domenica 12 aprile 2015



Nel 2045, il pianeta Terra fu condannato. Il surriscaldamento globale aveva avuto inizio, e la razza umana era ormai quasi vicina all’estinzione. Solo che l’uomo questo non lo accettò. Le più grandi nazioni mondiali finanziarono uno studio atto a modificare l’atmosfera terrestre, senza però curarsi dei danni che avrebbero portato al pianeta. La razza umana, in men che non si dica, arrivò al massimo potenziale quando effettivamente il loro piano riuscì. Si prosperava una nuova era per l’umanità, ma qualcosa andò storto: la natura non si lascia manipolare facilmente, e in breve tempo cominciarono ad  avvenire terremoti continui, numerosi continenti sparirono negli oceani, e in una decina d’anni la Terra divenne una landa desolata fatta di ghiaccio. Durante quel lungo inverno, durato 100 anni, la razza umana si decimò drasticamente, e i pochi rimasti si riunirono per formare una nuova società. Furono radunati scienziati, pensatori, uomini di un certo livello intellettivo, per far in modo di far fiorire nuovamente una nuova civiltà, anche se furono costretti a una rapida regressione. Costruirono una nuova città sulle fondamenta di una vecchia, ormai divorata dalla vegetazione. Una volta trovata una sistemazione per quei pochi sopravvissuti, fecero la loro comparsa delle strane bestie provenienti dai boschi vicini. Queste bestie avevano fattezze umane miste ad animali di varie specie. Li chiamarono i Bestiamorfi. Queste creature cominciarono a razziare la città e ad uccidere numerose persone. Sopravvisse soltanto un bambino e la sua madre. Entrambi scapparono da quell’inferno, e iniziarono a vagabondare. La donna protesse il figlio fino alla sua morte, quando egli compì il 13esimo anno di età. Da quel momento, il ragazzo riprese a vagare nelle lande deserte del mondo, combattendo per la sopravvivenza contro il clima da lui avverso, e le bestie che ormai sembravano essere la nuova specie dominante sul pianeta.

Ma questa è soltanto una delle tante storie che circolano nel Nuovo Mondo.
Numerose comunità sono nate dopo quella tremenda Apocalisse scatenatasi sul nostro pianeta, ma molte di queste non esistono più, oppure sono soltanto leggende. Si narra di una leggendaria Città d’Oro, la più grande delle Nuove Città mai costruite, circondata da grandi mura per tenere fuori le creature infernali. Questa città si dice che rifletta la rigogliosità della razza umana di un tempo, dove la tecnologia non sia mai scomparsa, e il tenore di vita è alto grazie ai campi messi su apposta per la popolazione. Ma, ahimè, forse si tratta solo di una leggenda. E questo lo sa benissimo Wiglef, un giovane ragazzo abitante di un piccolo villaggio protetto soltanto da una trentina di guardie, e popolato da un centinaio di persone, la maggior parte tutte donne e deboli. Wiglef è un appassionato di queste leggende, e ha passato tutta la sua vita a studiare la storia della sua civiltà, recuperando vecchi libri da città in rovina. È un ragazzo sveglio, non avrà un fisico da combattente, ma ha una grande forza di volontà. Suo padre, è il regnante del suo villaggio, il quale lo ha cresciuto da solo quando sua madre fu uccisa da un Bestiamorfo. Da allora, il suo popolo si nasconde da queste creature nascondendosi in passaggi sotterranei nascoste nelle loro abitazioni. Solo in pochi hanno il coraggio di affrontare le creature, ma nessuno ne esce mai vivo. Wiglef ricorda come Sadley, una delle guardie più forti e possenti, per difendere sua moglie provò ad affrontare un Bestiamorfo armato di numerosi oggetti da taglio. Provò a ferirlo in numerosi modi, ma la creatura non venne mai abbattuta. Sadley morì smembrato, aperto in due come se fosse una lattina di alluminio. Wiglef assistette la scena spiando dalla botola in cui era nascosto, prendendosi anche un bello spavento perché la creatura lo vide, ma non riuscì a prenderlo. Da quel momento, nessuno più del suo villaggio osò affrontare il Bestiamorfo. Eppure passò soltanto un anno, e la bestia in questione, che aveva un aspetto a dir poco spaventoso, con le fattezze di cervo, continuava a far visita al villaggio regolarmente, spaventando la povera gente. Forse dovevano scappare da lì, ma non avrebbero poi avuto altro posto dove andare. Wiglef propose al padre di mettersi in viaggio verso la Città d’Oro, che secondo lui era identificata come la vecchia New York, ma egli rifiutò. Era troppo rischioso avventurarsi fuori dal villaggio, e ormai era quasi del tutto sicuro che al mondo non era sopravvissuto più nessuno. Era convinto che se non si era fatto vivo nessuno per salvarli, allora non esistevano altri sopravvissuti. Secondo lui, una probabile civiltà avanzata sarebbe stata in grado di sconfiggere i Bestiamorfi e avrebbero cercato altre civiltà per offrire il loro aiuto. Se ciò non era accaduto, non aveva motivo di credere che la Città d’Oro esistesse. Wiglef non era d’accordo, e la sera stessa in cui litigò col padre, decise di prendere e partire alla ricerca da solo. Ma durante il suo tentativo di fuga, fu scoperto dal padre che tentò di riportarlo in casa, ma sfortuna volle che la bestia che faceva visita ogni notte il suo villaggio era appostato nelle vicinanze. Il padre di Wiglef lo mise in salvo, ma fu ucciso dalla creatura, che quella notte – non si sa come o perché – sembrava avere più appetito del solito, e iniziò a stanare tutte le persone nascoste nel villaggio, eliminandole una alla volta. C’era qualcosa di strano, di solito i Bestiamorfi non erano così svegli e bravi nella caccia. Si limitavano a smembrare le vittime, erano selvaggi. Ma quella notte, la creatura sembrava essere più razionale che mai. Wiglef capì che il suo momento era vicino, e tentò di scappare, ma fu abbrancato dalla bestia che gli saltò addosso e lo immobilizzò. Prima che questi potesse lanciargli una zampata per ucciderlo, Wiglef raccolse un pezzo di vetro infranto e lo conficcò nell’occhio della creatura che si contorse per un singolo istante, il giusto che bastò al ragazzo per sgattaiolare via e scappare. Ma stava solo scappando dal suo destino, la creatura era più veloce di lui, e in men che non si dica lo raggiunse, ma Wiglef non stava correndo a vuoto: si diresse verso un torrente, e si gettò in acqua, dando per scontato che la creatura non sapesse nuotare. Fu fortunato, era così. Wiglef venne trasportato dall’acqua, ma una brutta botta in testa gli fece perdere conoscenza. L’acqua lo trascinò a riva, privo di sensi, dove un grosso uomo lo raccolse, e lo medicò. Quando Wiglef si risvegliò, si ritrovò davanti questo grosso uomo, alto più di 2 metri  e con dei muscoli scolpiti. Aveva dei lunghi capelli castani e una barba foltissima, sulla sua pelle c’erano numerose cicatrici, chiari segni di lotta. Wiglef identificò in lui il bambino della leggenda, colui che vagabondava nel Nuovo Mondo da solo. L’uomo ascoltava il giovane interessato, ma non gli rivelò nulla. A dir la verità, neanche parlava, e Wiglef capì subito che forse non sapeva farlo. Il ragazzo gli raccontò di come la bestia avesse ucciso il suo villaggio e il suo stesso padre, e scoppiò in lacrime. Forse l’uomo si sentì impietosito, e fece capire al ragazzo di portarlo al villaggio, ma ormai Wiglef non sapeva più come tornare: chissà quanto lontano la corrente lo avesse trasportato via! Subito dopo, gli venne in mente di chiedergli se avesse mai sentito parlare della Città d’Oro. L’uomo non capì, e quando Wiglef gli narrò la storia, l’uomo manifestò uno sguardo spaventato e proferì una sola parola: Grendel. Che fosse stato quello il nome della Città? Wiglef gli chiese di portarlo lì, ma l’uomo si rifiutò, e iniziò ad urlargli contro e lo legò ad un albero, dopodiché si sedette accanto al fuoco, in silenzio. Non capì proprio il perché di quel gesto, iniziò a pensare che forse quell’uomo era fuori di testa. Però, il fatto che lui esistesse, dava a dimostrare che la teoria del padre era sbagliata: esistevano altri sopravvissuti, anche se il fatto di aver conosciuto quell’uomo non era poi di grande sollievo. Wiglef perse i sensi dopo un po’, a causa del sonno, e si risvegliò la mattina dopo sulla spalla dell’uomo, che ormai si stava incamminando verso un lungo sentiero. Lo stava portando in un piccolo villaggio fatto di capanne improvvisate con delle vecchie case in rovina. La gente lì attorno lo accolse con calore, e gli offrì del cibo. Wiglef conobbe anche l’uomo più influente del villaggio, che non amava definirsi re, anche se gli altri lo vedevano come tale. Egli gli raccontò di come l’uomo che lo aveva portato in salvo fosse il salvatore stesso di quel villaggio, quando questi scacciò via i Bestiamorfi sconfiggendoli uno alla volta armato solo di spada. Raccontò anche di come salvò il suo stesso figlio staccando la mascella ad una delle creature a mani nude. Wiglef rimase sbalordito, e chiese  al re il suo nome. Egli gli rispose che non lo sapeva; si presentò a loro una notte, ferito a morte, mentre pronunciava una sola parola: Grendel. Fu così che decisero di attribuirgli il nome del guerriero che affrontò la creature dallo stesso nome della leggenda: Beowulf. Wiglef disse che secondo lui, Grendel era il nome della Città d’Oro, e parlò a lui della leggenda. Il re disse che tutte quelle storie erano nate da menti deboli, e che in realtà non esisteva alcuna Città d’Oro. Erano tutte menzogne, e proseguì con lo stesso ragionamento del padre. L’uomo, che venne identificato come Beowulf, per la prima volta parlò. La sua voce suonava come quella di un bambino che si sforzava a parlare per la prima volta, e disse che Grendel esisteva. Grendel era la causa di tutto ciò che stava accadendo nel mondo. Disse che era pericoloso andarci, perché è da lì che provenivano le bestie. All’interno della sala calò un silenzio tombale. Dopo aver battibeccato per un po’ sull’esistenza o no della Città d’Oro, Wiglef si disse intenzionato ad andarci, e che nessuno avrebbe potuto fermarlo. Nonostante provassero a dissuaderlo, il giovane non ascoltò nessuno. Ormai aveva perso tutto, e niente e nessuno gli avrebbe impedito di andarci da solo. Chiese a Beowulf di indicargli la strada, ma l’uomo scosse la testa, e si offrì di accompagnarlo. Wiglef chiese il perché, e lui rispose che da solo non avrebbe mai potuto entrare nella città. I due si incamminarono, ci vollero mesi per arrivare alle porte di Grendel, e quando finalmente arrivarono il giovane rimase sbalordito. Era davvero immensa, gli ricordava quelle vecchie fotografie trovate sui libri che leggeva. L’umanità, nel pieno del suo potenziale, era lì davanti ai suoi occhi. Come mai una civiltà così avanzata aveva deciso di rimanere fuori dal mondo? Beowulf disse al giovane di accamparsi, e che avrebbero provato ad entrare la notte stessa. Wiglef chiese perché, non sarebbe bastato andare lì e farsi aprire? Beowulf rispose di no, perché loro non accettavano gli stranieri, solo lui sarebbe stato capace di entrare, ma non a quelle condizioni. Wiglef si stancò dell’aria misteriosa del suo compagno di viaggio, e gli chiese di essere più preciso. Beowulf accettò di raccontargli la sua storia, tant’è che erano lì era giusto farglielo sapere. La storia era simile alla leggenda già narrata del bambino messo in salvo dalla madre, solo che questa non morì lasciandolo solo. E non lasciarono mai il villaggio. Sua madre era una delle poche scienziate rimaste in vita dopo l’Apocalisse, nonché la figlia di colui che mise in atto proprio il progetto per cambiare l’atmosfera terrestre; quando l’umanità iniziò a decimarsi, iniziò a studiare un metodo per allungare la vita degli esseri umani, rinforzandone il DNA, la resistenza e la struttura fisica. Purtroppo, ciò non funzionò mai a dovere, e le vittime morivano dopo poco. Lei stessa, alla fine, provò a sviluppare una formula tutta per sé partendo da un campione del suo stesso sangue, e riuscì finalmente ad arrivare al risultato che tanto sperava. Anche se ad un prezzo. La donna creò una sorta di siero del lupo mannaro, aveva la capacità di trasformarsi quando il suo corpo iniziava a riposare. In pratica, ogni talvolta che dormiva, ella si trasformava. Arrivò ad uccidere i suoi compagni di lavoro, e ciò la portò alla pazzia. Tentò di imparare a controllare la bestia, e non seppe come ma ci riuscì. Nel frattempo, la gente della città continuava a invecchiare, tranne lei, e questo fu un fattore importante per la sua ascesa: cominciò a fare in modo che la città venisse costruita rigogliosa come un tempo. Creò i Bestiamorfi clonando il suo stesso sangue per far sì che questi attaccassero la città per spaventare gli abitanti e convincere loro di costruire quelle grosse mura attorno alla città. Così, nacque la Città d’Oro, rinominata come Grendel, dal nome della bestia mitologica che fu sconfitta da Beowulf.
Wiglef rimase impietrito dinnanzi a questa storia, e gli chiese perché mai se tutto ciò fosse vero e Grendel una città pericolosa, lui avesse deciso comunque di accompagnarlo anziché impedirglielo. Beowulf disse che in realtà aveva capito che sarebbe stato impossibile fermarlo. Rivelò che a lui piacevano tantissimo quelle storie, e desiderava che Wiglef narrasse l’ultima leggenda della caduta di Grendel. Di come il guerriero arrivò ad uccidere la sua stessa madre per salvare l’umanità. Wiglef rimase in silenzio. Gli chiese chi fosse lui, in realtà, e Beowulf disse che era il figlio della stessa donna che aveva negato la libertà a quel popolo solamente per seguire i suoi stupidi sogni di “rinascita della razza umana”, condannando chi ne era all’esterno ad un’esistenza di terrore. Ormai i figli di Grendel, le creature, i Bestiamorfi, erano a migliaia e si stavano riproducendo, e a quanto pare stavano anche iniziando ad evolvere. Per fermare tutto ciò avrebbero dovuto fermare la sua stessa madre. Wiglef rimase impressionato; nonostante in realtà Beowulf fosse un mostro modificato geneticamente, aveva a cuore le persone. Si chiedeva come fosse possibile che neanche le altre creature potessero essere così. Ma il tempo delle domande era finito, così come quello delle storie. Era calata la notte, e Beowulf era pronto ad entrare tra le mura di Grendel!

Wiglef rimase impressionato quando vide la mutazione di Beowulf, avvenuta di sua spontanea volontà. Insieme, i due si recarono verso i cancelli, e con una forza impressionante, Beowulf li squarciò, nonostante questi fossero chiaramente fatti di un materiale indistruttibile. Quanta forza possedeva, questo Beowulf? Wiglef rimase incantato, una volta dentro le mura di Grende. Vide una città futuristica, forse anche più avanzata di come era la civiltà umana prima che questa venisse cancellata. In città risuonava solo l’allarme che stava a indicare l’intrusione tra le mura. Beowulf si fermò di scatto, qualcosa non andava. Richiamò così l’attenzione di Wiglef, che ancora fissava meravigliato quella magnifica struttura che era Grendel, intimandogli di nascondersi. Da un altoparlante si udì una voce femminile, che si presentò come “La Madre di Grendel”. Quella voce tanto calorosa quanto terrorizzante, salutò il proprio figlio dandogli il bentornato. Molte cose erano cambiate durante la sua assenza, e aveva ormai deciso che la razza umana ormai doveva passare allo stadio successivo. Aggiunse che era un peccato che aveva spoilerato così il tutto, aveva intenzione di allargare le mura di Grendel presto o tardi, mobilitando il suo esercito per distruggere quel poco che rimaneva della razza umana, e prendere il controllo del pianeta per costruire il Nuovo Mondo. Wiglef ascoltò il tutto terrorizzato, e chiese a Beowulf cosa stesse accadendo. Le strade si riempirono di Bestiamorfi, ma questa volta erano diversi: erano non solo dotati di speciali armature, ma si ergevano in maniera eretta; erano chiaramente più evoluti. La Madre disse a Beowulf di incamminarsi verso il palazzo reale, dove lo avrebbe accolto per parlare di vecchie questioni di famiglia. E gli disse anche che sarebbe stata magnanima e avrebbe lasciato in vita il suo amico umano. I due così furono scortati fino al palazzo, dove si ritrovarono al cospetto della Madre, una donna bellissima, vestita in una maniera insolitamente elegante. La Madre chiese a Beowulf di manifestarsi nella sua forma umana, e quando questo lo fece lo abbracciò calorosamente dicendogli che gli mancava il suo amato figlio. La Madre espose ai due il suo progetto Grendel, la nuova razza che presto avrebbe ripopolato il pianeta. Il suo sogno era quello di dominare il mondo, insieme al figlio, visto la loro immortalità. La Madre rivelò che aveva il perfetto controllo su ogni creatura, dentro e al di fuori delle mura di Grendel, aveva con loro un contatto telepatico. Lo stesso contatto che avrebbe potuto avere anche Beowulf, se solo non avesse deciso di reprimere la bestie. Wiglef interruppe il discorso della Madre, dicendo che tutto questo non aveva senso, e che ciò che aveva creato erano delle aberrazioni genetiche che erano rivoltanti. La Madre disse che si aspettava tutta questa cocciutaggine da parte degli umani; da sempre questi non erano stati grati del fatto che avevano impedito l’estinzione della propria razza, manipolando l’atmosfera. Quegli stessi pensatori che stavano costruendo la Nuova Civiltà erano interdetti, e prediligevano un ritorno alle radici, come per abbracciare il Ciclo Naturale, ma tutto ciò non aveva senso per lei. L’umanità era destinata a rifiorire, e ciò poteva avvenire solo grazie a lei, che dal suo stesso sangue aveva permesso la nascita dei Bestiamorfi, e con quel potere aveva ormai il potere di dominare la Natura e creare una società perfetta, immaginando anche di colonizzare altri pianeti. Per Wiglef era chiaro che ormai la donna era uscita fuori di testa, ma a questa affermazione, Beowulf si infuriò. La Madre disse al giovane che niente poteva spegnere l’amore che un figlio aveva per la propria madre. Ma Beowulf era interdetto, non approvava per niente i suoi piani. Fu ordinato alle guardie di uccidere Wiglef, ma questi ricordò a Beowulf del suo desiderio di far nascere una nuova leggenda. Furono parole a vuoto, Wiglef si stava dirigendo verso morte certa, mentre Beowulf si preparava a prender posto sul trono accanto a quello della madre.
La Madre riprese il suo monologo, gli rinfacciò il fatto di essere scappato per proteggere gli umani, ma era pronto a perdonarlo, e gli stava offrendo il suo stesso potere di controllare i Bestiamorfi. Beowulf accettò, per farsi impiantare il chip di controllo mentale, ma alla condizione che questi uccidesse Wiglef. Nel frattempo, Wiglef era in cella. Beowulf non dimenticò la sua amicizia col ragazzo, e andò a fargli visita. Dopo una apparente discussione amichevole, però, egli dichiarò che lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani di fronte a sua Madre, per dimostrargli la sua totale devozione. Non appoggiava la sua causa, ma era pur sempre sua madre, disse.

Beowulf andò nella camera dove una volta alloggiava, e aspettò il sorgere del sole. Una volta giunto il mattino, la Madre lo chiamò per l’esecuzione di Wiglef. Il ragazzo rimase inginocchiato di fronte alla donna, con lo sguardo rivolto verso il basso. La Madre gli chiese se volesse prima pregare, ma il giovane non sapeva nemmeno cosa fosse una preghiera. La donna sorrise e non perse tempo a sottolineare quanto debole fossero gli umani, ormai anche incapaci di credere a qualcosa di irrazionale come degli dèi. Ordinò quindi al figlio di ucciderlo, dandogli l’appellativo di Grendel, ma lui si fermò. Gli disse che Grendel, nella leggenda era il figlio di Caino, ed era una creatura infernale, la cui malvagità era soltanto seconda a quella di sua Madre. La donna rimase sbigottita, si complimentò per essere a conoscenza della vecchia leggenda di Beowulf, poi gli disse di non badare a queste sottigliezze e di procedere con l’esecuzione. Ribadì che preferiva il nome di Beowulf a quello di Grendel, ma la Madre gli disse che era una creatura, non un guerriero o un eroe. Era suo Figlio, e come tale gli spettava di diritto il trono. “Grendel” fece cenno di sì con la testa, si trasformò nella creatura, e protese la zampa pronto ad uccidere Wiglef, ma con un gesto veloce, anziché sgozzare il ragazzo, fece fuori le due guardie alle sue spalle, sotto gli occhi sbigottiti della Madre. La donna iniziò a inveire contro di lui, dicendogli che lo aveva profondamente deluso. Si disse decisa ad uccidere lei stessa suo figlio, e si alzò in piedi, ma Beowulf gli staccò entrambe le braccia lasciandola agonizzante a terra, in un lago di sangue. Beowulf si girò verso Wiglef, e lo liberò scortandolo verso i tunnel dalla quale riuscì a scappare da piccolo che portavano direttamente fuori le mura di Grendel. Gli diede precise indicazioni di come ritornare al villaggio, e di raccontare a loro cosa stesse accadendo, dicendo che Grendel era stata spazzata via per sempre. Wiglef gli chiese il perché, e lui rispose che c’era sempre bisogno di raccontare storie, per dare speranza ed aiutare gli umani a lottare. In questo nuovo mondo mancavano nuove leggende, ed era giunto il momento che lui stesso ne creasse una. Intimò a Wiglef di fuggire, e nel frattempo si preparò ad attendere le guardie che stavano andando verso di lui, facendogli scudo. Il giovane si recò nei sotterranei, mentre Beowulf uccideva con facilità i Bestiamorfi, che anche senza l’influsso mentale della Madre, lo attaccavano senza tregua. Wiglef, nel frattempo, procedeva verso l’uscita da quel tunnel, ignaro che una delle bestie lo stesse seguendo. Lo spazio era abbastanza angusto, e impediva i movimenti di entrambi, perciò la creatura non aveva abbastanza mobilità vista la sua possente mole, e faceva fatica a raggiungerlo, mentre Wiglef invece era chiaramente avvantaggiato, ma nonostante ciò, la sua vita era comunque in pericolo. Nel frattempo, la lotta di Beowulf continuava, le creature iniziarono a fare irruzione nel palazzo facendo enormi balzi direttamente dalle strade sfondando le finestre. L’intera città di Grendel era contro di lui, che fu costretto a nascondersi nella sala della Madre. Le creature lo seguirono fin lì dentro, ma si fermarono d’improvviso: ignaro di cosa stesse accadendo alle sue spalle, Beowulf doveva affrontare qualcosa di ben peggiore che l’orda di Bestiamorfi. La Madre si rialzò in piedi, aumentò la sua stazza e si trasformò in una creatura enorme, alta 5 metri e più spaventoso di qualsiasi bestiamorfo. Le sue fattezze non ricordavano nessun animale in particolare, era qualcosa di veramente strano e mai visto; aveva delle enormi corna che ricordavano quelle del diavolo, e un corpo peloso come quello della Bestia. Le sue braccia, allo stesso tempo, ricrebbero. Beowulf era spacciato, ma ciò non lo avrebbe fermato, anche se si trattava di sua madre, Beowulf era intenzionato ad ucciderla. Wiglef, nel frattempo, quasi raggiunse l’uscita, e la creatura alle sue spalle, ormai spazientito iniziò a distruggere le mura causandosi da solo numerose ferite. Wiglef si prese un bello spavento, ormai la creatura era vicina, e lui era ad un passo dall’uscita. Una volta sgattaiolato fuori, poco prima che la zampa della bestia raggiungesse la sua gamba, si girò e vide il Bestiamorfo dimenarsi tra le macerie che poco a poco gli cadevano addosso. Wiglef tirò un respiro di sollievo era ormai fuori dalle mura, ma anziché scappare via subito, approfittò di uno scorcio tra le macerie per vedere cosa stesse accadendo all’interno delle mura. Beowulf e la Madre si davano battaglia senza pietà, con Beowulf che era in chiaro svantaggio verso l’enorme creatura. Wiglef provò ad avvicinarsi ma una delle creature si avvicinò allo scorcio e il ragazzo decise di darsela a gambe levate. Nel frattempo, la battaglia infuriava, e la città di Grendel veniva poco a poco fatta a pezzi. I boati di distruzioni giungevano fin nel bosco, rimbombando nella desolazione di questo, e Wiglef ormai nemmeno si interessò di guardarsi indietro, voleva solo mettersi in salvo. A Grendel, la Madre era una furia e aveva ormai ridotto in fin di vita il figlio, nel frattempo tornato alla sua forma umana, infilzandolo con un corno. Sollevò la carcassa del figlio con lo stesso facendolo penzolare, con il sangue che sgorgava sul suo viso, lanciando delle enormi urla. Le altre creature attorno, si mostrarono stranamente impietrite. Erano terrorizzate, e la Madre le osservava ridendo. Lasciò cadere il corpo esanime del figlio, e si guardò attorno, e intimò alle bestie di inginocchiarsi a lei. Lo fecero, ma con esitazione, e uno sguardo palesemente terrorizzato. La Madre si lasciò andare in una risata, dando le spalle a Beowulf, che nel frattempo raccolse le sue ultime energie e trafisse con entrambe le braccia la Madre da una parte all’altra, e la squarciò in due dall’interno, sotto lo sguardo impaurito delle altre creature. La Madre non fece nemmeno in tempo di esalare un ultimo respiro, morì all’istante. Beowulf , ancora nella sua forma umana e lanciò un ultimo sguardo alle creature. Si trascinò verso le porte di Grendel, si inginocchiò, e si accasciò a terra, morente. I Bestiamorfi accerchiarono la sua carcassa, quasi come segno di rispetto, mentre nel frattempo Wiglef proseguì la sua corsa verso il villaggio senza guardarsi indietro.

Si fece notte, e il giovane si accampò per riprendere le forze. Mentre era davanti al fuoco, cibandosi di ciò che aveva raccolto, notò che una delle creature si avvicinò a lui. Una parte di Wiglef voleva essere terrorizzato, ma nemmeno provò a difendersi. Osservò la bestia girargli attorno con fare minaccioso, si sedette accanto a lui e passò parecchi minuti ad osservarlo. Dopodiché se ne andò, lasciandolo in vita.

Qualche mese dopo, Wiglef fece ritorno da solo al suo villaggio. Raccontò agli altri cosa fosse successo. Non sapendo cosa raccontare, visto che non seppe mai che fine fece Beowulf, disse che lui ormai era lì a regnare le creature, e che fin quando ci fosse stato lui a proteggerli, non avrebbero dovuto più temere le bestie. Fu grazie a quella leggenda, che l’umanità seppe rialzarsi tendando di far rifiorire da capo una nuova civiltà. Certo, col tempo vennero fuori altre nuove storie, addirittura anche più leggendarie, ma tutto ciò era simbolico. Beowulf, o Grendel, qualunque sia il suo vero nome, morì per far in modo che accadesse proprio ciò che stava accadendo. Non si seppe mai cosa accadde veramente a Grendel. Si sa solo che la Città d’Oro venne spazzata via del tutto, e le creature a poco a poco sparirono, e l’umanità riprese a fiorire come un tempo.



Più o meno un anno e mezzo fa, in preda ad una pura crisi esistenziale (avevo appena lasciato la mia ragazza in situazioni molto, molto spiacevoli) mi domandavo quale fosse il mio scopo nella vita. All'epoca avevo 25 anni e giuro che ero stanco della vita che facevo... monotona e senza alcuno sbocco; decisi che dovevo trovare qualcosa che mi piacesse fare e che mi aiutasse a sentirmi realizzato. Capii che avevo una grandissima passione che mi portavo dietro sin da piccolo, anche se con un silenzio durato quasi 10 anni: il fumetto. Decisi, così, di intraprendere un corso privato di sceneggiatura presso una struttura a caso in cui si insegnava principalmente disegno e lì mi sentii quasi a casa. Non tanto per l'ambiente, ma perché avevo finalmente capito che avevo realmente una passione; non una di quelle passeggere le quali mia sorella da piccolo era capace di farmi sentire un idiota solo perché passavo da una "fissa" ad un'altra con estrema facilità. Con questa esperienza crebbi. Riuscii finalmente a capire come espandere la mia mente, mi avvicinai più a me stesso comprendendo che era la scrittura l'unica cosa capace di rendere concreti, mantenere saldi e tenere ordinati i miei pensieri. È stata un'esperienza folle, dopo tutto. Non rimpiango i soldi buttati (letteralmente), nemmeno i sogni infranti per colpa di persone incapaci di mantenere i propri impegni perché la testa viaggiava verso altri luoghi, restando ferma ad un punto solo per brevi tempi salvo poi ricordarsene sporadicamente a entusiasmo spento. Cosa rimpiango, allora? La mia inettitudine a non aver capito subito quale fosse la mia strada, o forse l'inettitudine dei miei genitori a non capire che era un liceo, che fosse classico o artistico, la mia strada e non un istituto tecnico solo perché l'informatica è il futuro.

Non voglio piangere sul latte versato. Voglio solo sfogarmi.

Sfogarmi, sì. Ho sempre sognato scrivere fumetti.
Da piccolo, oltre alle millemila storie sugli zombie (tra cui una reinterpretazione di Resident Evil ancora conservata!) avevo scritto una storia di fantasmi che feci leggere a metà degli amici in classe alle elementari e piacque a tutti. Scrissi una storia di draghi antropomorfi che vivevano avventure da supereroi simil-Tartarughe Ninja con una rottura della quarta parete non indifferente: durante lo svolgersi dell'avventura, sopra i balloon degli omini stilizzati commentavano la scena e ridicolizzavano gli avvenimenti, criticando di tutto, dai disegni alla calligrafia. E non solo mi limitavo ai fumetti. Da piccolo, prendendo pari pari il libro di storia, dopo aver visto La Pazza Storia del Mondo di Mel Brooks decisi di scrivere la mia Pazza Storia del Mondo, e ne feci un mini-racconto che conquistò e fece piegare in due dal ridere anche la mia insegnante di italiano. Come non capire che era questo che mi piaceva fare, non lo so. Andare a rinfacciare questa cosa ai propri genitori non è una cosa molto matura. Ahimè... è andata così. Fine del discorso.

Mi avevano detto che non è mai troppo tardi per cominciare. Per questo decisi di intraprendere questo corso di sceneggiatura. Lavorai anche ad un paio di progetti. Ho realizzato anche una mini-storia a fumetti, con tanto di tavole, di un cane alieno parlante atterrato sulla Terra e in cerca di un amico in una storia che sarebbe dovuta essere tra il "citazionismo" di opere del fumetto mainstream e un racconto esistenziale che avrebbe dovuto parlare di amore, amicizia e solitudine. Ho vari file Word con un bel po' di idee abbozzate. Esistono solo 10 pagine di introduzione, nemmeno tanto completate, poi fine. Sia chiaro, non credo di aver avuto l'idea originale del secolo, anzi sarò parecchio autocritico: il fumetto autoreferenziale con protagonisti sé stessi sono una botta nei coglioni. Sì, ci sta facendo una fortuna Zerocalcare, ma non è il genere che a me piace fare... anche se lo avessi effettivamente realizzato, non sarebbe (a mio parere) nemmeno 'sta grandissima idea.

Dopo la "scuola di sceneggiatura", ho provato a restare in contatto con disegnatori.
Mi son guardato in giro. Ho realizzato che la possibilità di realizzare qualcosa c'è realmente. Il web aiuta tantissimo, poi. Basti vedere quante porcate stanno vendendo un botto e riscuotono successo, tipo per citarne alcuni Sio con il suo Scottecs (che per carità, qualche vignetta è pure carina, ma non è un fumetto) o A Panda Piace che sinceramente mi astengo anche dal commentare. Andando oltre, stesso qui in Campania ci sono i ragazzi di 47 Dead Man Talking che han realizzato Vrenzole vs. Kitammuorti che, cioè, solo l'idea è figa ma a contenuti avrebbe potuto dare di più, ma ancora una volta: le possibilità di realizzare ci sono. Bastano contatti. Voglia di fare. Voglia di creare. Alla fine, o si crea qualcosa di figo o si finisce tra gli autori dei Fumetti Disegnati Male, dove spicca tra tutti Davide La Rosa che è, a mio avviso, il miglior fumettista italiano che non lavori per fumetti seriali.

Sto scrivendo di getto. Dove voglio arrivare?
Certo, sembrano le parole di uno che rosica a morte e perché negarlo? Rosico. Rosico perché vedo gente incapace fare fortuna con idee sceme, o ancora gente che potrebbe far di più con idee geniali. Magari, ecco, forse vorrei esser io tra quelli. Avrei desiderato saper disegnare, anche male, così che avrei potuto sentirmi più sicuro e buttarmi a capofitto in un ambiente che - sia chiaro - da quel poco che vedo mi fa abbastanza incazzare (ma solo perché sono così misantropo che mi sta sul culo sia l'ambiente intellettuale che quello da nerd). Chissà cos'avrei potuto fare a quest'ora? Magari, starei realizzando il mio Vodoo Zombies affianco alle vrenzole e i kitammuorti? O avrei rotto la quarta parete con gli omini che vivevano sui balloon dei draghi? Frequentare disegnatori, dentro e fuori le pseudo-accademie, mi ha fatto capire che l'ambiente creativo è pieno di gente con la testa fra le nuvole. Che vorrebbero realizzare cento cose ma non ne riescono nemmeno una.

La cosa triste è che io faccio parte di questa stragrande maggioranza di stronzi illusi e senza paura di esserlo. Alla fine ciò che conta è sopravvivere alla vita vera. Basta sognare, dicono. Basta inseguire i propri sogni. Ma alla fine, le opportunità si creano o ti vengono servite su un piatto d'argento? Credo che tutto sia possibile, con un po' di impegno e fiducia in sé stessi. La seconda mi manca. Nel mio piccolo provo a darmi una spinta. Ma ancora una volta, faccio parte dei fumettisti wannabe, quella fetta di persone che si alimentano delle proprie illusioni.
Un uomo diventa un critico quando non può essere un artista così come un uomo diventa un traditore quando non può essere un soldato.

venerdì 3 aprile 2015



Chi non ama gli slasher movie?
Per far chiarezza, uno slasher movie altri non è che il classico film horror all'americana dove, per così dire, i protagonisti assoluti sono i serial killer. Serial killer che sono una sorta di non-morti, non veri e propri zombie, ma esseri effettivamente morti in circostanze atroci e tornati in vita per reclamare vendetta. Jason Voohrees, Michael Myers, Freddy Krueger, per farne un esempio. Tormented non è un film americano e di sicuro non presenta un nome altisonante come i suddetti serial killer, ma diavolo se non è uno slasher movie fatto con i controcoglioni!

Film completamente inglese, sceneggiato da Stephen Prentice e diretto da John Wright, Tormented è incentrato sul ritorno dalla morte di Darren Mullet, ragazzo impopolare e preso di mira da un po' tutto il liceo - e ucciso proprio da alcuni dei suoi compagni. Le vittime, sono per l'appunto gli artefici del tremendo scherzo e la bella protagonista, Justine (interpretata da Tuppence Middleton), per la quale Mullet aveva una cotta, non è da meno. Come ogni buon slasher movie, il film parte da strani sms inviati ai cellulari di alcuni ragazzi e finisce con un po' di uccisioni random ben studiate, senza dimenticarci di una lenta indagine a ritroso su chi fosse Mullet e come siano collegati a lui le vittime. Un ottimo tema, a mio avviso, affronta il film che non è nemmeno tanto quello del bullismo di per sé, ma del vittimismo che viene appunto a crearsi nella vittima che a sua volta diviene l'assassino. Un finale forse un po' cinico e che può far storcere il naso ai buonisti è la perfetta conclusione di un film che risulta uno dei migliori, nel genere slasher movie.

Personalmente, ho visto Tormented la scorsa estate nel mio periodo di "fissa" per i film brittanici. In quel periodo cominciai ad apprezzare il cinema inglese in quanto producono sempre materiale più che buono e veramente ben fatto, sotto ogni aspetto. Negli horror, poi, san sempre come rendere perfetta un'atmosfera, e Tormented non è da meno. Ma tralasciando aspetti tecnici, la sceneggiatura è veramente un qualcosa di eccezionale, la storia che racconta ha alti livelli di psicologia sia nella caratterizzazione della protagonista che in quella dell'assassino, il quale passa da "povera vittima degli eventi" con cui magari percepire un briciolo di empatia, ad assassino senza alcuno scrupolo di uccidere anche coloro che considerava amici. Questo perché, in un finale che torno a ripetere può essere considerato abbastanza cinico, rivela un po' l'animo umano - quello incapace di rialzarsi campando semplicemente sul vittimismo, puntando sempre il dito verso gli altri e mai verso sé stessi, giustificando il proprio odio e le proprie azioni rivelandosi, infine, peggiore di coloro che hanno abusato di lui e della sua ingenuità. Un film che condanna il bullismo, sì, ma che non vuole affatto vittimizzare chi ne è stato vittima.

Infine, si è capito quanto mi è piaciuto Tormented, quindi non c'è neanche bisogno di dirlo che ne consiglio la visione. Un horror veramente fatto bene, per coloro che si sono un po' stancati degli innumerevoli Venerdì 13, Halloween o Nightmare e ricercano qualcosa di più psicologico pur mantenendo gli standard di un film che in fin dei conti resta pur sempre destinato ad un pubblico adolescenziale. Da una scala da 1 a 10, questi film merita un 10 pieno, ma facciamo anche un 12.