martedì 27 settembre 2016


Cosa succede quando si ha il coraggio di trasformare in un film una hit musicale?
Domande a cui sarebbe meglio non rispondere, soprattutto se si pensa che stiamo parlando di Laura non c'è, canzone famosissima che rese famoso il cantante Nek nell'ormai lontano 1997 e titolo dell'omonimo film ad essa ispirata uscito nel 1998. Ora non chiedetevi perché l'abbiano fatto, erano gli anni '90 e basti pensare ad un'altra pellicola uscita sempre in quell'anno, Jolly Blu, film degli 883. Quando lammerda (o trash, come vogliate chiamarlo) regnava sovrano nel panorama italiano e a nessuno importava. Ad ogni modo, perché sono qui a parlare di Laura non c'è? Io, che in questo blog tratto sempre o di film horror o di fumetti, tra l'altro. Ebbene, un mio amico ha festeggiato da qualche giorno i suoi 25 anni e ha ricevuto in regalo proprio questo DVD (con una cover realizzata veramente male, al punto che il dorso non combacia con la custodia!) e, da amanti del cinema di merda, non abbiamo perso tempo decidendo di gustare questa perla - forse rimasta nell'anonimato, non saprei. Io di certo neanche sapevo che avessero fatto un film su quella canzone! Ad ogni modo, il film è veramente brutto, ma tant'è che son qui e devo dare un senso al tempo sprecato, proseguiamo prima con la classica sintesi del film. Partendo direttamente dalla fine.

Nek è un disegnatore che sta realizzando una storia a fumetti: quella del film che avete appena finito di vedere in quella dolorosa ora e mezza composta da dialoghi imbecilli, umorismo becero e regia fatta alla cazzo di cane. Ad ogni modo, 'sto fumetto che sta girando non c'entra proprio nulla con il testo della canzone, se non per una scena. Il personaggio protagonista del film (e del fumetto di Nek) è tal Lorenzo, un disegnatore di fumetti che gira col maggiolone di Dylan Dog e perenne sfigato e innamorato cronico dell'amore anche se, anziché essere un dongiovanni (e potrebbe esserlo, visto che è belloccio) si innamora di ragazze che conosce per 2 minuti. Salvando questa ragazza, Laura, da alcuni tipi che... beh, la strattonano, viene menato per poi venir curato da Laura. Sì, non ci ho capito un cazzo perché la sequenza è fatta veramente di merda, comunque 'sta Laura lo porta a casa sua (di Lorenzo, mica la sua) e il tipo s'è innamorato perso. Però Laura non è proprio un tipo che si capisce cosa voglia: ha strane teorie sull'occultismo e sulla reincarnazione, se la fa con Amadeus e un vecchio che le fa le dosi di insulina perché diabetica che poi si scopre essere il fratello che Lorenzo scambia per l'amante che la picchia e infatti per questa cosa litigano. Ad ogni modo, la storia è contorta e non ha senso, non si sa perché Lorenzo si sia innamorato di Laura (forse perché lo abbandona mentre lui fa una telefonata a caso dopo aver accarezzato un gatto) e Laura comunque se la tira dicendogli quando decide di sparire dalla sua vita: "Hai perso il l'amore più importante della tua vita!". Convinta lei. Ad ogni modo fanno pace nonsisaperché e lei muore di diabete. Una volta seppellita in un cimitero con le croci blu (e nel cimitero è sempre notte) si reincarna in un gatto e Lorenzo si strombazza il gatto, probabilmente. Ah, e la sua carriera di fumettista comunque decolla, almeno il bel finale. Non si sa se lavora per la Bonelli o la Star Comics, è abbastanza confuso. Lorenzo adora Lazarus Ledd ma il suo editore (un tipo che era così povero che suo padre usciva di casa e sparava a cazzo nel nulla) afferma che 'sto fumetto che ha creato diventerà più famoso di Lazarus Ledd! La fine del film, poi, riprende la "vita reale", cioè Nek che incontra tutti i personaggi disegnati nel fumetto (boh) e poi trova le palle per andare da 'sta Laura e baciarla a caso. Il film s'interrompe, probabilmente il personaggio di Nek verrà arrestato per molestie sessuali.

Siete confusi?
Bene, perché si è confusi nel momento in cui il film parte, con sequenze totalmente a casa di mafiosi che sparano in una discoteca e personaggi caricaturiali che, ok, fatti apposta, ma tristi e inutili. Un nano che ogni volta che appare dice a una tizia "se mi baci divento un principe" e mangia Smarties urlando "ME DROGO ME DROGO" (e altre citazioni improbabili su di un suo fantomatico utilizzo di droghe che vabbè, se lo dicono loro è così). Un padrone di casa che, per chiedere l'affitto, si comporta come un mafioso. Il miglior amico del protagonista che parla un finto romanaccio ed è un autentico morto di figa. E poi, i protagonisti che sono tutto dire: Lorenzo è Nicholas Rogers, attore australiano che chi ha avuto il coraggio di guardarsi tutti e 5 i Fantaghirò si ricorderà per il personaggio di Tarabas (grazie, Wikipedia). Mentre Laura è Gigliola Aragozzini di cui stavo per parlare male, ma ho appena letto che è morta a 23 anni di leucemia quindi mi asterrò da commenti negativi. Se non dire che quel film le ha portato sfiga. Ad ogni modo, nemmeno a parlarne di caratterizzazione dei personaggi, perché non c'è, non esiste una caratterizzazione così solida da poter spendere qualche parola. Il film è confuso e i protagonisti sono più anonimi dei comprimari e delle comparse, le quali queste ultime (per quanto penosi) hanno più carisma del protagonista.

Commento tecn-seh, vabbè.
Ammetto di non essere affatto il più adatto ad un commento tecnico ma in questo film anche un cretino potrebbe notare quanto tutto faccia schifo. Inquadrature inutili, inquadrature tagliate, effetti scenici esagerati e un montaggio sonoro messo su con una semplice sovraesposizione audio. Per non parlare dei tagli e delle transizioni, passaggi da uno scenario all'altro senza scopo e senso, rendendo la storia soltanto confusa. Si passa dalla notte al giorno come se fosse niente con i personaggi che danno così l'impressione di aver speso 12 ore a parlare dello stesso argomento. Per non parlare di una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti e che trova espedienti ridicoli, tipo sul finale in cui Lorenzo vede per l'ultima volta Laura e poi si addormenta per 48 ore senza sapere che poi lei il giorno dopo è morta. Il punto di forz... no, mi viene da ridere, diciamo così che il regista (Antonio Bonifacio) ha dato un'impronta fumettistica all'intera pellicola, sfruttando situazioni statiche e sequenziali basati su semplici dialoghi che spesso e volentieri si spostano di scenario in scenario con personaggi che compiono azioni diverse. Una formula che in un fumetto ci può anche stare, non disturba la lettura ed è funzionale... ma in un film? In un film è lammerda, tutto appare confuso e non c'è un filo narrativo solido che potrebbe, almeno in parte, giustificare l'azione che avviene. Giusto alcuni intervalli "disegnati a fumetti" lasciano intuire che sia quella l'intenzione del regista e se non ci fossero stati, ne dubito si sarebbe capito. Ad ogni modo resta una scelta interessante ma è realizzata un bel po' male. Gli stessi dialoghi sono molto caricaturali, ricordando un po' le dinamiche fumettistiche già citate, non ha almeno la pretesa di prendersi troppo sul serio anche se le battute e l'umorismo è veramente tanto, tanto, tanto, tanto, tanto triste. Non manca, comunque, la strizzatina d'occhio alle fangirl con l'attore belloccio inespressivo che però è bello quindi chissenefotte, e la classica scena strappamutande con lui che s'affaccia al balcone per mostrare a Laura un cartello con su scritto "Laura sei grande".

In definitiva.
Fa cagare.

Non manca il mio consueto tentativo di salvare il salvabile, però davvero non mi va di ribadire il concetto che, se fatto diversamente sarebbe stato interessante ma... stiamo parlando del film su una canzone di merda di un cantante mediocre (e non me ne vogliano i suoi anzi le sue fan) che ha fatto il suo tempo ad inizio degli anni 2000. Fa schifo, punto.

L'unica domanda che mi pongo è: le ragazze, fan di Nek, che all'epoca erano adolescenti, cosa hanno pensato di questo film? Come sono cresciute? Cosa fanno ora? Si drogano? Sono diventate persone serie? Se a leggermi è stata una fan di Nek a fine anni '90 me lo faccia sapere, grazie.


giovedì 22 settembre 2016



Up, up and away!
Apro così, con questa frase iconica legata al personaggio di Superman, sia per restare in tema con la recensione che andrò a trattare sia perché è con questo che festeggio il post n° 100 di questo blog. Nessun numero speciale, una recensione come un'altra come ormai sono abituato. E ovviamente ringrazio quei pochi, silenziosi, lettori che ogni tanto si fermano a leggere. Insomma, bando ai convenevoli e parliamo di Supergirl, serie TV ideata da Greg Berlanti e Andrew Keisber (gli stessi di Arrow, Flash, Vixen e Legends of Tomorrow) e prodotta dalla CBS. Almeno questa prima stagione, la seconda è ufficialmente promossa da CW, lo stesso che manda in onda le già citate serie DC. Allacciate le cinture e partiamo con questa recensione.

Di Supergirl c'è ben poco da sapere: cugina più grande di Kal-El, viene spedita sulla Terra dai genitori per prendersi cura del cugino ma un incidente sulla sua navicella la catapulta quasi 30 anni dopo il suo arrivo, trovandosi quindi un Kal-El non più piccolo ma cresciuto e che ha già assunto l'identità di Superman. Le origini qui si discostano parecchio dalle numerose che sono già state raccontate, non vengono accennati gli avvenimenti di Argo City e Supergirl arriva sulla Terra e, anziché seguire le orme del cugino, decide di restare nell'anonimato e comportarsi come una qualsiasi terrestre... salvo poi rinunciare per seguire la sua ispirazione più grande e vestire il manto di Supergirl. Da qui, l'intera serie è strutturata su un modello procedurale, con il cattivo della settimana da sconfiggere, ma allo stesso tempo un un'unica trama che fa da cornice. Non diverso insomma da The Flash. Gli episodi, di base, ripescano e rivisitano numerosi nemici di Superman e Supergirl così come le storie, in particolare un episodio si rifà a Per l'uomo che ha tutto di Alan Moore, il ché rende la cosa molto più interessante. Se volessimo, infine, riassumere l'intera stagione di Supergirl basterebbe dire che Kara Zor-El è alla scoperta del suo ruolo da supereroe, coadiuvata dall'aiuto dei suoi colleghi James Olsen e Winn e dal DEO, cui fa parte anche la sua sorellastra, Alex, e insieme -tra un nemico e un gattino salvato da un albero- tentano di fermare dei criminali fuggiti dalla Zona Fantasma (dalla quale la stessa Kara era rimasta imprigionata e congelata). Non mancano, ovviamente, i problemi esistenziali che fanno parte della sua quotidianità, su tutti la vita sentimentale e il lavoro come assistente a Cat Grant, interpretata da un'ottima Calista Flockhart, l'ex Ally McBeal.

Se volessimo deframmentare l'intera serie, direi che fortunatamente Supergirl riesce a differenziarsi dai vari Arrow e The Flash, mantenendo non solo un distacco fortemente sentito a causa dell'universo narrativo separato dall'Arrow-verse, ma per le tematiche stesse che questo affronta. Abbandonato quindi il mondo cupo di Arrow e quello più fanciullesco di The Flash, Supergirl rispecchia alla perfezione l'ideale del supereroe, ciò che esso rappresenta (in primis, ovviamente, la figura di Superman). Tanto di cappello, quindi, agli ideatori che hanno riuscito a trasmettere emozioni, a commuovere e far sorridere, anche se con un buonismo tirato ma che calza a pennello se lo affianchiamo al contesto quale è un mondo in cui esiste Superman. Ancora più riuscito è il presupposto con cui si sarebbe (e si è) dovuta sviluppare il concept: dare al pubblico un personaggio femminile forte, indipendente e che fosse alla pari con un personaggio della caratura di Superman, sia per forza/poteri che per ideale. E Melissa Benoist calza a pennello in questo ruolo, riuscendo a dare l'impressione di una ragazza qualunque, semplice e ordinaria alla stessa stregua di un supereroe fortissimo e che ispiri la gente. Su numerosi aspetti, reputo che Supergirl sia una serie ben riuscita, i personaggi sono caratterizzati non dico fedelmente (Jimmy Olsen nero, bello, palestrato, vabbè...) ma con spessore. Il personaggio di Cat Grant spicca tra tutti, perché se da un lato verrebbe da chiedersi chi è più Supergirl, Cat o Kara?, con il proseguire della storia e l'approfondimento del personaggio, viene fuori come sia realmente d'ispirazione la figura di Supergirl Kara, sempre a riuscire a tirare fuori il meglio delle persone. Come suo cugino.

Però, non mancano le note dolenti.
A fronte di una caratterizzazione dei personaggi ben riuscita, alle meccaniche di narrazione interessanti, personaggi veramente interessanti (avevo troppa voglia di vedere Red Tornato in un live action!) non mancano i difetti. I buchi nella sceneggiatura, i numerosi plot-holes che Berlanti e Kreisberg si lasciano via via in ogni serie che toccano. L'impressione è che per riuscire a fare qualcosa di riconoscibile al pubblico e che affascini, si dimenticano pezzi per strada o ignorano delle domande più che logiche: se il DEO è una base segreta nel deserto, perché la gente entra ed esce quando vuole e quanto tempo impiegano i vari civili a raggiungere l'avamposto? E poi, che sicurezza di merda c'è? E le prigioni sono prigioni o è solo una stanza? Queste e altre domande, ma difetti ci sono anche nel narrare le vicissitudini in chiave rosa tra i personaggi che, a mio dire, alla lunga stancano perché ripetono sempre la stessa formula ragazza lascia ragazzo per motivo scemo e scappa via. Tutto questo, comunque, incide veramente poco sulla qualità dello show che ad ogni modo si concentra più su Kara supereroe e gli effetti che ha sul mondo. Ed intelligentissima l'idea di non mostrare mai Superman. È una serie su Supergirl, un supereroe messo in ombra solo perché sembra essere solo un rip-off di un personaggio preesistente che deve dare dimostrazione che lei non è la cugina di Superman. Lei è Supergirl.

In definitiva.
Supergirl, se preso così com'è, non è affatto male. Mi ha divertito ed appassionato, nonostante io avessi dei seri dubbi visto che Berlanti e Kreisberg mi hanno veramente deluso, ma sembra che gli errori compiuti in Arrow e nella seconda stagione di Flash siano stati imparati, anche se ancora con qualche notevole difetto. Ma ci sta, non stiamo parlando di serie con un certo spessore come lo sono quelle Marvel prodotte da Netflix, il paragone non regge nemmeno. Certamente da fan DC mi piacerebbe vedere qualcosa del genere, ma risulterebbe complicato raggiungere un pubblico di massa, e fondamentalmente per ora Supergirl funziona così com'è. Almeno la prima stagione, dalla seconda in poi sarà prodotta da CW e, viste le esperienze passate, temo il peggio visto che andranno già a spezzare ciò che ha caratterizzato alla perfezione il telefilm: mostreranno Superman e per me non è un buon presupposto, ma staremo a vedere.

Lontani i fan che ricercano un prodotto maturo e strutturato in maniera coerente, Supergirl è una serie carina ma pieno di imperfezioni che se viste con una certa leggerezza, però, non incidono molto sul prodotto finale. La scena memorabile e che più mi è piaciuta? Supergirl che resta senza poteri e, rischiando di morire come una mortale, ferma una rapina a mano armata.

Questa, signori, è Supergirl.
E speriamo che non facciano la cazzata di rovinarci anche questa.

lunedì 5 settembre 2016


Le Tartarughe Ninja sono tornate!
E stavolta la recensione arriva con qualche mese di ritardo, per il semplice motivo che non me la sono proprio sentita di vederlo al cinema. Del primo film ne ho già parlato, restando su toni imparziali e molto contenuti - non mi era piaciuto, ma grosso modo non ne avevo voglia di parlarne completamente male. Potrei benissimo fare un copia e incolla perché questo secondo capitolo non si discosta molto dal primo film, qualitativamente parlando, l'unica differenza sta nell'inserimento di numerosi elementi presenti nella serie animata di fine anni '80.

Il film riprende subito dopo gli avvenimenti del primo film: le Tartarughe hanno salvato New York da Shredder, ma i meriti se li è presi Vernon, il cameraman di April O'Neil, come parte di un accordo preso con le tartarughe che hanno deciso di restare nascoste nell'ombra "perché sono ninja, agiamo nell'oscurità" salvo poi andarsene in giro con un camion della nettezza urbana molto pacchiano e che dà fin troppo nell'occhio. Ad ogni modo, Shredder riesce a fuggire dal carcere con l'aiuto di Baxter Stockman, uno scienziato geniale quanto sfigato (sarà perché è dedito al crimine anziché a ricerche scientifiche più serie?) e anche grazie a Rocksteady e Bebop, due criminali un po' tonti e che amano far rissa con una strana ammirazione per il leader del Clan del Piede. Shredder durante la fuga viene rapito da Krang, sì insomma il cattivone alieno che vive nella pancia del robottone, e gli dice che in passato aveva intenzione di conquistare il pianeta ma con scarsi risultati quindi gli propone di trovare alcuni pezzi di un dispositivo sparsi sulla Terra e in cambio, gli verrà dato il dominio del pianeta. Shredder, che paradossalmente è ancora più anonimo che nel primo film, si fomenta e decide di accontentarlo. Ed è compito ancora una volta delle Tartarughe Ninja fermare il tutto, combattendo sia contro i cattivi che contro loro stessi in quanto Leonardo non riesce a tenere in riga i tre fratelli ammettendo che non funzionano come una squadra. Neanche a dirlo, le Tartarughe Ninja escono fuori dall'ombra e pongono fine alla minaccia di Krang. E di Shredder non si sa più niente.

Trama ancora una volta infantile, buchi di sceneggiatura enormi e tanta pochezza di contenuti. Eppure gli spunti ci sono per approfondire argomenti come il legame di sangue, l'emancipazione, l'isolamento e la solitudine e, più importante di tutti, il lavoro di squadra. Di tutto questo c'è giusto qualche accenno ma nessun approfondimento, l'idea generale è che questo franchise si stia muovendo veramente per far presa su di un pubblico infantile, anche se questa volta strizza l'occhio ai fan più cresciuti con elementi come il Turtle-Van, Krang, Baxter Stockman e soprattutto Rocksteady e Bebop. Peccato sia una strizzata d'occhio e niente più, perché proprio il film non si regge affatto in piedi se non per quell'ironia già precedente nel primo film che se non altro funziona. Almeno quella.

Qui corro davvero il rischio di ripetermi con la recensione del primo film, ma davvero i personaggi sono caratterizzati scarsamente, Abbiamo finalmente Casey Jones interpretato da un legnoso Stephen Amell (che ci sa anche fare, ma è un pezzo di legno espressivamente parlando) e caratterizzato abbastanza fedelmente a cui viene dato poco spazio e quel poco a lui affidatogli è soltanto una goccia nell'oceano. April O'Neil è soltanto una bambolina, come d'altronde lo è Megan Fox già di suo. Molto ridicola e che mi ha fatto storcere il naso la scena in cui manda avanti Vernon per eliminare alcuni nemici dando come scusa "io ho le tette perciò non posso picchiarli io". Gli unici personaggi veramente simpatici e caratterizzati bene sono proprio Bebop e Rocksteady (il secondo interpretato dal wrestler WWE Sheamus) per i quali ho veramente desiderato vederli in ogni dannata scena. Perché, di nuovo, è l'umorismo che tiene in piedi l'intera pellicola.

In definitiva, cos'altro aggiungere? Personalmente a me questo film non è piaciuto, fai per la poca sostanza e i buchi di sceneggiatura (anche banali, tipo Raffaello che si separa dal gruppo e misteriosamente riappare insieme a loro) ma ciò nonostante quando hanno avuto l'intento di strappare qualche sorriso c'è riuscito. Mettiamola così, ancora una volta poteva uscire qualcosa di peggio e questo secondo capitolo riesce nella volontà di essere un filmetto tutta CGI, qualche risata e poco più. Passi la poca caratterizzazione dei personaggi, i siparietti inutili e i villain anonimi... almeno Tartarughe Ninja è un film di supereroi che non si porta dietro tanta distruzione come fanno i vari Avengers e Superman. Almeno quello.

domenica 4 settembre 2016


A volte le migliori idee sono quelle che ricevono poche attenzioni.
Il film di cui andrò a parlare in questa recensione è un caso speciale: Clinger è un film che ha alla base un'idea interessante ma sviluppata discretamente e concepita molto male. Scritto da tre autori emergenti (Chennisi, Steves e Bubba Fish) e diretto da Michael Steves che esordisce con il suo primo lungometraggio, Clinger non è altro che una semplice commedia horror del 2012 che ha come tema l'adolescenza e l'approccio verso la propria emancipazione, soffermandosi maggiormente sui primi amori adolescenziali.

Fern è una adolescente all'ultimo anno del liceo con le idee ben chiare sul suo futuro: vincere una borsa di studio per poter entrare all'MIT. Durante uno dei suoi allenamenti, conosce Robert, un ragazzo dolce e gentile con la passione della musica: è amore a prima vista per entrambi e i due decidono di mettersi assieme diventando, di fatto, il loro reciproco primo amore. Tuttavia, l'attitudine di Robert, possessivo e decisamente troppo melense (al punto da festeggiare anche un avversario settimanale!), portano ad un allontanamento da parte di Fern che decide di rompere il suo rapporto con lui ma nel momento in cui lo fa, Robert si distrae e finisce decapitato accidentalmente. Fern viene colta dal senso di colpa ma in qualche modo riesce a percepire la sua presenza e quando viene a scoprire che Robert è diventato un love ghost (fantasmi che si rifiutano di attraversare l'aldilà perché mossi da un forte sentimento d'amore) lo evoca e da lì il fantasma la perseguiterà con la stessa gelosia e possessività che aveva in vita.

Il film, di base, è veramente molto leggero ma si sviluppa su un'idea abbastanza interessante e con un messaggio finale non convenzionale: il cosiddetto primo amore non esiste, le persone passionali sono egoiste e il miglior approccio nel periodo adolescenziale non è una vera e propria relazione ma "uscire e divertirsi". Al diavolo quindi l'idea che l'amore deve vincere e si va avanti per innamorarsi ancora una volta, eccetera. Questo è un aspetto che alla fine del film si riesce a percepire e, seppure sia un concetto abbastanza scontato e privo di originalità, ci può stare. Ma Clinger presenta numerosi punti deboli e il primo in assoluto è la mancanza di creatività sul come sviluppare l'intera storia muovendosi su quelle basi premesse in partenza. Non è mia intenzione distruggere completamente la pellicola, il film è tutto sommato divertente, ha parecchie trovate che fanno sorridere ed è un film godibile che, sì, riesce a far ridere, però è abbastanza chiara e trasparente la difficoltà di muoversi su quel filo narrativo adottato e se ne sente maggiormente durante la sequenza finale dove vivi e fantasmi si battagliano con armi fantascientifiche. Fa storcere il naso, non è di peso perché fortunatamente c'è dell'ironia di contorno e ciò che accade non viene messo in secondo piano dal punto di vista dello spettatore, ridicolizzando anche quanto stia accadendo a chi, di fatto, non riesce a vedere i fantasmi, ma ugualmente è una sequenza buttata un po' a caso. Se da un lato questa scelta può essere ugualmente presa come originale per tentare qualcosa di differente, dal mio punto di vista c'è una forzatura che spezza la narrazione di per sé. Passino i pupazzetti posseduti, ma poi...

Un altro aspetto da non sottovalutare è la cura per la pellicola. Ribadisco come il film segni il debutto in un lungometraggio del regista Michael Steves che in un certo senso giustifica (ma fino a un certo punto) certi errori. Innanzitutto, una fotografia poco curata, sequenze comiche un po' troppo lunghe al punto da far percepire il momento in cui si dovrebbe ridere tipo 30 secondi prima e alcuni errori di scena abbastanza evidenti. Anche la scelta degli attori è abbastanza casuale, con quasi tutti che proprio non ce la fanno a entrare nella parte, a differenza dei due protagonisti (Vincent Martella e Jennifer Laporte). Inoltre, la mancanza di caratteristi è un errore in quanto in questo film ci sarebbe stata bene un po' di eccentricità in più, un personaggio sullo stile di F'resnel in Hell Baby, interpretato da Keegan-Michael Key. Ma questo è più un parere personale. Una piccola nota sulla scelta della colonna sonora, dico solo che alcuni brani sembrano usciti da uno spot di qualche barretta energetica.

In definitiva, come riassumo Clinger?
Personalmente mi è piaciuto, nonostante presenti degli errori abbastanza evidenti, una poca cura a livello registico e di sceneggiatura dettata dall'evidente mancanza di esperienza da parte della troupe. Però tutto sommato, le battute ci sono, il film riesce a far ridere nonostante alcune sequenze sono buttate un po' a caso. E questo, a mio parere, è importante. Lo consiglio, ma con la consapevolezza che non si sta guardando un film realizzato bene. Senza alcuna pretesa e a mente libera, si può anche guardare. Ah, il film non è mai stato distribuito in Italia, quindi se qualcuno ha provato a guardarlo, mi faccia sapere nei commenti!