen Dylan è diventata Liv Moore, i ricordi sulla sua vita passata svaniti mentre Liv addirittura è ancora in contatto con la sua famiglia; niente cani mannari o fantasmi spuntati dagli anni '50, niente mummie, vampiri, Abramo Lincoln e via dicendo. Tutto questo, però, trova un riscontro positivo in quanto il fumetto proposto da Chris Roberson è effettivamente troppo folle per un pubblico di massa, facendo di conseguenza in modo che il tutto venisse fatto in modo che il pubblico potesse digerire quell'accenno di folle che comunque la serie innegabilmente possiede, una piccola porzione rispetto al caos generatosi nel fumetto. Quindi niente persone reincarnate in scimpanzé parlanti o cervelli nelle caffettiere, sì a una società di zombie senzienti che si muovono all'interno della società all'oscuro di tutti e di una detective improvvisata che cambierà atteggiamento verso il mondo in ogni episodio generando un personaggio poco complesso, forse, ma decisamente ironico e carismatico. Personaggio, comunque, che per dovere di notifica che per critica, viene ricomposto prendendo anche un po' spunto dal personaggio di Angela Crawford della serie di My Life as a White Trash Zombie di Diana Rowland, serie di libri mai arrivata in Italia che narra di una ragazza zombie, emarginata dalla società e con lo stesso problema di Gwen e Liv, la quale per avere libero accesso ai cervelli decide di lavorare in un obitorio. Esatto, proprio come Liv, al contrario di Gwen che lavorava in un cimitero, una scelta decisamente più macabra rispetto all'obitorio.


Per chi non lo avesse letto,
invece, iZombie è una serie che gioca un po' con il cinismo anche se non del tutto in maniera pesante. Ha anche del black humor, ma non esagera mai. È una serie che fa del grottesco un'arma di ironia irriverente, un elemento che riesce a donarle un'identità tutta sua e che, se pur mantenendo dei toni molto leggeri, può risultare godibile anche per chi l'adolescenza l'ha superata anni e anni fa, come me appunto. Sicuramente non ci si trova di fronte ad una serie che possa rivoluzionare il modo di fare TV, forse non arriva nemmeno ad essere una di quelle che riesce ad appassionare a tal punto da non vedere l'ora che esca l'ultimo episodio ma dal canto suo riesce ugualmente a creare suspance, i climax sono gestiti in maniera coerente e lineare, in poche parole non cerca di superare le aspettative e non è una nota negativa, tutt'altro. Anziché strafare, cerca di restare coerente, e questo non può che essere una cosa bella.

In definitiva.
Ho sempre paura quando devo dare il mio parere, perché quasi sempre riesco a dare due pareri contrastanti che possano sembrare il mio modo di pensare incoerente. Cominciamo col dire le cose che non mi sono piaciute. Avrei voluto vedere Gwen Dylan, il terrier mannaro ed Ellie - soprattutto Ellie. Tuttavia, come già premesso poco su, capisco i motivi della scelta di eliminare alcune caratteristiche della serie quindi diciamo che queste note negative le ho superate e ho cercato di godermi la serie, che ad essere sincero, per me ci ha messo tanto a decollare. Sono stato in stand-by per i primi sette episodi, cercando di capire su cosa volesse puntare la serie e quando l'ho capito, non sono rimasto molto colpito, ad essere sincero è capitato moltissime volte di essermi distratto, però tutto sommato mi ha divertito. Non c'entrerà un cazzo col fumetto, ma è una serie TV che è riuscita a possedere un'identità tutta sua, che sia andata anche oltre al target adolescenziale sul quale vuole puntare. Forse di detective dell'ignoto (scusa DyD) ne abbiamo visti a bizzeffe... ma uno zombie, mai. E non con l'umorismo grottesco che possiede iZombie. A braccia aperte attenderò questa seconda serie, perché a dirla tutta, Rose McIver ci sta dannatamente bene nei panni di Liv Moore, e nel complesso mi sono divertito. Commento finale: iZombie non è una serie che tenta di stupire, è semplicemente qualcosa di dannatamente nuovo che è adatto per una serata tranquilla per chi si è stufato di serie TV che possiedono fin troppe pretese.

martedì 9 giugno 2015



Continua la carrellata di emozioni.
C'è chi direbbe che magari sono io in un periodo di eccessiva sensibilità, ma ciò di cui parlerò stavolta è un'altra opera che a mio avviso merita di esser letta. Sia chiaro, ben lungi dall'essere quell'opera matura ed epica a-là Wonder Woman di Azzarello, tutt'altro; stiamo parlando comunque di un fumetto con toni se vogliamo adolescenziali, molto più leggera. E stavolta non stiamo nemmeno parlando dei Nuovi 52, bensì del pre-Flashpoint (o pre-reboot, che dir si voglia) e vale a dire le avventure dell'ultima Batgirl, Stephanie Brown, prima di sparire nell'oblio con il reboot che ha restituito il mantello a Barbara Gordon, la Batgirl originale della Silver Age (perché, ricordiamo, la prima Batgirl è in realtà Betty Kane).

La storia di questa nuova Batgirl va a ripescare un personaggio ricorrente nelle storie di Batman; Stephanie Brown, che in passato si era fatta un nome con l'identità di Spoiler prima e passato un giorno come Robin poi. Personaggio che fu tutt'altro che di nicchia, in quanto protagonista nella famosissima Trilogia della Guerra narrata da Bill Willingham. In quell'occasione, Stephanie arriva addirittura a vestire il manto di Robin rischiando quasi la vita. La storia narrata da Brian Q. Miller fa numerosi accenni a quanto avvenuto, ma precisamente ha il suo inizio nel momento in cui Cassandra Cain, la precedente Batgirl, decide di abbandonare l'identità di Batgirl dopo la morte di Bruce Wayne avvenuta sulle pagine di Crisi Finale. È quindi Stephanie che ne raccoglie l'eredità, e tenta di riscattare sé stessa sia nella sua vita privata, dove si è riconciliata con la madre e frequenta l'università, sia nei panni di Batgirl, dove grazie all'aiuto di Oracolo/Barbara Gordon riuscirà ad ottenere più fiducia in sé stessa e finalmente ad avere il controllo totale della sua vita.

Come già accaduto in passato con Helena Bertinelli (Cacciatrice) e Cassandra Cain, Barbara non accetta con facilità che qualcun altro si appropri dell'identità da lei costruita nel passato e tenta in ogni modo di dissuaderla, fin quando non accetterà anche lei la verità, ovvero che Stephanie è un'ottima erede per quel ruolo che una volta fu suo. Affiancata da Oracolo e dalla figlia di Calculator, Proxy, Stephanie Brown intraprende questo viaggio affrontando sia nemici classici del bat-verso (Clayface, Roxy Rocket, Dr. Phosphorus) che una setta segreta creata apposta dall'autore che vedrà tra le proprie fila un personaggio ben noto e tutt'altro che scontato. Con dei toni molto leggeri, le avventure di Batgirl vengono raccontate con una leggerezza disarmante, dove l'umorismo che ne fa cornice è un tocco in più che è capace di far amare il personaggio di Stephanie Brown al punto da far rimpiangere la sua scomparsa nei Nuovi 52, nonostante la sua ricomparsa solo due anni dopo ma con il manto di Spoiler, perdendo un po' quell'aura magica e divertente attorno al personaggio tra le pagine di Brian Miller.

Aver letto questa run mi ha causato nuovamente il rammarico di aver abbandonato il vecchio Universo DC in un momento in cui tutto stava riacquistando coerenza e aveva autori decenti nella stragrande maggioranza delle testate. Non solo Batgirl è a sé stante una run molto divertente che, se pur leggera, ha una filosofia di base accattivante ma riesce anche a incastrarsi in una continuity non molto facile da gestire: quella della Batman Inc., dove si vedono numerosi personaggi di Gotham City coinvolti. La capacità, poi, di utilizzare personaggi esistenti anziché crearne di nuovi come ora sta accadendo nel Nuovo Universo DC il quale crea solo scompiglio e caos, è ancora di più un'idea intelligente in quanto va a ripescare personaggi carismatici nati dalle serie TV, come Livewire e Roxy Rocket, e non, evitando così di farli cadere nel dimenticatoio e dare ai lettori una voglia in più di leggerli. Voglio dire, meglio Roulette che un altro villain a caso di cui non sentiremo la mancanza perché probabilmente non verrà più rivista, no? A tal proposito, degno di nota anche come l'intera serie tenti di omaggiare il buon caro The Adventures of Batman degli anni '90 arrivando anche a inserire non solo i personaggi già citati, ma anche Gray Ghost, personaggio televisivo fittizio nato per l'appunto nella serie animata.

Insomma, Brian Miller ci regala l'ultima Batgirl, una ragazza solare e impossibile da non amare. Ci dona delle storie fantastiche, una di quelle che i fumetti al giorno d'oggi hanno disperatamente bisogno, e a dimostrazione di ciò è proprio l'ultimissmo numero della run dove c'è un ultimo omaggio nientemeno che a Per l'uomo che ha tutto di Alan Moore. Tra nemici bizzarri, dialoghi che spezzano la quarta parete in maniera intelligente e team-up divertenti, ricordiamo questa run come l'ultimo addio, almeno per il momento, ad un personaggio carismatico e, non da meno, alla fantasia.




Quante storie avete letto di Wonder Woman?
Che siano "tutte" o solo quelle importanti, la run di Azzarello rientra a mani basse fra le migliori storie di Wonder Woman mai raccontate. E non parliamo di una run come quella di Straczinsky con Odissea, che ben riuscito a celebrare la storia di Diana donandole un nuovo appeal, e nemmeno di un George Pérez o di un qualsiasi autore che sia approdato su Wonder Woman e abbia fatto bene. Azzarello, in una run durata ben tre anni è riuscito ridefinire l'eroina ridimensionandola e allo stesso tempo celebrarla inserendo lei stessa e la mitologia da cui il personaggio stesso deriva nell'epoca moderna.

Quando nel 2011 la DC Comics rilanciò tutte le sue testate ai numeri uno, cancellando quanto fatto finora in 75 anni, Wonder Woman non fece parte di quei pochi (Batman e Lanterna Verde) che non dovettero subire l'azzeramento totale. Forte dall'ultima run già sopra citata di Straczinsky, la DC Comics ebbe la buona idea di affidare l'eroina ad Azzarello e al suo collega disegnatore Cliff Chiang la testata dandogli campo libero, senza dover a tutti i costi far partecipare la testata ai vari crossover e agire di testa sua. Il risultato è un'opera al pieno del suo potenziale, che la sua interezza va esplorata sin dalle prime pagine dei primi numeri, cosa che va scovata ovviamente una volta rilettasi l'intera opera (cosa che io ho fatto) sia dal punto di vista narrativo, che stilistico che nella caratterizzazione dei personaggi. Ma andiamo per gradi, senza correre troppo.

La storia.
La storia di Azzarello parte su uno scenario desolato, una casetta sperduta in Virginia e una strana donna che decapita dei cavalli per poi farli rinascere come centauri solo per uccidere una giovane donna, Zola. Al suo fianco, uno strano uomo blu con i piedi d'uccello, Ermes il messaggero degli dèi, che mette in salvo la donna inviandola da Wonder Woman la quale mette alla fuga i due centauri e inizia così la sua missione. Scopre, così, che Zola porta in grembo l'ultimo figlio di Zeus, il quale è ben noto per le sue scappatelle terrene già nella mitologia, e viene a sapere non solo che proprio Zeus è scomparso ma anche di una profezia che vede un trono dell'Olimpo minacciato da un nuovo dio che ne ucciderà un altro. Per questo, sulle tracce del bambino non ancora nato di Zola ci sono Era, la quale ha come missione l'uccisione di ogni figlio bastardo nato da una relazione fedifraga del marito infedele, e Apollo il quale ambisce al trono stesso ponendo fine alla vita del bambino in modo tale da cancellare la profezia. Abbiamo, quindi, una prima fase della storia dove si andranno a scoprire i personaggi quali ruoteranno attorno alla storia (Diana, Zola, il fratellastro Lennox sempre nato da una relazione di Zeus con una mortale), le rivisitazioni degli dèi del Pantheon riadattati visivamente all'epoca moderna, e infine vengono rivelati i legami di sangue, ovvero una sorta di presentazione alle varie faide familiari che magari chi conosce la mitologia ne è già a conoscenza. Ultima ma non ultima, infine, vengono svelate le nuove origini di Diana, ovvero non più una statua di argilla ma figlia di Zeus e Ippolita.

Dopo aver esplorato l'Olimpo, l'Ade e fatto conoscenza col Re dei Mari, la seconda parte vede l'introduzione del villain, il Primogenito, colui che darà filo da torcere all'Amazzone e che reclama l'Olimpo per sé. Nel mentre, Azzarello decide di introdurre anche una chicca, ovvero i Nuovi Dèi di Nuova Genesi, nello specificio Orion il quale si risulterà un perfetto alleato per Diana e soci. Con l'aiuto di quest'ultimo, infatti, la seconda fase si conclude con la prima caduta del Primo Genito e il passaggio di ruolo di dio della Guerra da Ares a Diana. Infine, c'è una terza fase che avrà come centralità la preparazione della guerra e il rivelarsi della profezia già narrata nel primo numero. Non mancano i colpi di scena nel finale, uno di quelli che davvero è capace di creare un nodo alla gola, non tanto per le emozioni che riesce a dare anche per la capacità con cui, alla fine e con un po' di memoria ricordandosi frasi dette e avvenimenti nei numeri precedenti, tutto scorre in maniera logica e soprattutto coerente. [SPOILER] Atena, l'unica dèa lasciata da parte in tutta la storia e di cui si fa solo un accenno a metà storia, si rivela essere Zola anche se questa ne è ignara, mentre il suo figlio, Zeke, altri non è che una reincarnazione di Zeus, tutto questo solo per il suo semplice "sfizio", uno di quegli infiniti giochi da immortali che noi non potremo mai capire perché "non sappiamo cosa voglia dire convivere con l'immortalità", proprio come accadeva nei vecchi canti greci. [FINE SPOILER]

I personaggi.
La vera chicca di questa run, oltre alla coerenza e alla linearità narrativa, è nello sviluppo dei personaggi. Non solo perché ogni personaggio ha una sua individualità forte e incisiva ma anche il modo in cui questi interagiscono in maniera del tutto naturale tra loro. Questo crea dei siparietti divertentissimi tra, per esempio, Diana e Orion o Zola ed Era quando quest'ultima viene tramutata in mortale da Apollo e, paradossalmente, diviene amica della stessa ragazza che aveva tentato di uccidere. Personaggio di Zola che, alla fin fine, è protagonista assoluta capace di incidere positivamente su Diana stessa, dotata di una forza tanto quanto lo è la principessa delle Amazzoni anche senza mai entrare veramente in battaglia. Ben fatto anche la capacità di rendere questi personaggi completi, ovvero non soltanto mostrati unilateralmente, ma anche nei loro difetti oserei dire nella loro completezza. Non c'è personaggio che questi non vengano messi in discussione, Era compresa pur trattandosi di una dèa e ovviamente anche la protagonista Wonder Woman che dovrà fare i conti più volte con i suoi toni troppo freddi e autoritari che infastidiranno un po' tutti. Vorrei poter continuare, ma rischierei veramente di soffermarmi su ogni singolo personaggio, cosa che non voglio fare per problemi di spazio. L'unica nota la voglio spendere su Eris, dea della discordia, una figura onnipresente che crea solo casini ovunque vada che definire neutrale non è neanche giusto. Come giusto che un dio faccia, agisce solo per la sua natura e suo divertimento, il ché rende tutto più stuzzichevole.

Il "cattivone di turno".
E il personaggio del Primogenito merita un paragrafo tutto suo. Introdurre nuovi personaggi è un azzardo, così come ridefinirli. Se nelle storie classiche di Wonder Woman abbiamo un Ares come nemesi, qui ne è alleato, una figura quasi paterna che addirittura cede il suo trono a lei. Anziché cadere sul banale, quindi, la scelta è ricaduta sull'introduzione di un nuovo villain: il Primogenito, appunto. Primo figlio di Zeus ed Era, il primo decide di esiliarlo quando viene a sapere che questi potrebbe spodestarlo dal suo trono; questo però non basta a fermare il Primogenito il quale prima dichiara guerra all'Olimpo scatenando una carneficina e poi viene esiliato da Ade e Nettuno al centro della Terra, dove per settemila anni scava fino alla superficie e fa il suo ritorno. Perché è un personaggio riuscito? Perché la prima regola di un villain perfetto è che questo debba essere la versione opposta all'eroe protagonista, e qui viene rispettata alla grande. Non mancano le somiglianze tra i due personaggi: entrambi lottano per la verità e la coerenza di sé stessi, con la differenza è che se Wonder Woman è mossa dall'amore e dalla compassione, il Primogenito vive solo di odio. Se pur banale, la contrapposizione dei due personaggi vi è anche nelle piccole cose: Diana è conosciuta con il suo nome, come Regina delle Amazzoni, Dea della Guerra, Wonder Woman.. mentre il Primogenito non ha un nome. Aspetto messo in risalto stesso da Azzarello in maniera del tutto spudorata, ma ecco sono anche queste piccole cose che danno la loro impronta incisiva!

Scelte stilistiche.
Se Azzarello nella sceneggiatura ha cercato di tener fede al mito greco raccontandoci le bizzarre avventure narrate nei canti antichi, lo stesso i disegnatori han cercato di restare coerenti con quanto cercato di fare nell'opera in toto. Il disegnatore di punta, Cliff Chiang, accompagna Wonder Woman sin dagli inizi, alternandosi con Toni Akins, Kano e tantissimi altri che insieme tentano, anzi riescono perfettamente a dare dei tratti "greci" ai disegni, quasi a rivivere delle raffigurazioni dell'epoca ma a fumetti. Menti poco squadrati, nasi a punta, profili ben studiati... insomma, ci siam capiti. Le scelte stilistiche, ad ogni modo non si fermano qui, perché sempre a livello di sceneggiatura Azzarello riesce a spaziare anche in una piccola parentesi "classicheggiante" da fumetto Golden Age nel numero zero, dove vengono narrate le avventure della giovane Diana dando l'impressione di leggere appunto un fumetto anni '50. Piccole chicche anche nei tratti di alcuni personaggi: se il personaggio di Milan, Brian Azzarello ha dichiarato chiaramente di aver omaggiato il jazzista Wesley Willis, il disegnatore Cliff Chiang ha bizzarramente omaggiato Azzarello stesso dando ad Ares le sue stesse sembianze.

In definitiva.
Ecco, non credo ci sia bisogno di dare un parere definitivo. Ho decantato le lodi di questa run dall'inizio e dire che mi è piaciuta è riduttivo. Molti, spulciando vari commenti in rete, non sono rimasti contenti di questa run perché ha abbandonato i toni classici di Wonder Woman, dando più spazio al Pantheon che ai vari villain storici come Cheetah, Giganta o il Dr. Psycho. Sicuramente ne abbiam sentito la mancanza, Wonder Woman ha ben pochi nemici carismatici, ma quei pochi fanno, per così dire, la loro porca figura, io stesso vorrei vedere più storie con Cheetah e Giganta, ma sticazzi. L'opera di Azzarello è qualcosa di unico, un qualcosa che ha ridefinito Wonder Woman per quello che è in realtà, stiamo pur sempre parlando di un'eroina che ha le sue origini nella mitologia greca, il fatto di aver esplorato questo suo aspetto rende già di suo interessante questa run, il modo lineare e coerente rende tutto perfetto. Ogni avvenimento, ogni personaggio che appare anche per una sola pagina ha la sua finalità (il Minotauro!!!) e se nel finale mi è scappata una lacrima non ho vergogna di dirlo. Quindi, voglio chiudere questa recensione allo stesso modo con cui Brian Azzarello ha concluso la sua run.

GRAZIE.