sabato 3 ottobre 2015



Metà anni '90. Il cinema parodistico spopola nelle sale.
E Jerry Calà è all'apice della sua carriera.
Cosa c'entra Jerry Calà con il cinema parodistico, ci chiediamo. Cosa c'entri Jerry Calà col cinema, invece, è tutt'altra storia. Chicken Park è il film di debutto alla reggia di Jerry Calà ed è la parodia del colossal Jurassic Park in quell'epoca uscito da poco nelle sale e di cui tutti noi conosciamo il successo. In linea generale, Chicken Park mantiene fede al cinema parodistico statunitense, quello consacrato con i vari David Zucker, Jim Abrahams e via discorrendo, inserendo qua e là anche altre parodie e/o citazioni ad altre pellicole di successo. Riuscendoci abbastanza male, c'è da dire. Prima però di proseguire con le considerazioni personali, un breve riassunto del film, che vede come protagonista proprio Jerry Calà (che qui non esclama mai "Libidine" :( sigh) e Demetra Hampton, che con piacevole stupore ho scoperto che si tratta di colei che diede il volto alla Valentina di Crepax nella serie televisiva. Non c'entrava niente, ma volevo scriverlo. Ritorniamo a Chicken Park.

Vladimiro è un tizio che se ne va in giro con un pollo il quale, dopo una lotta clandestina buttata lì a cazzo, viene rapito e spedito a Chicken Park, un luogo dove clonano... polli preistorici (vabbè). Vladimiro parte quindi alla ricerca del suo uccello e si ritrova, ancora a cazzo, a cena con la famiglia Addams per poi scappare, sempre a cazzo, dai polli giganti (che non hanno mai le stesse dimensioni). E poi si limona Demetra Hampton, che è quasi sicuramente il motivo per cui Jerry Calà ha girato questo film.

Ora, non starò qui a parlare di quanto sia un film veramente brutto.
Non starò qui a precisare che Jerry Calà, che ha girato completamente il film in lingua inglese, ha fatto girare la pellicola in tutto il mondo convinto che facesse sganasciare dalle risate. Voglio fare qualcosa che nessuno ha il coraggio di fare. Ne voglio parlare BENE. Perché, sì, il film tenta di strappare qualche risata forzatamente e non ci riesce, ha dei tempi comici troppo lunghi e ripetitivi che riescono a spezzare anche quei pochissimi momenti in cui fa realmente ridere, ma in linea generale - a mente più aperta - il film può essere rivalutato e visto sotto un'ottica più positiva. Iniziamo parlando appunto della sua comicità. Tralasciando i già citati momenti troppo lunghi, si tratta comunque di un umorismo raffinato, se non di denuncia è quasi come un rimarcare delle ovvietà ridicolizzandone il concetto. I semafori buttati in mezzo alla foresta è un chiaro esempio di come, appunto, siamo abituati in alcune regioni di Italia dove sono sistemati in luoghi improbabili, oppure - e qui andiamo sul sofisticato - la scena dell'arrivo in aeroporto, dove iniziano a partire una serie di riferimenti cinematografici che potrebbero simboleggiare l'esportazione del cinema statunitense in tutto il mondo.

Ed è partendo da qui che poi ci spostiamo sul punto forte dell'intera pellicola. Anche se il tutto viene gestito male, Jerry Calà tratta con sufficienza e superficialità numerosi temi proprio per ritrarre un quadro atto a dimostrare cosa lui pensi sia in realtà il cinema. E il messaggio è abbastanza chiaro, è un elemento richiamato a più riprese in quell'ora e mezza: il sesso. Il sesso lo ritroviamo non solo palesemente nelle gag più esplicite ma anche a livello subliminale. Già è rintracciabile nel contesto intero del film, il quale ha come antagonisti degli enormi uccelli (cock, in inglese, ma forse la cosa risulterebbe più ovvia in lingua americana); Jerry Calà stesso ha come unico scopo in tutto il film di ritrovare il suo uccello. Per non parlare del finale, dove il nostro eroe (!!) ha un faccia a faccia con un pollo gay; scena forse un tantino omofobica, ma atta a spiegare come funzioni il cinema. Il sesso è la chiave di tutto, ma per far più soldi bisogna dare di più, in quell'ambiente. E il tutto è collegabile al contesto "cinema" sin dalle prime fasi del film, in cui Calà spiega come il suo pollame, trattato con la massima cura e il massimo amore, si trasformi in un circolo di vizi (alcol, droghe, prostituzione!), così da spingerlo addirittura a viaggiare e adattarsi in un altro contesto dove però finisce alla stessa maniera. È quindi un'esortazione dello stesso Calà a guardare la vita (e il sesso stesso) in una maniera più gioiosa, senza farsi corrompere dalle belle donne vogliose e ninfomani.

Quindi è questo ciò che il film è riuscito a trasmettermi.
Peccato, però, che tutto finisca nel cesso per colpa di una regia veramente fatta male e una sceneggiatura che, sebbene abbia dei punti di forza, scade particolarmente per il semplice fatto che è un'accozzaglia di gag e non una storia lineare, un po' come accade con i più recenti Scary Movie. Insomma, Chicken Park non lo ritengo affatto da buttare. Un film con un messaggio genuino, forse un po' ignorante sotto alcuni aspetti, lanciato anche senza un briciolo di arroganza (come Greggio con Box Office). E se aveste visto il film e, leggendo queste righe, aveste voglia di linciarmi, vi ricordo che quando vi lasciate con il vostro/a ragazzo/a non ritenete mai buttato il tempo passato con questi, anche se si comporta di merda, conserverete dentro di voi quel lato buono. E questo è Chicken Park: un ex incapace che ha cercato di dare il meglio di sé stesso fallendo.

Clamorosamente.

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