giovedì 18 dicembre 2014


La guardavo tutte le mattine alla fermata del bus.
La notai perché rispecchiava il mio gusto per le ragazze “alternative”.
Capelli tinti color verde acqua, magra, poco seno.
Non ricordo gli occhi, perché sono una di quelle persone che non ci da importanza.
C’è chi dice siano lo specchio dell’anima, ma io noto ben altro.
Di fatti, notai il suo portamento composto.
Da ragazza educata, “a modo”.
Ne ebbi conferma quando la sentii parlare in perfetto italiano, con alcune sue amiche.

Non so chi fosse, vorrei saperlo.

Eravamo al terminal dell’università. Lei eri di fronte a me, a studiare.
Indossava dei leggings, degli anfibi e un completino bordeaux.
Era proprio graziosa.

Non so perché ho questo termine in mente.
Potrei dire che era bella, ma no. “Graziosa” è quello che sento più appropriato a lei.

Potevo avvicinarla. Volevo farlo. E dirle che pensavo fosse molto bella.
Ma il mondo è una merda, e io non so come qualcuno potrebbe reagire, se mi presentassi così.

Se fossi sembrato idiota? Se mi avesse riso in faccia?
O se anche avesse apprezzato, avrebbe avuto senso quell’approccio?

Oggi, provo a immaginare una scena in cui io ho il coraggio di avvicinarmi.
In maniera molto impacciata, le dico che è molto carina.
Lei mi guarda con aria stranita, ma poi mi sorride. Mi trova adorabile.

E io inizio a parlare a ruota, per far vedere che non sono solo un ragazzo timido e impacciato.
Poi non so come va a finire.
Pensarci mi fa star male.

Dio, eri così bella…

giovedì 4 dicembre 2014



Harry e Lloyd sono tornati!
Dopo la bellezza di ben 20 anni, Jim Carrey e Jeff Daniels tornano a ricoprire il ruolo "dei due scemi" protatonisti di uno dei film cult della storia del cinema, Scemo & Più Scemo 2, sequel diretto della prima pellicola (perché quell'altro prequel ce lo vogliamo dimenticare tutti) dove regia e sceneggiatura sono affidati agli stessi del primo film, Peter e Bobby Farrelly.

Sarò brevissimo, questa volta. Anche perché non è che ci sia molto da dire, ma non che il film sia stato un completo disastro, anzi. Scemo & Più Scemo 2 inizia già col botto, e in un certo senso parte esattamente da dove finì il primo, con una delle migliori gag del film (secondo me, rovinata dal trailer, ma tant'è). Subito dopo apprese le basi della trama, ovvero Harry scopre di avere avuto una figlia in gioventù e decide di andare a scoprire chi è, il film parte e si avvia verso numerose gag divertentissime, e a tantissimi richiami alla prima pellicola, per poi concludersi in una sequenza ai limiti del non-sense con una parodia ad un determinato tipo di film (non faccio spoiler).

Ero al cinema, quando ho visto Scemo & Più Scemo 2, e sono riuscito a godermelo nonostante avessi un gruppo di ragazzetti alle mie spalle che commentavano (e a volte spiegavano) ogni battuta; sì, insomma non ho perso le staffe, perché personalmente odio chi parla al cinema, e tutto questo è per dire che alla fine sì, fa ridere, non scade mai nella volgarità gratuita e le battute non sono forzate, a differenza di una o due situazioni dove -a discapito del riproporre la stessa comicità nel primo- i fratelli Farrelly hanno provato ad utilizzare una comicità nonsense tipica "dei giorni nostri" che, a mio parere, stona parecchio con quanto provato a fare per l'intero film, e chi lo ha visto magari potrebbe capire di che parlo se faccio riferimento a quella sorta di riferimento a Breaking Bad. Insomma, a parte questo, Scemo & Più Scemo 2 ripercorre esattamente gli stessi passi del primo film, attraverso situazioni analoghe, riferimenti e riciclaggio di battute ma con dovute modifiche apportate. In linea di massima, non credo che Scemo & Più Scemo 2 sia un totale fallimento, più che altro un tentativo fiacco di un elogio ad un film cult che ha fatto la storia, che poi si rivela solo un film sbiadito rispetto al precedente, ma che comunque riesce a far ridere, ma neanche più di tanto.

Insomma, Scemo & Più Scemo 2 è un film che andrebbe comunque visto, però non tanto da spendere soldi al cinema. Io personalmente ho riso parecchio, ma non mi ha molto entusiasmato. Mi sarei aspettato qualcosa in più; va bene, era ovvio che avrebbero ripercorso la stessa strada del primo, ma anziché basare l'intero film su quello mi sarei aspettato un qualcosa di "epico", ai pari della comicità del primo film. Ma tuttavia, siamo in un periodo storico in cui è davvero difficile far ridere senza per forza tirare le battute forzatamente, e in questo il film riesce abbastanza bene.

sabato 29 novembre 2014



Era il mese di maggio quando recensii i primi due capitoli di V/H/S.
Quella volta ne parlai veramente bene, anzi sebbene non mi entusiasmò il secondo capitolo, riuscii in qualche modo ad apprezzarlo, tant'è che espressi il desiderio di vederne altri, comparandolo ed elogiandolo per originalità ad altre saghe horror di successo. Ne avrei voluto vedere una serie, ebbene è uscito il terzo film, e già mi sono ricreduto.

Andando per gradi, riassumiamo il tutto? V/H/S: Viral non ripercorre le vicende come i due precedenti film, o meglio, abbandonato il tema delle cassette su V/H/S stavolta hanno prediletto il digitale, e in un susseguirsi di uccisioni caotiche in giro per la città, i vari cortometraggi vengono trasmessi in maniera virale su ogni cellulare della città, quasi come a fare una critica sulla società di massa che, di fronte a un evento drammatico, preferisce filmare il tutto anziché intervenire, quasi come una sorta di voyeurismo macabro. I cortometraggi, per l'appunto, questa volta ne son veramente pochi, ne contiamo tre in tutto: Dante the Great, Parallel Monsters e Bonestorm. Il primo, narra di un mago e del suo "mantello magico" posseduto da un'entità maligna che divora le sue assistenti; girato interamente come se fosse un documentario, inizialmente può risultare anche carino e originale. Ma tutto scade sul finale, quando il documentario stesso diventa una ripresa diretta in cui il senso stesso di mockumentary va a farsi fottere grazie al continuo stacco delle riprese. Perché la troupe continua a riprendere? E com'è che c'è addirittura una colonna sonora in sottofondo? Mistero. Il secondo corto, invece, ci parla di un bizzarro "scambio di mondi": un tipo costruisce nel suo scantinato un macchinario che apre un varco in una realtà parallela (LOL) dove si scambia col suo opposto solo per farsi ammazzare la moglie mentre dall'altra parte trova una società al rovescio dove la gente ha dei peni antropomorfi tra le gambe. E con questa, stendiamo un velo pietoso, che per quanto di base l'idea è caruccia e divertente, si poteva fare di meglio. Il terzo e ultimo episodio è interamente girato con delle Gopro attaccate ai caschi di ragazzini che si dilettano a fare skate. L'episodio più brutto di tutti perché privo di ogni significato e logica di base, dove anche se l'idea sarebbe potuta svilupparsi meglio perché -e qui bisogna dirlo- il trucco dei demoni è veramente fatto bene, il tutto scade per vari motivi: introduzione lunghissima e pressoché inutile, facce di cazzo dei protagonisti inespressivi sulla quale le riprese si soffermano fin troppo tempo, dialoghi veramente scemi e personaggi che alla vista di mostri, anziché scappare attraverso vie di fughe liberissime, si divertono a uccidere i mostri.

Ora, sembra ci stia prendendo gusto a recensire film brutti, il fatto è che avrei benissimo evitato perché no, non sono in un periodo apatico, semplicemente quest'ultimo V/H/S non ha niente di interessante, ha delle idee che potrebbero anche andare bene, ma sono sviluppate così male che potrebbero piacere soltanto a chi ama vedere film senza seguire la sceneggiatura. E a proposito di sceneggiatura, l'episodio che trascina l'intero film è scritto e diretto da Marcel Sarmiento, lo stesso di Deadgirl, altro film che ho lodato un bel po' di tempo fa; sceneggiatore che, in un'intervista rilasciata addirittura prima di avergli affidato V/H/S: Viral dichiarò che per lui i mockumentary sono sì spettacolari, ma hanno stancato. E questo la dice tutta su quanta voglia e quale spirito ci abbiano messo nella realizzazione di ques'ultimo capitolo. Insomma, terzo capitolo lasciato al caso, sviluppato completamente male, ma così male che anche i titoli di coda son stati orribili.


E non credo che debba aggiungere altro.

sabato 22 novembre 2014



Per la prima volta provo a recensire un libro. O almeno ci provo.
Iniziamo alla grande recensendo "Tank Girl: Armadillo", giusto perché io non leggo cose comuni, e amo così tanto il personaggio di Tank Girl da averne letto anche il libro. Libro che, neanche a dirlo, è scritto dal suo stesso creatore, Alan C. Martin e vede la nostra eroina preferita alle prese con mirabolanti e ultra-violenti avventure ai limiti del nonsense esattamente come nelle sue storie a fumetti, ma stavolta con una dietrologia più fine e un po' di romanticismo. Ovviamente, non nel senso comune del termine.

Iniziamo subito col dire che Tank Girl: Armadillo è suddiviso in due parti: la prima è Armadillo, una storia in 56 parti che segue un filo conduttore non-proprio-così-logico, mentre la seconda è The Bushel, una raccolta di piccole storie, poesie e sceneggiature di storie di Tank Girl mai pubblicate. In definitiva, è una raccolta di non-sense puro, una esaltazione del personaggio da parte del suo autore che non nasconde il suo immenso amore verso la sua ragazza, attraverso delle storie che chi conosce il fumetto sa ben riconoscere; situazioni assurde, dialoghi infarciti di espressioni fantasticamente volgari, caotico e con poca cura verso i comuni standard di narrazione. Tra una storia e l'altra possiamo trovarci delle poesie che, per un buon 98% son incentrate sui protagonisti delle storie, si distaccano un tantino, trovano nel nonsense lo spirito libero che l'autore cerca di trasmettere, perché in fin dei conti quando si parla di Tank Girl è questo, quello che traspare: anticonformismo e la libertà di poter fare/interpretare le cose come ca**o vogliamo.

Vorrei soffermarmi principalmente sulla prima parte, Armadillo, storia di cui veramente si può riassumere l'essenziale, perché è l'essenziale che conta. Tank Girl, Booga, Barney, Jet Girl, Sub Girl e Zulu si ritrovano a far la guerra ad una cittadina di nome Chankers a causa di Booga e del suo passato in quella città, dove da piccolo veniva deriso da un tale Huckeblerry (denominato amorevolmente Fuckleberry). In un primo momento, Tank Girl seminerà distruzione nella cittadina solo per salvare Booga tenuto in ostaggio, poi per rapinare una banca con lo scopo di raccogliere 6 milioni per riparare il carrarmato distrutto goffamente da Booga, e infine per vendicarsi dopo che Fuckleberry tortura il disgraziato canguro e ruba una copia di Mad Magazine. E in tutto questo, si viene a conoscenza del vero nome di Barney e dei suoi genitori in una serie di eventi quasi esilaranti tanto demenziali, dove alla fine dei conti sembra proprio che tutto sia girato intorno a lei, e non alle vicende di Booga e Tank Girl!

Il titolo Armadillo non è una scelta casuale, lo stesso Martin ne spiega il senso nell'introduzione (subito dopo la lista delle recensioni negative sul libro). La parola "armadillo", ci dice, è composto da arma e dillo; la prima vuol dire armour ovvero armatura, quella in cui il simpatico animale è completamente avvolto e si rintana in esso quando è in pericolo. Tolta l'armatura, rimane solo il dillo, ovvero l'essenza stessa dell'animale. Martin ci spiega, attraverso le sue associazioni di pensiero, che tutti noi siamo degli armadillo; l'armatura è ciò che ci costruiamo noi attorno alla nostra essenza per sopravvivere alla società, alle idee che ci vengono imposte. Non smettiamo mai di essere noi stessi, semplicemente ci rintaniamo nella nostra armatura per sopravvivere al mondo esterno, tenendo scoperto pochissimo di noi stessi. E attraverso le avventure nonsense di Tank Girl e compagni, la storia gira attorno a quest'idea, di come quest'armatura diventa così parte di noi stessi che spesso dimentichiamo chi siamo veramente; ma non è impossibile esserlo. Armadillo è un inno alla spensieratezza, forse all'adolescenza perduta e messa da parte una volta cresciuti, alle cose che amiamo e di quanto ce ne rendiamo conto soltanto quando le perdiamo. Strano a dirsi, viste le abitudini anti-sociali e libertine di Tank Girl, è anche una storia d'amore, una di quelle non convenzionali, una storia di amore puro col suo canguro Booga, il quale riscoprirà l'amore che ha nei suoi confronti una volta che lo avrà perduto e nella pancia dell'"armadillo", ovvero dentro il carrarmato scortato da un esercito di pancakes (ebbene sì).

Inutile dire che Tank Girl: Armadillo non sia una storia priva di senso logico o violenta ai limiti dell'inopportuno, perché non è assolutamente vero. Battute scadenti, infantili, logica narrativa lasciata da parte per far spazio solo al nonsense puro e al caos, proprio come Tank Girl ci piace. Il libro, in conclusione, al momento non è mai stato tradotto. Io l'ho letto in inglese, e spero che molti di voi lo mastichino perché ho intenzione di chiudere questa recensione con dei versi posti a conclusione del libro, che a mio avviso racchiudono l'intera essenza di Armadillo e dell'ideale di Martin, che non posso far altro che rispecchiarmi in toto.

I love everything.

That's not just the booze talkin'.

I know I spend a lot of time killing and torturing,
that just goes to show
I'm as screwed up as everybody else.

I want this world to work,
I really do,
but I get so fuckin' angry
because all I ever see
is greed
and intolerance
and stupidity
and people mooing
and bleating
like fuckin' cattle,
"I want I want I want" is the anthem of the age.

Well fuck them.
Fuck all that shit.

Come back.
Come on in.
Come back to nature,
back to trees and grass and animal and the sky and shit.
It's sacred.
It's what you've lost.
It's why you're feeling lost.
It's that fuckin' simple.
You cannot buy it, steal it or claim it.
Just come back to it,
while it's still there to come back to.
Throw everything else away.
It's irrelevant.
It's just shit.
Nothing more.

Come back.

I love you.

T.G.

giovedì 20 novembre 2014



Jane Vasko è tornata, e stavolta ci riporta anche le 22 Brides!
Painkiller Jane - The 22 Brides è la nuova mini-serie in tre numeri dedicata all'ex agente di polizia Jane Vasko, scritta da Jimmy Palmiotti e disegnata da Juan Santacruz, team già sperimentato nella precedente mini a cavallo tra il 2013 il 2014, The Price of Freedom, di cui ho già avuto modo di parlare. Le copertine, al solito, son disegnate dalla moglie di Palmiotti, Amanda Conner, e mi chiedo perché non le lascino disegnare gli interi albi a lei...

Painkiller Jane - The 22 Brides vuole provare a far rilanciare quel gruppo di femministe cazzute e fuori dalle righe nato nel 1996 e che diede vita a Painkiller Jane. Ora, non è un mistero che PKJ abbia avuto più successo delle 22 Brides, ma farsi una domanda, no? Okay, parto prevenuto perché a me di base non son mai piaciute, ma più per il fatto che son troppi personaggi e ho sempre faticato a ricordarmi i loro nomi, nonostante avessero ognuna una particolarità differente. Comunque sia, credo sia chiaro che a me quest'ultima mini-serie non è proprio piaciuta, e vi confesso che non ho nemmeno voglia di scriverne la trama, perché è banale. Terroristi a New York, Maureen chiede aiuto alle 22 Brides perché loro conoscono bene New York e la malavita, e invece fanno un casino insieme a Jane, tra mille esplosioni e tante tette in bella mostra.

Sì, perché quest'ultima mini-serie è solo tette. Io in passato ho elogiato tantissimo Palmiotti, ma mi sa che il suo nuovo progetto, la PaperFilms, che consiste nella realizzazione indipendente (appoggiandosi alla Marvel Icon) di progetti personali suoi e dei suoi amici a tema più adulto, senza limiti di censura imposti dagli editor, faccia cagare. Voglio dire va bene, a volte gli editor smorzano la creatività degli sceneggiatori ed è giusto cercare di esprimersi come meglio si crede... purché quei cazzo di fumetti non diventino pretesto per disegnare tette e culi in bella vista. Ma fosse questo il problema, in The Price of Freedom Jane venne snaturata e il tutto sembrava volesse girare attorno al sesso, ma tutto sommato aveva una trama sensata e una buona dose di divertimento. Qui, invece, no. La trama è banale, non ha risvolti interessanti, ed è tutto un buon pretesto per inserirci parolacce, slang e tette. In passato ho apprezzato la volontà stessa di Palmiotti di fare dei dialoghi lunghissimi; come lui stesso dichiarato sulla sua pagina Facebook, preferisce realizzare un fumetto con tanta roba scritta piuttosto che delle splash-page con disegni spettacolari. E fin qui son d'accordo, tanto Santacruz disegna di merda e non può fare chissà cosa, ma se i dialoghi devono essere riempiti di parolacce in uno slang un po' troppo eccessivo, il tutto diventa inopportuno e la qualità del fumetto scende.

Palmiotti scende troppo in basso, insomma, e mi dispiace. Ma forse ho compreso che è sì un gran bravo sceneggiatore... fin quando ha un editor che gli ponga dei freni. Questa miniserie la boccio, e boccio anche la mini-storia in appendice del primo albo. Non voglio star qui a dire che rivoglio la Painkiller Jane finita nel 2007 con Everything Explodes, cambiare ogni tanto ci sta... ma se i risultati devono essere brutti disegni, dialoghi lunghi infarciti di parolacce, una storia trita e ritrita che affronta per l'ennesima volta l'argomento terrorismo, allora sì che rimpiango le vecchie storie.



Christopher Nolan finalmente abbandona Batman, e ritorna con i suoi filmoni!
Eh, sì. Nulla da togliere all'epicità della sua trilogia, ma l'essere incatenato con i progetti della DC Comics, un po' ci ha fatto mancare il Nolan di Memento, The Prestige o Inception. Interstellar è il suo personale "2001, Odissea nello spazio", ma senza scimmie e inquadrature di quaranta minuti nel nulla. Un film che ho potuto notare che ha ricevuto critiche contrastanti, sia all'uscita dal cinema che nel web, ed è l'ora che dica la mia!

Siamo in un futuro dove ormai le risorse naturali sono ridotte al minimo e la razza umana quasi sull'orlo dell'estinzione. Le regole sociali sono cambiate, non si ricerca più la scienza o le arti, bensì servono agricoltori per far in modo di produrre il massimo per poter far sopravvivere l'umanità. Cooper, il protagonista del film, attraverso dei messaggi criptici trovati nella camera della figlia, scoprirà che la NASA è ancora attiva e che sta attuando un piano per far sopravvivere l'umanità spedendola in un'altra Galassia. Ritrovatosi in un viaggio spaziale ai limiti dell'assurdo, si vedrà sottoposto alle leggi dello spazio-tempo, visiterà pianeti sconosciuti e scoprirà cosa vuol dire veramente ritrovarsi all'altro lato dell'Universo. E qui non mi voglio più sbilanciare, perché il film va visto! Dovete vederlo!

Di base, l'idea del film mi è veramente piaciuta. Nolan ama moltissimo proporci storie tra il fantastico e il realistico, mischiando in questo caso la scienza della relatività del tempo e "forze che trascendono ogni concezione della realtà che percepiamo", vale a dire, l'amore. Un'idea quasi banale, ma che risulta poetico, commovente. In fin dei conti, Interstellar non è solo un film fantascientifico, ma è innanzitutto un film che ci parla di amore. Dell'amore di un padre verso sua figlia, o di una ragazza per il suo amato disperso su chissà quale pianeta; siamo tutti spinti verso qualcosa che amiamo, e non riusciamo a razionalizzarlo, perché l'amore trascende ogni cosa che noi possiamo teorizzare scientificamente. Ed è su questo significato che il film si muove, attraverso scenari incredibili quali la ricostruzione stupefacente di mondi sconosciuti, o il viaggio verso l'ignoto e nei meandri dello spazio. Il tutto per arrivare ad un semplice messaggio, arrivare al punto A al punto B. Ma come ci siamo arrivati, forse, avrò un po' da ridire.

Ciò che mi è sempre piaciuto dei film di Nolan, è che nei finali ci ha quasi sempre dato quel senso di incertezza, ci ha lasciato quel punto interrogativo tralasciato volutamente nonostante gli spiegoni. Spiegone, che in Interstellar non manca, ma che stavolta spiega proprio tutto. Per carità, nulla si toglie alla qualità del film che rimane comunque bellissimo e spettacolare, anzi a dire il vero non è nemmeno una nota negativa, solo non ho molto gradito il dover volutamente spiegare anche quelle piccole cose che potevano essere tralasciate e lasciate intendere da solo allo spettatore (in primis, il discorso sull'amore).

Ma in definitiva, a me Interstellar è proprio piaciuto un sacco! Christopher Nolan è tornato, anche se con lo spiegone forzato, forse per voler mandare a cagare i critici che non capiscono 'na sega accusandolo di lasciare buchi nella sceneggiatura? Chi lo sa, comunque sia, diciamo pure che Interstellar è adatto a tutti, anche a chi come me non ama la fantascienza. Epico, emozionante e profondo. Uno dei film più belli di questo 2014! Da non perdere!



P.S.: Una nota in conclusione per una lamentela: ho sentito parecchi "intelligentoni" che all'uscita dal cinema han criticato apertamente il film dicendo quanto tutto fosse scontato, e avrei voluto sputare in un occhio a questa gente. Perché aver capito in anticipo cosa sarebbe successo, non toglie nulla al film, più che altro, è solo un segno di ottima percezione di chi guarda il film, ma se volete togliere anche la magia di vedere come ci si arriva, e guardare un film in maniera apatica, restatevene a casa.




Una persona, in media, utilizza il 10% della sua capacità cerebrale. Oggi lei arriverà al 100%.
Questa la tagline di Lucy, ultimo capolavoro firmato da Luc Besson con protagonista la bella (a detta di molti, a me non piace) Scarlett Johansson, uscito nelle sale italiane lo scorso settembre. E io ero lì. Con un po' di ritardo, ma la recensione arriva.

Per chi non l'avesse già visto, la trama è pressoché semplice: Lucy, una 24enne come le altre con un futuro incerto e che ama divertirsi nei festini rave, viene coinvolta "grazie" al suo ragazzo in un traffico di droga sperimentale, in cui si vedrà costretta a dover portare negli Stati Uniti da Taipei un grosso carico di droga, la CPH4 (ovvero una sostanza ricavata da una sostanza che viene rilasciata al feto durante la gravidanza, che ha come effetto un aumento delle capacità cerebrali)... dentro il suo stomaco. Una volta effettuata l'operazione, uno scagnozzo che molto probabilmente utilizza il 3% del suo cervello, dà un pugno allo stomaco a Lucy col risultato che il pacchetto si sfascia e la ragazza va in overdose, acquisendo così dei "superpoteri", o meglio le sue capacità cerebrali aumentano. Diventando di botto più intelligente e più cosciente di sé stessa, Lucy si libera e va alla ricerca dell'altra droga per riuscire ad arrivare al 100% delle sue capacità per evitare di sparire e dissolversi, e ci riuscirà grazie ad un agente della polizia di Parigi, Del Rio (Amr Waked), e al biologo che -guarda caso- teorizza, venendo anche deriso, le capacità del cervello umano se questo venisse sfruttato nel pieno del suo potenziale, Samuel Norman interpretato da Morgan Freeman. Alla fine, Lucy sconfiggerà i cattivi (chi aveva prodotto la droga) e scoprirà i segreti dell'Universo trasformandosi in una chiavetta USB. Fine.

Il film, tutto sommato, è bello. Chi conosce Luc Besson sa bene che non è uno di quelli che ama fare cose banali o scontate. Un po' di azione spettacolare, qualche effetto speciale niente male, e una storia che non risulta banale per quanto pompata quasi come se fosse un filmetto da quattro soldi, quale non è. Per non parlare del significato a cui si arriverà nel finale. Lucy è uno di quei film che va a esplorare il fascino delle teorie scientifiche andandole a mescolare con fattori che lasciano poi senza parole se ci si riflette un po' su, come per esempio il personaggio di Lucy stessa, da ragazza inutile a strafiga che prende a calci in culo chiunque. Il cervello umano ha delle barriere, o meglio, siamo noi a porcele; superare queste barriere aumenta la nostra conoscenza e la consapevolezza in noi stessi. Ma la conoscenza ci fa perdere l'umanità, diventa una corsa contro il tempo per riuscire ad assimilare più di quel che possiamo naturalmente comprendere prima di svanire nel nulla. Quant'è poetico, eh? Non reputo il senso del film banale, e nemmeno l'azione frenetica in cui si susseguono le azioni, perché in fin dei conti Lucy è uno di quei film che una volta finito ti fa venir voglia di vederlo e rivederlo ancora, o almeno è stato così per me! Il finale stesso, in cui Lucy si trasforma in un super-computer una volta raggiunto il suo potenziale massimo, rende perfettamente l'idea: viene esplorato l'Universo, e tutto resta affascinante, stupendo, ma non rimane sul banale; di punto vediamo la materia, l'anti-materia, e tante altre cose cui non si riesce bene a comprendere. Ci mostra la natura stessa dell'Universo, composto da caos e ordine, Lucy ne scoprirà i segreti e li lascerà all'umanità. A noi non c'è dato sapere. Il ché è anche logico, però la sensazione di vuoto, di fame di conoscenza che lascia alla fine del film è incommensurabile. Bello. Mi è troppo piaciuto. Passando al cast, al di là ora che a me la Johansson proprio non piace e son un po' stufo di vedere Morgan Freeman incatenato nel solito ruolo da scienziato/intelligentone/saggio/Dio, il cast non è per niente male, i personaggi seppur caratterizzati pochissimo, non toglie nulla al resto del film, anche perché alla fine gira tutto intorno a Lucy, duh.

In definitiva, Luc Besson a mio avviso ha fatto proprio un bel colpo. In un periodo in cui spopolano al cinema supereroi e i cinecomics, ci ha regalato un film che è proprio un misto tra i due. Un po' supereroe e un po' fumetto, Lucy ci dimostra che le idee originali possono ancora rivelarsi, adattarsi al cinema con gli standard di adesso (quello dei cinecomics, appunto). E, ovviamente, apre la strada a un altro supereroe dei fumetti, che personalmente adoro, e che ha un paio di similitudini con Lucy; sto parlando di Painkiller Jane, la cui regia verrà affidata alle gemelle Soska. Ma questa è un'altra storia. Chiudiamo come si deve: stanchi dell'ennesimo supereroe targato Marvel, con film che in fin dei conti, sono solo pugni volanti e poca consistenza? Lucy di Luc Besson vi regalerà emozioni e riuscirà nell'intento di farvi uscire dal cinema con la mente affamata di conoscenza.


giovedì 6 novembre 2014



Sì, dai. Ci sto prendendo gusto con le recensioni negative.
Il prossimo film di cui parlerò ha come protagonista un'altra stella della WWE, Glenn Jacobs a.k.a. Kane, ovvero See No Evil 2 il sequel del film conosciuto in Italia col titolo de Il Collezionista d'occhi, diretto dalle Soska Sisters.

Premessa: non so quanta gente segua assiduamente il mio blog, in ogni caso avevo già avuto modo di parlare delle gemelle registe, astri nascente del cinema horror ed exploitation, addirittura ne avevo decantato le lodi e nutrendo buone speranze per il sequel di un film che, se pur sapeva di già visto, non mi era dispiaciuto poi tanto. Fai un po' perché fu un parere da fan di wrestling e un po' perché tutto sommato non era maluccio, insomma... non era da buttare! E con Jen e Sylvia alla regia, ero tutto fomentato! E invece... eh, invece ahimè mi son trovato davanti a un film che poteva esser decisamente fatto meglio se non avessero puntato all'autocelebrazione. Ma andiamo per gradi, partendo dalla trama.

Siamo praticamente a pochissime ore dalla fine del primo film, in tv si parla degli omicidi perpetuati da Jacoob Goodnight (Kane) il quale cadavere viene trasportato nell'obitorio dell'ospedale locale, misteriosamente deserto e alla vigilia del compleanno della protagonista Amy (Danielle Harris). L'arrivo del cadavere di Goodnight causa una brutta conseguenza: lei non può uscire con gli amici e quindi sono gli amici che vanno all'obitorio a festeggiare il suo compleanno. Tra gli amici, oltre al fratello, abbiamo anche la bellissima Katharine Isabelle nel ruolo di Tamara, non un ruolo importante, ma questa informazione tornerà utile più in là. Insomma, qui è tutto chiaro come andrà a finire, d'altronde cosa ci si può aspettare da uno slasher movie? Jacob Goodnight si sveglia e fa fuori tutti, fine. Grosso modo, le cose vanno così. Trama più scontata di quella del primo, ma c'era da aspettarselo, alla fine era una trovata commerciale, no? Bene, ora passiamo alle dolenti note.

Essendo uno slasher movie, la trama non dovrebbe importare poi granché, non quando parliamo di slasher movie americani, almeno. Tutto gira intorno alle uccisioni e ai metodi fantasiosi in cui essi avvengono, cosa che purtroppo non accade in See No Evil 2. Tralasciando una morte ironica del tipo sulla sedie a rotelle, il film non è né crudo né fantasioso, semplicemente è fine a sé stesso. Avendo assodato ormai che la trama è scontata, tale che non dobbiamo nemmeno scoprire chi è l'assassino, sarebbe dovuto restarci giusto qualche scena violenta gratuita, ma no. Il film è intervallato di continuo da scene del primo film, e sinceramente non ho neanche capito il perché di questa scelta, e alla fine di tutto, mi è sembrato il tutto un po' autocelebrativo. Mi spiego. Le ambientazioni, le riprese, la fotografia, il lato tecnico è perfetto, le Soska Sisters ci sanno fare, ma insistono sul puntare sulla bravura degli attori, su scelte stilistiche nel girare le scene e danno poco conto alla parte più importante del film: la storia! Ma poi, che le Soska Sisters amino molto autocelebrarsi era palese già da Dead Hooker in a Trunk e in American Mary dove addirittura son volute apparire come personaggi eccentrici all'inverosimile pur di riuscire a "bucare lo schermo" e a catturare l'attenzione. Ma ci sta, con American Mary c'erano riuscite alla grande, grazie soprattutto a Katharine Isabelle, e qui arriverò a parlare di lei in See No Evil 2.

Le gemelle Soska amano molto far vedere allo spettatore il personaggio eccentrico, amano far divertire, e la Isabelle non è una cattiva attrice, ma qui andiamo all'over-acting, ovvero ha un po' strafatto, nel senso che nella sua rappresentazione del personaggio di Tamara, un po' fuori dagli schemi, un po' eccentrica e molto zoccola ha una recitazione che più che rimanere impressa fa venir voglia di entrare nel film e prenderla a schiaffi. Scusa, Katharine. Su di lei ci tenevo tantissimo a lasciare un commento, anche perché è l'unica attrice veramente brava lì in mezzo, ma non che gli altri siano cani, solo hanno ruoli meno memorabili: che le Soska avessero voluto far centrare l'attenzione su Katharine Isabelle perché tutti l'hanno adorata in American Mary? Eheh, chi lo sa. Ritornando alla scelta di voler puntare sulla caratterizzazione dei personaggi, hanno scelto di far recitare anche Kane se pure con pochissime battute e tutte uguali. Va beh, che lui sia bravo sia nella recitazione che nell'espressività è risaputo, ha a che fare con queste cose da 20 anni anche se nell'ambito del wrestling, dove la mimica e la recitazione è pane quotidiano, quindi sfondiamo un portone già aperto. Il personaggio di Jacob Goodnight, tuttavia, manca di psicologia; nel primo aveva un modus operandi univoco, riconoscibile, ed era spinto da qualcosa. Non andava ad uccidere a caso! Qui, invece, sì e ha anche perso la sua abitudine a cavare via gli occhi. Jacob è un semplice slasher carico d'odio che uccide tutti, punto. Se poi vi siete dimenticati del perché uccidesse, ci sono quegli inutili flashback del primo film che ve lo ricordano, mica si vuole perder tempo a ricordarlo al pubblico? Eh, no.

In linea di massima, beh. Non è poi 'sto granché.
Insomma, trama scontata che si sarebbe anche potuta tralasciare se ci fossero stati "ammazzamenti" fantasiosi e/o ultra-violenti, ma mancano anche quelli quindi nisba. Cast buono, le Soska volevano forse creare un film che potesse dare quell'aria da film di nicchia ma d'autore ma hanno dimenticato dei pezzi importanti alla buona riuscita di un film, e questo ne risente molto, ma veramente troppo... peccato, a questo punto temo il peggio per Painkiller Jane. Soska Sisters, vi ho decantato le lodi, ora vedete di scegliere uno script migliore e fatelo funzionare anziché giocare a fare le dive! Con See No Evil 2 avete proprio toppato alla grande, e ascoltatemi voialtri: se non lo vedete non vi perdete proprio nulla.

mercoledì 5 novembre 2014



Quanti film brutti ho recensito?
Pochi, anzi forse zero. Anche con il reboot delle Tartarughe Ninja son stato fin troppo buono, se pur non nascondendo il disappunto. Ma Leprechaun: Origins? Posso risparmiarlo? No. Assolutamente no. E badate bene che nella cover ho inserito la prima immagine promozionale che uscì del film, con l'attore che impersona il Leprecauno in carne e ossa, ovvero Dylan Postl meglio noto col nickname Hornswoggle ai fan del wrestling WWE; attore che, sebbene effettivamente "recita" nella pellicola non appare mai. Iniziamo bene, vero? Aspettate un attimo, non è tutto.

Come (forse) tutti sapranno, Leprechaun: Origins vorrebbe essere una sorta di reboot della famosa saga di Leprechaun interpretata da Warwick Davis in tutte le sue pellicole, e nientedimenoché rappresenta un cult della cultura trash horror del secolo scorso, grazie alle sue situazioni grottesche e al di fuori del senso comune di buongusto. Detto ciò, domanda cruciale: che cosa avevano in mente quando hanno deciso questo reboot in chiave dark? Dubito che la risposta ci verrà mai data, sicuro è che i produttori si son calati brutte droghe che non gli hanno nemmeno fatto effetto, e probabilmente regista e sceneggiatore erano delle vere e proprie capre. Il titolo è Leprechaun: Origins, ma di "origini" non ha un granché (origini de che, de chi, perché, tanto per capirci) e non ha nemmeno un cazzo di Leprecauno!

Come appunto ho detto poco sopra, al lavoro su questo film ci sono state per forza capre, innanzitutto perché ha una trama scontatissima e delle scene a cazzo di cane, come una di quelle finali in cui i protagonisti si infilano in un furgoncino e non hanno le chiavi, e anziché uscire e scappare mentre il "leprecauno" fa un casino della madonna sfondando tettuccio e parabrezza, decidono di perder 2 minuti interi a urlare per poi dire "dobbiamo uscire!"; per non parlare poi della scelta stilistica di puntare sempre su quel cavolo di cliché degli amici in vacanza che si rinchiudono in una casetta nei boschi! Ma il punto forte è, appunto, il cosiddetto Leprecauno che Leprecauno non è ma solo una bestia amorfa senza neanche un volto, che induce a pensare "mi dicono che lì ci sia Hornswoggle, ma per me potrebbe anche esserci Michael Jordan" visto che non mettono in mostra né il volto né la bassezza della creatura, che - a proposito - tutto ciò che fa è ringhiare e staccare orecchini, piercing e collane alla gente che gli sceneggiatori ci vogliono far credere siano tutti d'oro, come se tutti si facessero dei piercing d'oro alla lingua... Va beh. Da non tralasciare nemmeno l'errore madornale della traduzione di Túatha Dé Danann, che secondo loro vuol dire Leprecauno e non Tribù della Dea Danu nome, invece, di una delle prime civiltà celtiche, che hanno ben poco a che vedere coi Leprecauni se non per un mero collegamento sull'etimologia del termine Leprecauno:
Un'altra provenienza del termine (Leprecauno) potrebbe essere da luch-chromain, "piccolo storpio Lugh", dove Lugh è il nome del capo del mitico popolo gaelico dei Tuatha Dé Danann. (fonte: Wikipedia)
Insomma, dove si siano documentati questi non si sa. Forse volevano far finta di essere intellettuali, e hanno anche trovato una rappresentazione sbagliata di un Leprecauno visto che, invece dell'omino barbuto, dispettoso e vestito di verde c'è un mostro deforme che ringhia... e che ha una vista alla Predator. Però una cosa va detta, alla fine una peculiarità del Leprechaun originale ce l'ha: ricerca l'oro che gli hanno sottratto. Mh. Alla fine, anziché fermarlo restituendoglielo, la protagonista lancia le monete all'aria e gli taglia la testa. Sì, chi se ne frega dello spoiler, tanto non merita nemmeno di essere visto. A conclusione della scena, la tizia che scappa via nei boschi, un ennesimo ruggito del mostro, e dei titoli di coda accompagnati da immagini pressoché inutili che non danno neanche un senso al film, e non riempiono nessun buco.

Conclusione? 'Sto film fa acqua da tutte le parti.
Già l'idea di dargli un tono dark ad una saga che era puramente trash mi aveva fatto storcere il naso, ma dopo averlo visionato... non saprei, non è neanche un film horror decente alla quale potrei chiudere un occhio pensandolo a una roba a sé stante, scollegata dalla saga. È... boh. Cioè, sì dai: è una merda! E non sono solito a commenti del genere, questo film si merita questo e anche peggio!

martedì 28 ottobre 2014



Doppia recensione anche oggi.
I spit on your grave è il titolo di ben due film, uno del 1978 conosciuto in Italia come Non violentate Jennifer, il secondo è del 2010 e trattasi del remake del primo e che vanta un sequel del 2013. A dire il vero, I spit on your grave ha avuto diversi sequel e riadattamenti, ma mai nessuno degno di nota, se non il più recente diretto da Steven R. Monroe. Trattasi di un film principalmente horror, con tematica rape and revenge ovvero stupro e vendetta è un film degno di nota, soprattutto per i suoi contenuti forti e discutibilmente "pesanti".

Siamo negli anni '70, e l'argomento stupro nonché considerato ancora troppo forte, era abbastanza forte nella cinematografia dell'epoca, basti pensare a film come Thriller o il premio Oscar Deliverance, noto in Italia come Un tranquillo weekend di paura. Sebbene il genere d'exploitation ci abbia marciato parecchio sul rape and revenge, I spit on your grave è senz'altro uno di quelli più importanti e "pesanti" vista la sua natura. Ma andiamo per gradi. La storia parla di Jennifer Hills, una giovane ragazza che affitta una casa sul lago nel tentativo di scrivere il suo primo libro che finisce vittima di un gruppo di ragazzi che la importunano di continuo e che finiranno, ahimè, con uno stupro di gruppo. Tra di loro, un giovane ragazzo timido e con evidenti problemi mentali nonché anch'egli complice degli altri tre, incaricato di porre fine alla vita della ragazza ma che per paura e - forse - un briciolo di rimorso, non riesce nell'intento e la lascia in vita. Questo fa in modo che la ragazza, una volta ripresa, escogiti un piano per avvicinare ogni singolo individuo ed ucciderli uno alla volta, passando dall'impiccagione alla più cruenta evirazione, forse la parte più pesante della pellicola del 1978.

Il messaggio è chiaro. L'assalitore, per difendersi, confessa alla ragazza che le sue azioni erano del tutto giustificabili: lei se ne va in giro scollata, o camminando in maniera - a detta sua - provocante, stimolando la fragilità dell'uomo. Poi questa rifiuta le avances, e lascia l'uomo deluso. Giustificabile? Ovviamente no, ma è una mentalità che purtroppo portiamo ancora avanti, ed è la stessa che va a giustificare uno stupro. Fortunatamente, questo nel film viene evirato e lasciato sanguinare fino alla morte, ma la realtà dei fatti è tutt'altro che diversa. In una società dove lo stupro è ancora oggi giustificabile con una mentalità del genere, questo film andrebbe visto in chiave molto critica; la vittima che si trasforma in assalitore verso coloro che l'hanno assalita per prima altri non è che uno specchio di ciò che può accadere all'interno di una persona vittima di tale violenza, oltre a quella di un chiaro senso di "risentimento" che va a trasformarsi in pura vendetta. E se nel film del '78 l'argomento è abbastanza forte e le modalità in cui Jennifer uccide i suoi stupratori possono essere cruenti solo per l'epoca, il remake del 2010 è ancora più scioccante.

Inutile ripetere la trama, è pressoché la stessa, aggiungendo però l'inserimento di un ulteriore personaggio, lo sceriffo, che anch'esso si aggiunge allo stupro di gruppo. Qui l'orrore è raddoppiato. Se nella prima pellicola lo stupro (censurato nella versione italiana) è comunque velato dalla censura dell'epoca, in I spit on your grave il tutto è molto più diretto, e le dinamiche dello stupro sono più realistiche e più disgustose. Un qualcosa d'impatto. E non viene mostrato solo lo stupro vero e proprio, ma la violenza psicologica subita anche prima della violenza, l'umiliazione che arriverà alla conclusione di quell'orribile atto perpetrato anche da chi meno se l'aspettava (Matthew, il ragazzo ritardato). Rispetto a Non violentate Jennifer la psicologia è predominante, e si riesce ad arrivare fin dentro le sensazioni della vittima, fino al volerla incoraggiare nella sua tremenda vendetta, che qui sono molto più cruenti e "poetiche" rispetto alla pellicola originale. Anche qui c'è la scena dell'evirazione solo con un "tocco in più": una volta tagliatogli il membro, Jennifer lo infila nella bocca del suo stupratore, che tanto apprezzava il fatto di infilargli di tutto nella bocca della ragazza.

Anche qui il messaggio è pressoché lo stesso, ma vuole darlo con un maggiore impatto, e ci riesce benissimo. Non credo si possa trattare di un film adatto a tutti, è decisamente forte per i suoi contenuti espliciti, e anche se c'è una leggera esagerazione nell'esecuzione degli omicidi, il tutto è ovviabile al fatto che lo spettatore possa pensare che quel trattamento è ciò che quelle persone si meritano. Certamente, film del genere non serviranno di certo a cambiare il mondo, però potrebbero servire a far aprire gli occhi, e a far capire ad una donna che bisogna lottare, contro certe mentalità.

Tuttavia, al di là di discorsi decisamente pesanti, che purtroppo non vedranno mai luce, finché esisterà l'orrore che solo l'uomo sa creare, ritorniamo al film. Non violentate Jennifer è sicuramente un film da non perdere per gli amanti del cinema, I spit on your grave è lo stesso, solo molto più intenso con contenuti anche fin troppo forti. Consigliato a chi non si lascia disgustare facilmente.


È stato proclamato il miglior film Marvel di sempre.
Osannato da tutti, la Marvel ha dato ampiamente spazio al regista e sceneggiatore James Gunn, e a ragionissima tra l'altro, basti vedere i risultati. E io cosa posso dire in contrario? Starò qui a dare un'opinione contraria solo per il gusto di farlo? Assolutamente no, Guardiani della Galassia è stato l'unico film Marvel che aspettavo veramente con ansia per il semplice motivo che adoro James Gunn. Le aspettative erano abbastanza alte, viste anche le voci che giravano da tutto il mondo (il film è uscito ad agosto, noi in Italia abbiamo dovuto aspettare 2 mesi...) e devo dire che sono state soddisfatte!

Iniziamo col dire che io, dei Guardiani della Galassia non conosco granché. Anzi, non conosco praticamente nulla! Non seguo la Marvel, confesso che non mi ha mai affascinato, quindi il mio parere sul film non sarà molto obiettivo e non andrò a confrontare la fedeltà del fumetto con il film. Detto questo, andiamo agli elogi del regista/sceneggiatore: James Gunn è semplicemente un grande! Il suo modo di fare cinema è esattamente quello che piace a me: semplice, genuino e divertente! La trama di Guardiani della Galassia, ad essere sinceri, non è neanche delle più elaborate, ma la storia e la caratterizzazione dei personaggi scorre abbastanza fluida da rendere il tutto molto godibile. Molti spesso sottovalutano la difficoltà di riuscire a introdurre un intero gruppo di singoli individui in una sola pellicola, spesso capita che un personaggio è caratterizzato maggiormente rispetto ad un altro finendo per il diventare protagonista assoluto. Qui non accade; ogni personaggio ha il suo giusto spessore, la sua particolarità e uno spazio ritagliato egregiamente. Non vengono lasciate da parte origini, peculiarità e "stranezze" di ciascun singolo personaggio, a fronte magari di un villain che non è ben caratterizzato ma fa la sua semplice parte da "boss finale", ma a parte questo, tutto ciò che fa da cornice è decisamente magnifico.

James Gunn, che ha avuto totale libertà dalla Marvel, non ha neanche avuto bisogno di osare, semplicemente ha fatto ciò che sa fare meglio: far divertire in una maniera del tutto semplice, senza neanche cadere nella volgarità gratuita o nel machismo. Come detto, il suo modo di fare cinema è molto genuino, quasi innocente e spontaneo ed è un tratto che ne risente stesso l'umorismo e ovviamente i personaggi protagonisti. Anche un fuorilegge un po' fuori dalle righe come Rocket Raccoon assume un aspetto quasi infantile, oppure Drax - violento e irascibile - ha come caratteristica esilarante il non comprendere le metafore. Per non parlare di Groot, un gigante buono e quasi adorabile che si lascia andare in una scena di eccessiva violenza (tanto quanto divertente) per poi girarsi e sorridere in un modo del tutto innocente. Insomma, sto abusando un po' di elogi, ma la semplicità è la chiave di Guardiani della Galassia.

Non ho decisamente intenzione di proseguire per le lunghe, Guardiani della Galassia è un film bello, punto. Fantascienza, effetti speciali, azione e umorismo tutto in uno. Semplicemente ben fatto. James Gunn è un grande e non farò mai a meno di dirlo. Consigliato a tutti, così come consiglio di andarvi a vedere qualche altro film di James Gunn, uno su tutti, Super con Rann Wilson, Ellen Page, Liv Tyler e Kevin Bacon.


venerdì 19 settembre 2014



Avrei voluto esordire con un "COWABONGA" di introduzione.
Non l'ho fatto perché decisamente non sono proprio del tutto convinto del nuovo film sulle Tartarughe Ninja, diretto da Jonathan Liebesman con Megan Fox nella parte di April O'Neal. Questa mia poca convinzione vede per l'appunto un paio di punti a favore e a sfavore, che andrò sotto ad elencare, e questa volta lo farò facendo degli spoiler, quindi, se qualcuno legge queste righe e ancora non lo ha visto, si fermi.

Ma comunque, non è che ci siano poi così tanti spoiler. La trama è riassumibile in questo modo: il temibile Clan del Piede, capitanato da Shredder, è un'organizzazione terroristica che ha in mano non si sa come le redini della malavita di New York; al solito, l'intrepida giornalista April O'Neal è alla ricerca dello scoop della sua vita indagando sul Clan per conto suo, tra un servizio giornalistico sullo yoga e un altro, venendo bistrattata da tutti i colleghi, compresa Whoopi Goldberg, il suo principale. A poco più di 5 minuti dal film, si imbatte nelle Tartarughe Ninja anche se solo di sfuggita, e cerca di vendere la notizia, ma ovviamente nessuno le crede, e questo è quanto. Quando finalmente si imbatte nel gruppo di Tartarughe, scopre che a crearle fu niente di meno che (gran colpo di scena, ah le casualità della vita!) suo padre, uno scienziato collaboratore di Eric Sacks che già dall'inizio si capisce che è cattivo perché lavora con Horoku Saki, che in teoria dovrebbe essere la vera identità di Shredder, ma nessuno lo nomina, quindi Shredder è Shredder, un vecchiazzo dentro un'armatura tamarrissima che dovrebbe pesare 100 volte più di quella di Iron Man, ma che allo stesso tempo riesce a dargli un'agilità impressionante, tanto da tener scacco al Maestro Splinter (che ricordiamo, è un topo ninja, quindi non è veloce quanto un semplice topo, ma di più). Siccome Shredder è un cattivone più anonimo di Malekith in Thor 2, si getta nella mischia per non far la figura di quello che appare solo alla fine, e cattura le Tartarughe Ninja, lasciando in fin di vita Splinter e Raffaello, o almeno ne è convinto. A cosa gli servono le Tartarughe? Semplice: siccome loro stavano lavorando col siero mutante (creato da loro, o sostanza aliena come dovrebbe essere, chi lo sa?), il piano diabolico è questo: Shredder contamina la città con non si sa quale gas, e Sacks vende a tutti la cura per salvarsi e fare tanti bei dollaroni. Il senso di tutto ciò non lo ha capito nessuno, però è un piano malvagio, e una volta che Raffaello salva i suoi compagni in una serie di scene d'azione epiche e divertenti (e stavolta non sono sarcastico, sono divertenti un sacco), i quattro si ritrovano a combattere contro Shredder e alla fine vincono pure. Ovviamente. Il tutto si conclude con un paio di scene divertenti e l'introduzione a casaccio del Turtle-van che tanto ci piaceva a noi piccini quando lo vedevamo nella serie animata.

Che dire, è una trama molto banale e abbastanza infantile, e non sono neanche certo che funzioni, però a fronte di ciò, il film si può salvare per le scene d'azione, a volte sì frenetiche e confusionarie, ma godibili e soprattutto grazie all'humour che fa da contorno all'intera pellicola; perché in fin dei conti, non è proprio un film che vuole puntare su dei contenuti profondi, più che altro vuole essere un filmetto che sappia divertire e stupire con scene d'azione in CGI.


Non sono certamente una di quelle persone che guarda i film in maniera apatica, che rimane colpito solamente se il film in questione "è profondo" o meno, cerco sempre di percepire le emozioni che vengono trasmesse, e a pensarci bene, queste Tartarughe Ninja vogliono far ridere. Forse, qualche trovata potevano anche risparmiarsela, come il rap nell'ascensore, ma scene come quella in cui Splinter spezza la volontà delle tartarughe con la pizza, o quando Raffaello imita la voce di Batman, sì mi hanno divertito nemmeno poco. Ho cercato di ovviare ai buchi di sceneggiatura (personaggi che si spostano in un luogo all'altro senza un briciolo di logica, o approssimazioni che fanno acqua da tutte le parti), ho anche cercato di lasciar da parte l'odio nei confronti di Megan Fox, un'attrice che proprio non riesco a digerire; insomma, ho tentato di metter da parte tutte le note negative di questo film per vedere cosa ne rimane. Beh, la risposta è il semplice divertimento, quell'umorismo presente in tutta la pellicola che, sebbene a volte stona un po', è... sì, godibile.

Se poi devo parlare dal fan sfegatato che sono, non mi lamenterei degli stravolgimenti della pellicola, le Tartarughe Ninja hanno cambiato origini nelle serie animate con la stessa frequenza in cui io mi cambio le mutande, più che altro è il villain. Quello mi ha deluso. Rendere anonimo Shredder non mi è proprio sceso, così come affibbiargli quell'orrenda armatura, per non parlare delle origini dei quattro protagonisti. Il tutto è sempre girato attorno al maestro Splinter che voleva vendicare il suo maestro, Hamato Yoshi, ucciso dal perfido Horoku Saki, insegnando a Raffy, Donnie, Mickey e Leo le arti marziali apprese quando lui era nella sua gabbia, stavolta invece... un libro sul ninjitsu abbandonato nelle fogne? Ma davvero?


In definitiva: son del parere che si poteva fare meglio così come poteva anche benissimo esser peggio di così. Quindi sì, dai. Lo promuovo, è uno di quei film che non crea tante aspettative, ed è scorrevole nonostante i buchi di sceneggiatura, il tutto grazie all'humour. Se pensiamo che Tartarughe Ninja II e III erano a dir poco inguardabili, quest'ultimo è pur sempre recuperabile. Per i ragazzini è un bel film da vedere, alla larga i detrattori del CGI, i cui commenti sono sempre un dito nel culo ogni volta che vengono proposti film del genere. Perdonate.

sabato 6 settembre 2014



Tank Girl, uno dei miei fumetti preferiti, forse quello in assoluto!
Personaggio creato negli anni '80 da Alan C. Martin e Jamie Hewlett (fondatore dei Gorillaz, nonché disegnatore della cartoon-band), ha spopolato per anni nel Regno Unito fin quando, nel 1995, la Warner acquistò i diritti del personaggio e ne produsse, oltre a un paio di miniserie  a fumetti, un lungometraggio in live action. Il film, nel corso degli anni, ha avuto dei pareri contrastanti tra critica e fan, e tra gli ideatori di Tank Girl stessi che mai si sono tirati indietro nel dire la loro: il film faceva altamente cagare, nonostante avesse un paio di punti di forza: Lori Petty nel ruolo di Tank Girl e il carroarmato, disegnato dallo stesso Hewlett per il film. Bene, a prescindere da questa premessa, è ora di dire la mia.

Innanzitutto, facciamo le presentazioni: la storia si svolge in un futuro post-apocalittico dove l'umanità è decimata e il bene primario, l'acqua, scarseggia. Non è ben chiaro di come si sia sviluppata la società nel frattempo, l'unica cosa chiara è che è una sola società a gestire il bene, la "Water & Power" del perfido Kesslee (Malcom McDowell) che non si fa scrupoli di eliminare chiunque utilizzi l'acqua per propria autonomia. L'unica grande minaccia, a quanto pare, è costituita da delle creature mutanti denominate Ripper. La nostra eroina, Rebecca alias Tank Girl (Lori Petty) finisce vittima di un attacco della W&P in cui vede morire amici e fidanzato; dopo esser stata catturata e tenuta prigioniera, deciderà di vendicarsi e - a forza di cose - salvare l'umanità, al fianco di un branco di canguri mutanti, che vede la presenza di Booga, e della sua cara amica conosciuta in prigione, Jet Girl (Naomi Watts).

La trama, se si conosce il fumetto, si distacca completamente. Innanzitutto non solo lo scenario apocalittico è completamente nuovo, ma è presente anche la figura di un villain, cosa praticamente assente per la maggior parte delle storie di Tank Girl. Tuttavia, rimangono invariate un paio di elementi tra cui la demenzialità che sfocia spesso e volentieri nel non-sense puro. A primo impatto, magari, il film non è che sia molto flessibile e aperto a tutti, anzi potrebbe risultare molto banale e confuso. Le scene si spostano in maniera frenetica da uno spazio all'altro senza proprio una logica ben precisa, cosa che nel fumetto di Tank Girl è pane quotidiano; inoltre, la storia può risultare eccessiva sia per le scene altamente demenziali che per la caratterizzazione del personaggio di Tank Girl, interpretata da una eccezionale Lori Petty la quale è perfetta per il ruolo (soprattutto nell'aspetto), ma che a tratti potrebbe risultare fastidioso, per via della sua frequente irriverenza mista a un atteggiamento molto infantile. Ma tutto ciò è passabile, se ci si nutre di non-sense costantemente. Forse non rientrerà mai tra i migliori film tratti da fumetti, e forse non sarà dei migliori, però non è neanche da buttare.


Personalmente, io trovo il film quasi una demolizione della figura femminista che Tank Girl assume nel contesto delle storie a fumetti. Non ché venga ridicolizzata, anzi, rimane pur sempre un personaggio con una forte personalità, ma gli manca "quel qualcosa in più" che Martin e Hewlett hanno saputo dare, sicuramente il "tocco inglese" che soltanto i britannici sanno dare. Alan Martin che, come già detto, non solo non ha apprezzato il film, ma ne ha risentito parecchio per via del trattamento che gli Stati Uniti hanno dato al suo personaggio; la Warner assegnò alla DC Comics la realizzazione di un paio di mini-serie a fumetti sotto l'etichetta Vertigo. Queste pubblicazioni sarebbero dovuto riguardare una trasposizione a fumetti del film, una storia originale scritta da un autore differente, e un'altra che avrebbe dovuto far da sequel al film. Martin, che era al lavoro per l'ultima, nonostante avesse scritto una sceneggiatura tutta sua, si vide soffiare il lavoro dalla DC Comics che diede a Peter Milligan il suo lavoro. Da qui, una lunga causa legale tra la Warner e Martin, che vide trionfare l'autore inglese - per fortuna. Questo aneddoto, per spiegare quanto Alan Martin sia parecchio risentito del contratto avuto con gli Stati Uniti; in poche parole: il film è odiato dallo stesso creatore Alan Martin, ma non dai fan che - paradossalmente - hanno reso la pellicola un cult.

Tuttavia, a discapito dei pareri contrastanti, sono dell'idea che Tank Girl sia stata un'ottima trovata; l'idea di inserire un villain era più che dovuta, forse un po' troppo eccessivo il caos che si è voluto ricreare per renderlo fedele al fumetto, che tutto trasmette tranne quel senso di ribellione che Martin e Hewlett avevano concepito dall'inizio. Stesso discorso anche per alcune scelte di sceneggiatura, tipo inserire personaggi strambi a tutti i costi, e presentare un mondo in cui viene approfondito poco o nulla, ma se accettato così com'è allo stesso modo in cui viene proposto la sua versione cartacea, è pur sempre un film folle, un po' caotico, ma godibile.


domenica 24 agosto 2014



E indovinate di cosa ritorniamo a parlare oggi? Zombie!
Ebbene sì, in questo periodo è risorta la mia fissa per gli zombie. Tra film, filmacci e libri inseriti nella mia wishlist di Amazon, mi è capitato tra le mani Zombies Calling, fumetto scritto e disegnato da Faith Erin Hicks, autrice canadese vincitrice di un Eisner Awards 2014 per la categoria Best Publication For Kids con il suo The Adventures of Superhero Girl.

Zombies Calling non è il classico fumetto convenzionale sugli zombie. Niente roba horror, nessun gruppo di sopravvissuti all'apocalisse che si uccidono tra loro per deciderne la leadership o quant'altro. Assolutamente niente di tutto questo. La protagonista, Joss, è una giovane universitaria con due grandi passioni: l'Inghilterra, e i film sugli zombie; insieme ai suoi amici Sonnet e Robyn, si ritroverà coinvolta in una invasione di morti viventi all'interno del suo campus. Tutto quello che devono fare per sopravvivere, è seguire le regole dei film per gli zombie, di cui Joss è espertissima! Un po' alla Benvenuti a Zombieland, ma senza prendersi molto sul serio. Suddette regole, infatti, altre non sono che semplici constatazioni (talvolta palesi quanto banali) sull'assurdità dei film sugli zombie, o degli horror in generale; il tutto contornato da dei disegni che ricordano vagamente a quelli di Bryan Lee O'Malley, autore di Scott Pilgrim, anche se forse Zombies Calling non rispecchia ancora il pieno potenziale dell'autrice, sia a livello di disegni che di sceneggiatura. Tuttavia, sa come rendere un fumetto godibile e divertente. Anche se il tutto si limita a un mezzo sorriso, e non al divertimento puro che magari Scott Pilgrim ci sa dare!

La cosa da apprezzare, è il tentativo dell'autrice di cercare di uscire da ogni schema di film con gli zombie. Con un tentativo di approccio "Romeriano" sul finale, si rivela comunque un fumetto che non è del tutto privo di contenuti, anche il semplice parodiare il film di genere riesce nel suo intento, arrivando anche a sottolineare come - paradossalmente - nei film di zombie, nessuno conosce davvero l'esistenza di essi attraverso la letteratura o il cinema (un po' come accade con Dracula, i vampiri etc.); da qui, nasce anche la strana regola che nei film di zombie, proprio "la parola con la zeta" è del tutto bandita, e qui mi faccio accompagnare da una citazione di uno dei miei film preferiti.

L'albo a fumetti, infine, è inedito in Italia, ma ad ogni modo è reperibile su Amazon, proprio dove ho reperito la mia copia. Il suo interno è completamente in bianco e nero, e a fine albo ci sono un po' di contenuti extra, in cui si spiega l'impronta personale dell'autrice sul personaggio di Joss, come la passione per l'Inghilterra (il titolo dell'albo, tra l'altro, è un chiaro riferimento alla canzone London Calling dei The Clash!), la nascita dei personaggi comprimari e le prime bozze di essi. I disegni, ritorno a dire, non sono malaccio: forse non è ancora al massimo delle capacità della Hicks, ma sono assolutamente godibili! Il prezzo non è neanche elevato, se per caso vogliate provare a darci uno sguardo, vi assicuro che se ricercate una lettura diversa dal solito, leggerina e senza tante pretese, Zombies Calling è una di quelle. Un fumetto di una giovane autrice che merita il successo che sta avendo. Non a caso, è lei la disegnatrice dietro il prequel a fumetti del videogame The Last of Us, ma questa è un'altra storia...

giovedì 21 agosto 2014



Oggi, doppia recensione.
Ciò di cui andrò a parlare quest'oggi è Hercules, film uscito in questi giorni nelle sale che vede come protagonista l'ex wrestler Dwayne "The Rock" Johnson sotto la regia di Brett Ratner (X-Men: Conflitto Finale, Rush Hour) ispirato al fumetto di Steve Moore, Hercules: The Thracian Wars, distribuito dalla Radical Comics.

Passando prima in analisi al fumetto, davvero spenderò pochissime parole. Trattasi di una miniserie in 5 volumi scritta da Steve Moore con i disegni di Admira Wijaya, che narra un'avventura del tutto slegata al mito di Hercules, ma che si ricollega ad essa. Qui Hercules altri non è che un mercenario, che porta al suo seguito degli abilissimi guerrieri che si sono uniti a lui nel corso degli anni durante le sue famosissime 12 fatiche, più Iolao il famosissimo nipote del figlio di Zeus, che lo seguì per gran parte delle sue imprese. Incaricato dal re Cotys di addestrare il suo esercito, questo si ribellerà dopo essersi reso conto della sua tirannia, e delle sue ambizioni tutt'altro che nobili. Hercules, quindi, si ritroverà a fronteggiare lo stesso esercito da lui addestrato, pur di fermare la sete di potere del tiranno.
La storia, fin qui, è abbastanza semplice. Un qualcosa che vuole riempire delle ambientazioni affascinanti, accompagnate da dei disegni che sono veramente ben curati. Le battaglie sono spettacolari, una vera goduria per gli occhi, affiancando una storia che si va ad affiancare al mito regalandoci una storia in più sul leggendario Hercules.

Il film, invece, segue più o meno le stesse vicende, ma rimescola totalmente le carte. I guerrieri al seguito di Hercules son gli stessi, e alcuni elementi del fumetto rimangono, ma c'è un totale distacco da ciò che è l'opera di Steve Moore. Innanzitutto, qui re Cotys ingaggia Hercules di addestrare il suo esercito e di fermare la furia di Rheseus, che minaccia di conquistare la Tracia. Anche qui, Hercules viene rappresentato come un mercenario, ma si vuole distaccare totalmente dal mito, o meglio lo tratta proprio come tale! Le fatiche di Hercules, infatti, altri non sono che comuni gesta di un mortale enfatizzate dai racconti del nipote Iolao, che vanno a descrivere il guerriero appunto come un essere leggendario. Una scelta abbastanza strana, ma che nel film vuole avere un suo scopo, anche se - almeno a parer mio - non è del tutto necessario. Fermandoci a Iolao, invece, si discosta enormemente dalla sua versione cartacea. Se nel fumetto, così come nel mito, è descritto come un guerriero impavido, secondo solo a Hercules, qui è una semplice spalla, sciocco, con la voglia di combattere, sì, ma totalmente innocuo; ma ciò troverebbe anche il suo senso nel complesso del film. Per quanto gli altri personaggi, non ci si è soffermati molto sui comprimari, però anche loro trovano il proprio spazio e vengono ben caratterizzati, su tutti Ampharius, Atalanta e Tydeus. Mentre il ruolo di Autolycus, a mio parere, non l'ho ben capito. Forse il personaggio più inutile di tutti. Tuttavia, il film non ha molte pretese. Al di là della "distruzione" del mito atto a costruirne uno tutto suo, si intende. Un film abbastanza divertente, che ha dei buoni spunti, delle ottime scene di battaglia e una computer grafica non esagerata. Ottima, come sempre, l'interpretazione di The Rock, che resta comunque un grande attore anche se si ostina a recitare in ruoli un po' troppo stereotipati - ma ci sta, ha la passione della recitazione, e si vede.


Il rapporto finale è: a me sia il fumetto che il libro non mi sono dispiaciuti. Dal film me lo aspettavo uno stravolgimento, come giusto che sia, anche se non approvo. Quando si tratta di personaggi seriali va bene eliminare qualche elemento caratteristico e prender spunto da saghe per crearne una con una sua personalità, ma qui stiam parlando di una graphic novel, avrebbe anche potuto essere più fedele! Ma tant'è. Tanto sono abbastanza sicuro che molti che sono andati a vedere Hercules (e in sala non ce ne erano pochi!) neanche sapranno dell'esistenza del fumetto, e in caso contrario non l'avranno nemmeno letto. Diciamo che entrambe le opere vanno prese per come sono, storie slegate al mito, anche se la scelta arrogante degli sceneggiatori di Hercules, di demolire il mito per costruire "la vera leggenda" è abbastanza discutibile.

 

Nota conclusiva. Alan Moore, come qualcuno saprà, aveva chiesto ai fan di boicottare il film in quanto sfrutta il nome dell'autore in modo illecito, Steve Moore (non c'è alcuna parentela), passato a miglior vita, senza il consenso dei familiari. Alan Moore, di solito, si è sempre lasciato andare in critiche del genere, penso che questa volta abbia ragione. Per come è stato trattato il fumetto, tuttavia, boicottarlo sarebbe stata cosa buona e giusta.

martedì 19 agosto 2014



Premettendo: due generi di film che mi piacciono in particolar modo sono le commedie, e gli horror. Ancora più di questi due, sono gli zombie.
Sì, sono un grande fan degli zombie, e sono pronto a sbranare chiunque abbia il coraggio di dire che i film sugli zombie sono tutti uguali. Certamente, negli anni ci hanno praticamente tartassato con film, serie tv, fumetti, videogiochi e quant'altro, e indubbiamente tra remake e altre tamarrate qualcosa di già visto è sempre presente. Sia chiaro che a me non piacciono gli zombie a prescindere, sono molto legato allo zombie Romeriano (e grazie al ca**o, direi), ma quando si ha modo di poter vedere qualcosa di diverso dal solito film zombie-apocalittico, mi ci fiondo. E Deadgirl è uno di questi film, che oserei dire originale, per niente banale, e di forte impatto.

La storia, diretta da Marcel Sarmiento e Gadi Harel per la sceneggiatura di  Trent Haaga (Citizen Toxic: The Toxie Avenger IV), parla di due amici, Rickie e JT, che vengono alla scoperta del corpo di una donna, che si rivelerà essere uno zombie la quale diventerà oggetto delle loro perversioni. Da qui, si susseguiranno una serie di vicissitudini seguendo passo passo i personaggi principali e il loro rapporto morboso con questa zombie, e in particolare l'interesse amoroso di Rickie, la bella Joann, amore che neanche a dirlo, non è corrisposto. Senza andar troppo a spoilerare, diciamo anche che il film non è neanche tanto cruento e per niente spaventoso, e ciò nonostante riesce comunque a colpire grazie ai suoi contenuti, che sono anche di una natura abbastanza dubbia: far sesso con uno zombie, equivale allo stupro o alla necrofilia? Questo è più che altro il pensiero che mi son posto io da solo, il film in realtà vuole più esplorare il lato egoistico delle emozioni umane, dalla semplice voglia di sfogare le proprie repressioni sessuali, sia a quelle più "docili". Bellissima la scena finale, in cui si arriva a mettere in dubbio la vera natura del protagonista: è per davvero innamorato, o anche lui segue la sua natura umana, pensando semplicemente ai propri interessi pur di non restare da solo con un sentimento non ricambiato?

Il film, inedito in Italia, non ha un cast molto conosciuto, salvo qualche faccia già apparsa in altri film horror più o meno conosciuto (Cabin Fever, Cappuccetto Rosso Sangue), però devo riconoscere che è impeccabile. Una produzione seria, per un film che non ha trovato molto riscontro col pubblico di massa, anche se nonostante tutto ha ricevuto delle critiche abbastanza positive. Personalmente, è stato uno di quei film che mi rimarrà impresso. Un buon horror, con delle parti divertenti che non stonano col film; una storia che forse mancherà di tensione, ma fa restare attaccato allo schermo, per capire dove si andrà a finire. Se proprio l'elemento horror caratteristico, quale lo spavento improvviso, la tensione, etc., qui non sono presenti, troviamo più un lato psicologico che arriva a disgustarci, a disprezzare la razza umana, quale buona o cattiva che sia. Un film che mette in dubbio le basi morali di ogni essere umano.

Bello, promosso, posto sulla videoteca meritatissimo.