Il bar del paese era frequentato da anni dalla solita gente.
Per lo più uomini dai 45 anni a salire, persino qualche persona anziana,
qualche uomo rimasto vedovo o qualcuno che semplicemente staccava dalla lunga
giornata di lavoro per godersi una birra in compagnia, magari guardando insieme
una partita di calcio alla TV. Era il bar di Antonio, l’unico luogo di ritrovo
rimasto su quel paesino in collina. Chiunque entrasse da quella porta era
riconoscibile. Aiden, però, non era solito frequentarlo. Aveva 25 anni e
frequentare un bar pieno di gente col doppio della sua età non gli andava molto
a genio. Innanzitutto perché non riusciva a legare con la loro mentalità
bigotta, poi non amava neanche il calcio ergo non avrebbe neanche trovato un
argomento in comune. Aveva frequentato un istituto d’arte, tempo addietro, e
l’arte era ciò che amava; oltre a dipingere, si dilettava a realizzare sculture
con ogni materiale a sua disposizione, ma per quest’ultima non ne trovava mai
il tempo. Aiden fece ritorno al paesino a 22 anni, abbandonando l’Accademia
d’Arte dopo che il padre fu colto da un infarto che gli rese impossibile la
vita, andando ad abitare con lui nella sua piccola e umile casa su tra le
colline. Suo padre era come lui, un artista, non di grande fama ma nell’ambiente
era abbastanza conosciuto al punto da potersi permettere di costruire casa su
suolo privato, isolato dal mondo. Era invero un uomo solitario, forse un po’
egoista anche se con una profondità d’animo non indifferente, qualità che fece
innamorare la donna con cui ebbe quel figlio che avrebbe poi seguito le sue
orme. Lei fu portata via dal cancro quando Aiden aveva 13 anni. Suo padre,
scosso dalla perdita, si abbandonò nell’alcol. Aiden, sebbene suo padre non gli
faceva mancare mai nulla, lo odiò per un po’ a causa del suo autolesionismo ma
quando arrivò quell’infarto non potette tirarsi indietro, era sempre suo padre.
Lo stesso uomo che, nonostante tutto, aveva fatto di tutto per lui, come vendere
ogni sua opera per far sì che suo figlio potesse studiare e prendere la sua
strada. Una scelta nobile ma fine a sé stessa, visti i risvolti, finendo col
vedersi costretto a prendersi cura di lui dovendo rinunciare alla sua vita e ai
suoi amici, giù in città. Al suo intero futuro, forse. Aiden, un aspirante artista,
un ragazzo da una profonda sensibilità, si vide costretto ad abbandonare i suoi
sogni e di lavorare per poter mantenere le cure del padre e le spese della
casa.
Non era un mistero, per la gente del paese, che Aiden,
“l’artista” come usavano chiamarlo in tono sbeffeggiativo, fosse un ragazzo
poco sveglio, inadatto al lavoro. Aiden non sapeva fare niente, aveva solo le
sue doti artistiche, ma lì erano sprecate e, per quanto lui volesse tornare in
città, il padre non voleva abbandonare la sua dimora, fatta costruire con il
sudore versato in gioventù. Suo figlio, anche se adirato, rispettava questa
scelta. Allora sacrificò tutto per lui, tanto ormai per lui tutto smise di
avere importanza. Trovò lavoro in una ditta di distribuzione di materiale
promozionale: volantinaggio, in poche parole, che gli forniva uno stipendio
abbastanza agevole per poter mantenere le spese di cura del padre, la sua
pensione copriva il resto, lasciando pochi spiccioli alle spese futili. La vita
tra padre e figlio era monotona, si parlavano appena oramai e Aiden oramai era
stanco. Il paese non aveva nulla da offrirgli, i suoi coetanei erano fuggiti e
quelli rimasti era gente già sposata, cresciuta con la mentalità che lui tanto
ripudiava quindi neanche lontanamente si sarebbe permesso di frequentarli. Gli
amici fatti in città avevano detto che sarebbero rimasti, ma oramai
frequentavano l’ambiente artistico, un disgraziato che si prende cura di suo
padre in una casa sperduta in montagna non era più loro interesse. Buffo come
la gente si dimentichi degli altri, ma c’è anche da dire che Aiden non faceva
mai nulla per tenersi strette le persone, nonostante il carisma derivante dal
suo lato artistico, non riusciva a stringere legami affettivi, perciò restò
solo.
Nel bar di Antonio, quella sera, Aiden provò a farci un salto
dopo il lavoro. Aveva bisogno di staccare, di provare a vedere se poteva in
qualche modo distrarsi legando anche superficialmente con quella gente… ma non
riusciva. Parlavano di calcio tutto il tempo, lui non aveva la benché minima
idea di come il Napoli dovesse schierare i suoi giocatori e neanche gli
interessava. I primi 45 minuti li passò in silenzio, fissando la figlia di
Antonio il proprietario del bar, che era l’unica sua coetanea rimasta single in
quel paesino. Giulia era una bella ragazza ma con una pessima reputazione in
paese a causa delle sue abitudini sessuali un po’ troppo immorali per la
mentalità di quel paese. Suo padre la “proteggeva dagli uomini”, anche se anche
lui stesso provava vergogna per lei e, dal canto suo, Giulia sapeva cosa faceva
e non aveva bisogno di protezione. Tuttavia, aveva deciso che sua figlia, la
peccatrice, non avrebbe fatto altro che lavorare al bar senza rivolgere parola
ai clienti. Aiden la fissava. Non la giudicava per ciò che era, forse lui era
anche peggio, nella sua breve esperienza in città frequentando cerchie di
amicizie e locali, si era lasciato andare e aveva sperimentato diverse cose.
Per lui, il sesso non era un problema, anzi, ma quella vita solitaria gli aveva
fatto male, si rese conto che non provava altro che desiderio fisico per quella
ragazza, allontanandolo da quella sua profonda interiorità che tanto si vantava
di avere. Per questo si limitava a fissarla. La notte si toccava pensando a
lei, salvo poi rinnegare il desiderio ad atto concluso. Si chiedeva del perché
lo facesse, ma la risposta era chiara. Quella solitudine, quella sensazione di
alienazione lo stava distruggendo. La solitudine si mischiava al desiderio
carnale e le due cose, dentro di sé, andavano fortemente in contrasto. Quando
finì il primo tempo della partita, Aiden smise di guardare Giulia, abbassando
lo sguardo mentre attorno a lui c’era gente che ordinava da bere, discuteva
delle azioni della partita, usciva fuori a fumare. I discorsi che facevano
neanche gli interessavano, però ascoltò inevitabilmente l’uomo che gli si
sedette vicino. Il panettiere del paese, per lo specifico. L’uomo parlava ad
alta voce dicendo come, per far vincere il Napoli, avrebbero dovuto lanciare
una sorta di incantesimo o qualcosa del genere. Quel dialetto stretto non lo
aveva mai capito, ma il concetto era chiaro così come era chiaro che il
barista, Antonio, gli rispose di recarsi dalla “vecchia strega”, una anziana
signora che di tanto in tanto si vedeva in giro per il paese e che aveva fatto
spostare la sua casetta in mezzo ai boschi per restare vicina alla natura e
praticare la magia, suscitando l’ilarità e gli sfottò dei compaesani. Aiden,
colto da una inspiegabile curiosità, chiese se appunto si trattasse della
vecchia in questione e i due uomini, ridendo, glielo confermarono aggiungendo
che avrebbe dovuto recarsi da lei, magari avrebbe trovato un po’ di spirito e
smetterla di comportarsi come uno snob. Il panettiere aggiunse anche
dell’altro, un’offesa personale riguardante suo padre riferendosi a lui come
“l’artista” nello stesso modo offensivo con cui la gente faceva con lui,
fortunatamente non ci badò anche se l’alcol gli aveva preso la testa abbastanza
da renderlo più sincero con sé stesso, facendogli provare vergogna e
frustrazione per la situazione in cui viveva. Aiden finì la sua birra d’un
sorso, pagò e fece per andarsene non prima, però, d’aver scambiato un ultimo sguardo
con Giulia. Richiuse la porta dietro di sé tornando in strada, mentre tutti si
radunarono nuovamente davanti la TV per veder cominciato il secondo tempo.
Il sole si alzò e Aiden era già in piedi. L’orario di lavoro
era dalle 6 alle 19 e quel giorno, come gli tutti gli altri, avrebbe dovuto spostarsi
in un altro paesino e fare chilometri e chilometri a piedi e il solo pensiero
lo affaticava, ma quando passò nella camera del padre per salutarlo e
lasciargli le medicine che avrebbe dovuto prendere, tirò un respiro e si
preparò ad affrontare la giornata. Si recò quindi alla sede, recuperò il
“materiale promozionale” e, presi gli ordini in incarico, cominciò il suo lungo
giro che si sarebbe fermato soltanto per un’ora, per il tempo della pausa
pranzo. Pausa pranzo che, però, arrivò quando lui era in strada, adiacenti ai
boschi. Quando incrociò uno svincolo che portava ad una piccola stradina, si
ricordò della vecchia di cui si parlava il giorno prima. La “strega”, che
dicevano avesse dei poteri magici. Spinto dalla pura curiosità, svoltò per la
stradina e si fermò davanti la sua dimora. Una casa fatiscente che non si
sarebbe neanche potuto dire se avesse mai visto giorni migliori. Trovò la
vecchina di lato alla casa che raccoglieva ramoscelli, qualcosa di veramente
strano ma ancora più strano fu che la vecchia lo salutò, dicendo che lo
aspettava da tempo. Disse qualcosa su come finalmente la Dea avesse deciso di
portarlo in questa direzione. Lo invitò a prendere da mangiare ma Aiden
rifiutò, lei insistette e lui voltò le spalle. La vecchia, per fermarlo, si
allontanò dalla porta di ingresso e tentò uno scatto in avanti ma scivolò dallo
scalino e cadde in terra. A quel punto, il ragazzo, per pura educazione tornò
sui suoi passi e l’aiutò a rialzarsi e nel farlo, la vecchia continuava con i
suoi deliri. Gli disse che la Dea le aveva parlato dicendo che lo aveva
toccato, che quella sera stessa sarebbe venuto da lui. Aiden ignorò le sue
parole e la congedò. La vecchina rispose come se sapesse con certezza che lo
avrebbe risentito ma Aiden non ci badò, per lui erano soltanto deliri di una
vecchia, chissà perché poi si era recato lì. Lasciò il bosco, mangiò il suo
pranzo a sacco e continuò il suo lavoro fino alle 19, tornando a casa in tempo
per la cena non prima, però, aver accudito nelle piccole faccende il padre.
Dopo cena, prese il computer, fece il login su Facebook e tentò di fare
conversazione con alcuni suoi dei vecchi amici, ma non fecero altro che parlare
dei loro progetti e provò solo nostalgia. Così come provò nostalgia nel vedere
che si sarebbero organizzate mostre e concerti a cui avrebbe voluto
partecipare, ma oramai anche se ce l’avesse fatta con i soldi, avrebbe dovuto
affrontare viaggi, stanchezza e molto probabilmente si sarebbe ritrovato solo.
Gli passò anche la voglia di guardare un film alla TV, lo sconforto gli prese
al punto che cominciò a rigirare per casa nervosamente. Decise quindi di riprendere
la sua attrezzatura artistica e riprendere a dipingere. Non sapeva bene cosa,
ma avrebbe voluto farlo. La temperatura fuori era serena, non c’era umidità e
non tirava un fil di vento, quindi decise che avrebbe anche potuto dipingere
all’esterno con le sole luci del vialetto a illuminargli la tela. Tela che
fissò per qualche istante, tentando di trovare una ispirazione. Ripensò alle
parole della donna anziana, del fatto che l’aspettasse, della Dea. Così,
lasciandosi guidare dall’istinto, cominciò a disegnare alla destra del foglio
una figura femminile con indosso un lungo vestito seduta ad un tavolo. Aveva i
capelli raccolti e uno sguardo amorevole, gli ispirava serenità. Decise che i
suoi capelli sarebbero diventati biondi e il vestito bianco, sarebbe stata di
carnagione chiara e un effetto di luce avrebbe avvolto la sua figura. Notò però
che l’immagine aveva soltanto preso la parte destra allorché cominciò a pensare
a cosa altro aggiungere allo scenario ma facilmente la sua mente cominciò a
fantasticare su quella figura amorevole, su quella Dea. La immaginava dolce,
sensibile, capace di farlo sentire felice anche solo con un sorriso. Fu un
pensiero però che ripudiò alla svelta, come se stesse fuggendo via da certe
sensazioni, era quasi sul punto di strappare via la tela ma non lo fece. In un
modo del tutto istintivo, disegnò alla sinistra della “Dea” una immagine
speculare, un’altra figura femminile nella stessa posa di quella precedente ma
decisamente l’opposta. Disegnò Giulia, la ragazza del bar, la ragazza oggetto
del suo desiderio più nascosto. Un’altra sensazione ripudiata, qualcosa che non
voleva assolutamente sentire. Stavolta la voglia di strappare il disegno era
ancora più forte, ma decise che concettualmente era un bel disegno,
contrapporre del fuoco, attorno alla figura di Giulia e della luce bianca
avvolgere la Dea creava un bell’effetto nella sua mente. Le due immagini
speculari guardavano verso di lui, una con sguardo amorevole l’altro malizioso,
entrambe erano sedute su di uno sgabello, il tavolo era chiaramente un bancone
di legno da bar. Non dormì, quella notte. Finì il dipinto quando ormai spuntò
il sole, sarebbe dovuto andare a lavoro con una totale stanchezza e lo fece.
Portò il dipinto sul pianerottolo all’esterno della casa e riprese la sua
routine giornaliera, rischiando più volte di addormentarsi al volante, quando
prese l’auto per recarsi in un paesino a qualche chilometro dal suo. Prima di
tornare a casa, passò a prendere le medicine per il padre, fece un po’ di spesa
e tornò a casa a mangiare, anche se non ne aveva voglia. Non lavò i piatti, si
mise subito a dormire, fortunatamente era sabato e di domenica avrebbe potuto
dormire anche di più. Ma così non fu. Un gran fracasso lo svegliò al mattino,
suo padre aveva avuto l’ennesimo malore. Non fu un infarto, fortunatamente, ma
aveva preso una brutta caduta. Aiden lo portò in ospedale, dove gli dissero che
avrebbe necessitato di almeno due giorni di riposo sotto sorveglianza, viste le
condizioni del suo cuore. Aiden fu colto dall’ennesimo senso di frustrazione.
Quelle responsabilità che non voleva avere, quelle decisioni che non avrebbe
potuto prendere da solo, lo assillavano. Avrebbe voluto fuggire via, scappare
da quella situazione. Decise che suo padre sarebbe potuto restare da solo in un
letto d’ospedale, tanto avrebbe avuto chi se ne prendesse cura. Mise in moto
l’auto e decise di andare via, tornare a casa forse, non sapeva esattamente
dove volesse andare, stava solo scappando da lì. Giunto più o meno a metà
strada, si ritrovò di nuovo nei pressi del bosco dove abitava la vecchia e
cominciò a rallentare, passando davanti al sentiero per osservare la casetta da
lontano. Vide la donna anziana seduta sulla veranda, non distingueva bene la
figura ma chiaro era che fosse lei così come fu chiaro che gli fece un cenno
con la mano come per salutarlo. Aiden accelerò e tornò a casa, perso tra i suoi
pensieri, caricò il dipinto che aveva realizzato la notte scorsa e tornò dalla
vecchia, stavolta parcheggiando l’auto nella stradina. La donna non si
meravigliò della sua venuta, d’altronde se l’aspettava che sarebbe tornato.
Aiden, senza neanche salutarla, chiese chi fosse la Dea di cui parlava e lei
gli rispose che la Dea è la notte e il giorno, la Dea è colei che regna su ogni
cosa. Gli spiegò come essa scegliesse pochi eletti per essere mariti o mogli e
che lui, in qualche modo, era stato scelto. Gli chiese, infine, in che modo
essa si fosse manifestata e Aiden tirò fuori il dipinto. La vecchia lo osservò
con uno sguardo deluso, dicendo sottovoce “quindi è questo che vuoi”,
portandolo con sé sulla veranda. Disse che la Dea forse avesse un progetto
speciale, augurando a sé stessa e alla Dea che ne potesse valere la pena,
congedando infine il ragazzo dandogli appuntamento tra due giorni. Aiden non le
fece alcuna domanda, fece passare quei due giorni e, dopo aver riaccompagnato
il padre a casa dall’ospedale, tornò da lei che gli consegnò una specie di
fagotto che avvolgeva foglie secche e legnetti. La vecchia le proibì di
aprirlo, gli disse di portarlo in un luogo sicuro e aspettare le prime luci
dell’alba, che la Dea potesse accontentare la sua richiesta. Ovviamente, Aiden
non sapeva minimamente di cosa stesse parlando e le chiese di essere più chiara
e la vecchia acconsentì. Gli rivelò che la Dea si era manifestata a lui
mostrandogli la sua dualità, fuoco e aria, corpo e spirito. Il fagotto che gli
aveva dato sarebbe stato il luogo dove si sarebbe risvegliato come forma
spirituale, separandolo dalla carne, rendendo le due parti libere l’uno dall’altra.
Si raccomandò ulteriormente di metterlo al sicuro e aspettare l’alba cosa che
Aiden fece. Lo poggiò nel capanno degli attrezzi adiacente alla sua casa mentre
lui si recò nella sua stanza a riposare. Il giorno dopo si risvegliò nudo,
avvolto da una piccola coperta, foglie e legnetti.
Aiden uscì dal capanno, dove vide un essere uguale in tutto e
per tutto a sé stesso che gli porse dei vestiti per poi recarsi verso l’auto,
come faceva egli stesso ogni giorno. Aiden era confuso, sebbene la vecchia il
giorno prima gli aveva chiaramente spiegato che sarebbe cosa sarebbe accaduto.
Si chiese se non fosse un fantasma, quindi la prima cosa che fece fu recarsi in
casa dal padre e gli rivolse la parola. Rispose. Non era un fantasma, in più
era tangibile, riusciva a toccare gli oggetti. Aiden corse per strada e fece
diversi chilometri a piedi verso la casa della vecchia che incrociò intenta ad
andare a fare la spesa in paese. Le chiese cosa stesse accadendo, chi fosse e
come funzionasse questa magia. La vecchia sorrise, lo invitò ad accompagnarla
alla fermata dell’autobus e gli spiegò come non si trattasse di magia, ma di intervento
divino. Rivelò che lei non fosse altro che un tramite, di venerare la Dea e di esserle
servitrice. Disse al ragazzo che aveva appena avuto modo di assistere ad una
rinascita; separando lo spirito dalla carne ora era libero di amare, di creare,
senza alcun vincolo terreno, senza alcuna preoccupazione verso il mondo
esterno. Disse che il suo corpo lo avrebbe servito, avrebbe fatto tutto ciò che
ritenesse opportuno per garantire la felicità dello spirito, ma che fosse
ugualmente un individuo a sé, privo di amore, regole e morale. Gli suggerì di
tenerlo sott’occhio, di vivere quella situazione non in senso unilaterale, che
la Dea gli avesse offerto questo strano dono per un motivo che lei stessa non
comprendeva. L’autobus arrivò, le porte si aprirono e la vecchia si accompagnò
a fatica al suo interno, rivolgendosi al ragazzo per un’ultima volta
ricordandogli che spirito e carne sono ormai separati e, per quanto fossero due
entità autonome, l’una è dipendente dalle esigenze dell’altra. Aiden fece un
cenno alla vecchia, mentre l’autobus richiuse le sue porte e ripartì. Restò
fermo a pensare, realizzò che aveva corso per tutto quel tempo senza mostrare
alcun segno di fatica, forse aveva ragione. Quella magia, o atto divino,
funzionava realmente. Aiden notò come, al posto di fatica e stanchezza, sentiva
soltanto gioia, amore e una serie infinita di emozioni che non riusciva a
dargli un nome. Corse così ritornando a casa, colmo di felicità. Mentre il suo
corpo svolgeva al posto suo ciò che aveva fatto da 2 anni a questa parte tutti
i santi giorni.
Arrivato a casa, prese tela e pennelli, senza farsi sentire
dal padre convinto che stesse al lavoro e si recò in un angolo solitario del
giardino, lontano dalla visuale delle finestre per cominciare a dipingere.
Dipinse tutto il giorno, fu incredulo di quanto fosse ispirato, di come
riuscisse a toccare ogni angolo sensibile della sua anima per riuscire a creare
opere ai suoi occhi meravigliose. Passò diversi giorni a farlo. Di sera si
metteva sul pianerottolo, di giorno cominciò a spostarsi in angoli più remoti,
lontano da casa e più vicino alla natura. Non sentiva necessità di mangiare o
dormire, in lui c’erano soltanto emozioni, sensazioni accentuate che
necessitava di esternare. In poche settimane, realizzò una enorme quantità di
dipinti e sculture in legno, che realizzava lontano da casa, in creta e anche
con elementi semplici quali carta e legnetti. Molte opere sicuramente non
sarebbero state valutate valide, quindi decise di catalogarle e di portarle in
città quando ne avrebbe avuto occasione. In quell’arco di tempo in cui
dipingeva, poche volte si incontrò con il suo doppio e in ogni occasione lui
appariva sempre più stanco e provato, ma lui non ci fece caso e le loro vite
proseguivano parallelamente. Il suo corpo ogni giorno si recava al lavoro,
comprava le medicine, faceva la spesa, poi passava ore nella sua camera,
immobile, fino ad addormentarsi. A prendersi cura del padre restò lui, la sua
“forma più pura”, perché così aveva deciso. Quella situazione così assurda
sembrava funzionare per tutti, tranne che per il suo corpo che, al contrario di
lui, ogni giorno era sempre più provato e ricolmo di tic nervosi e scatti di
violenza che avvenivano in solitaria sul posto di lavoro.
Passò addirittura un mese. Aiden raccolse “la sua arte” e
prese un bus per la città, prendendo i soldi messi da parte dalla sua forma
corporea che nel frattempo si faceva ancora carico di tutte le sue
responsabilità, come da accordi presi prima di partire. Arrivò in città,
riprese contatti con alcuni suoi professori chiedendo se fosse possibile
rivendere i suoi lavori. E questi accettarono, valutarono i suoi lavori
positivamente e improvvisamente, quella cerchia di amici che quando lui si
trasferì lo abbandonarono, tornarono da lui come se nulla fosse, come se fosse
una rockstar. Aiden provava fastidio verso questa cosa così come provò una
enorme sensazione di rabbia nei confronti di atteggiamenti falsi e adulatori.
In quella forma, ogni sua emozione era accentuata ma ne riusciva a tenere il
controllo e a non cedere in scatti d’ira. Affrontò la situazione con garbo,
educazione e pacatezza mentre, in una casa sperduta in montagna, la sua
controparte si svegliò in un impeto di ira e iniziò ad urlare. Aiden non poteva
sapere che ogni qualvolta lui ignorasse un sentimento, il suo corpo ne
risentisse. Fu così con la rabbia ma anche con altre emozioni come la
tristezza. Aiden, sebbene riuscì a raggiungere quella libertà, si sentiva
spesso solo, senza amore. Ma come un artista vive le sue emozioni sfruttandole
in maniera creativa, un essere fatto solo di istinti e pressioni psicologiche
non può far altro che chiudersi a riccio, in una camera buia, piangendo
sonoramente.
Passarono altri due mesi. In quel lasso di tempo riuscì a
vendere alcune sue opere, riuscì a dedicarsi alla scultura come a lui piaceva.
Ricominciò a frequentare l’ambiente artistico, a conoscere gente nuova e
interessante, ma nessuno che stimolasse la sua emotività. Fin quando conobbe
Giulia, una stupenda ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari con la quale
stabilì un rapporto d’interesse reciproco molto intenso. Cominciarono a
frequentarsi, a passare tantissimo tempo insieme. Aiden cominciò a sentirsi
felice di nuovo, trovò finalmente ciò che riusciva a donargli quella felicità
che tanto ricercava. Riconobbe in Giulia quella Dea del suo dipinto e una sera,
riaccompagnandola a casa, era più che intenzionato a dar voce i suoi sentimenti
con un bacio. Quando i due si sfiorarono solo con le labbra, però, Aiden fu
colto da un malore, una forte fitta al petto, come se gli mancasse il respiro,
cosa strana visto che era da tanto tempo che non provava alcun tipo di fastidio
fisico. Giulia si preoccupò, ma Aiden riuscì a riprendersi e tornò a casa.
Pensò tutta la notte a cosa potesse essere accaduto, ma non trovò risposta,
l’unica che trovò era che l’evento era senz’altro collegata a quella sorta di
magia. Decise di tornare a casa da suo padre e ritornare dalla vecchia per
avere risposte ma prima voleva essere chiaro con Giulia e passò un’intera
serata con lei travolto da emozioni contrastanti che non riusciva bene a
distinguere, non comprendeva cosa stesse accadendo: lo avrebbe saputo, se
avesse avuto un corpo. Sapeva che aveva a che fare col desiderio di avere
qualcosa di carnale con la ragazza con cui stava, motivo in più per tornare a
casa per ottenere risposte. Il giorno dopo prese l’autobus e una volta giunto
in paese, si accorse di avere tutti gli sguardi puntati contro. Alcuni di loro si
scambiavano sottovoce parole al veleno. Qualcosa era accaduto.
Tornò a casa e si recò dal padre, non trovò sé stesso in
quanto era sicuramente al lavoro. Quando il padre lo vide questi non gli rivolse
nemmeno la parola, in qualche modo ce l’aveva con lui. Le uniche parole che gli
rivolse riguardavano il suo abbigliamento, che nel frattempo era cambiato
totalmente da quando risiedeva in casa col padre. Capì che qualcosa non andava,
decise quindi di tornare dalla vecchia, ma non la trovò. Aspettò fino a sera,
ma non si fece viva quindi ritornò indietro dove incrociò sé stesso cogliendo
l’opportunità di chiedergli spiegazioni. La reazione fu inaspettata, con voce
lamentosa lo respinse via, in lacrime, intimandogli di lasciarlo stare, che era
stanco di lui e di sentirsi in quel modo. Aiden restò con gli occhi spalancati,
come poteva lui sentirsi in quel modo? Non avrebbe dovuto avere emozioni, così
gli disse la vecchia. Tentò di prendere l’auto e scendere in paese, ma non
aveva le chiavi e decise di arrivarci a piedi. Entrò nel bar di Antonio dove
questo gli chiese di andare via, minacciandolo con una scopa. Fu la figlia,
Giulia, a “salvarlo” e portarlo fuori da lì. Era chiaro che tra sé stesso e Giulia
ci fosse stato qualcosa, e gliene diede conferma quando gli accarezzò le parti
basse dicendogli sottovoce che aveva conosciuto in internet un tipo che avrebbe
acconsentito a realizzare una certa fantasia, cosa che fece sobbalzare Aiden
allontanando la ragazza in malo modo. Giulia restò perplessa, gli chiese se non
fosse un altro dei suoi attacchi d’ira immotivati ma Aiden anziché risponderle
chiese che fine avesse fatto la vecchia che viveva nella casetta nel bosco.
Giulia gli rise in faccia e disse che dopo essere svenuta in piazza, un mese
prima, fu portata in ospedale. Aiden chiese se poteva accompagnarlo ma la
ragazza si rifiutò categoricamente accusandolo di essere strano. Aiden tornò
quindi a casa e si recò in camera sua, incurante del padre ancora sveglio, dove
trovò sé stesso nudo procurarsi dei tagli profondi sul petto. Lo fermò,
preoccupato di cosa stesse facendo, lo coprì con una coperta e gli chiese le
chiavi dell’auto. Le prese e chiuse sé stesso a chiave nella camera da letto ma
si trovò davanti il padre che aveva capito ci fosse qualcosa che non andasse. I
due ebbero un forte diverbio, con il padre che cominciò ad accusarlo di essere
stufo dei suoi atteggiamenti irascibili, perversi e irrispettosi. Chiese cosa
stesse accadendo in camera sua ma Aiden si rifiutò di farlo entrare, così che
il padre lo scostò di forza e sfondò la porta. Quando trovò suo figlio avvolto
in una coperta, pieno di graffi, la sua reazione fu mista: da un lato c’era
l’ovvia incredulità, ma nasceva in lui anche una forte preoccupazione verso le
condizioni del figlio. Lo shock, ad ogni modo, non gli fu in grado di
razionalizzare e il cuore cedette facilmente. Aiden gridò contro sé stesso
chiedendogli cosa avesse fatto per aver ridotto loro padre in quel modo, ma la
sua rabbia, in lui controllata, esplose in uno scatto violento da parte del suo
doppio che si avventò contro di lui, prendendolo a pugni urlandogli come fosse
tutta colpa sua e delle sue emozioni. Aiden non provava dolore dai colpi del
suo doppio, riuscendo quindi a liberarsi dalla sua presa con facilità, tentò
quindi di farlo ragionare dicendo che avrebbero dovuto portare il loro padre in
ospedale e che avrebbero parlato dopo. L’altro Aiden si rivestì e insieme
caricarono il padre in auto e una volta giunto in ospedale, Aiden lasciò il
padre ai medici che lo portarono via in barella, mentre chiese all’altro di
restare in auto.
Nell’attesa che gli venissero date informazioni sulle
condizioni del padre, Aiden chiese la stanza della vecchia, spacciandosi per il
nipote. Anche se non era orario di visite, riuscì comunque a passare in quanto,
a detta dell’infermiera, nessuno era venuto a trovarla in un mese e molto
probabilmente le mancava poco da vivere. Entrò quindi nella sua camera, dove i
lettini adiacenti erano vuoti, c’era solo lei, intubata. Aiden le chiese come
si sentisse ma la vecchia ignorò la domanda e lo rimproverò di aver abbandonato
le sue responsabilità in quel modo, di aver abbandonato sé stesso. Aiden,
stanco dei messaggi criptici della vecchia, le chiese cosa fosse accaduto e la
vecchia gli rivelò che nella sua nuova forma, ogni emozione vissuta fosse
accentuata ma dal momento in cui essa venisse repressa, sia il fisico a
risentirne. Ogni volta che avesse provato rabbia e l’avesse repressa, il suo
corpo accumulava tensione, passando dai tic nervosi a dei veri e propri atti di
violenza nei confronti degli altri. Gli parlò di come in tre mesi avesse
causato alcune risse, di come se le fosse cercate appositamente per sfogare il
suo istinto. La vecchia disse infine che lei era a conoscenza solo degli atti
di violenza, ma nel paese si parlava di cose disdicevoli che lei neanche
sapesse di cosa trattassero, fatto sta che ogni sua singola repressione ha
causato una reazione al suo corpo. Era una sua responsabilità, la Dea voleva
renderlo libero ma non si è liberi se non si è responsabili e coscienti di sé
stesso. Aiden pensò a tutte le volte che aveva provato rabbia verso qualcuno o
qualcosa, tutte le volte che avrebbe voluto piangere… emozioni che aveva
vissuto ma non a pieno, in quanto mancanza di un corpo. Realizzò che in quel
momento odiava sé stesso. Scambiò uno sguardo con la vecchia, non si parlarono.
Aiden corse via, uscì dall’ospedale per recarsi all’auto, ma la trovò vuota e
con i vetri rotti. In quel momento sperò soltanto che il suo desiderio di non
morire si trasferisse alla sua controparte, passò al setaccio l’intera zona e
finalmente ritrovò sé stesso. Seduto sul ciglio della strada, in lacrime.
Aiden si sedette accanto a lui, tentò di darsi conforto e per
la prima volta notò come il suo corpo si fosse deteriorato dalla stanchezza e
dallo stress. Notò che aveva ormai pochi capelli e il suono della sua voce era
oramai spezzato, come vuota, senz’anima. Gli disse che tutto ciò che voleva era
liberarsi di quelle emozioni, agire e sentirsi libero di essere ciò che era, rimarcando
come le sue emozioni, la sua morale, lo avessero finito col distruggere. Aiden
ascoltò in silenzio mentre il suo doppio continuò a parlare rivelando che aveva
il desiderio di ucciderlo per essere finalmente libero ma che, ancora, le sue
emozioni lo bloccassero. Aiden cominciò a provare pietà verso sé stesso e
l’altro, in lacrime, cominciò ad elencare tutte le sue azioni compiute dal
momento in cui si erano separati. Gli disse della gente picchiata, delle sue
scappatelle con Giulia, di altre sue scappatelle con donne più grandi e persino
con uomini. Gli disse dei soldi rubati dalla pensione e delle offese rivolte al
padre rinfacciandogli di avergli rovinato la vita. Ancora, parlò di come avesse
minacciato il suo datore di lavoro per fargli avere più soldi e lavorare poco.
E la lista continuava, all’infinito, cose disdicevoli, cattiverie rivolte ad
anziani e bambini nel paese, atti vandalici. L’odio di Aiden verso sé stesso
cresceva a dismisura. Il suo doppio, che aveva nascosto un pezzo di vetro
dell’auto, improvvisamente si tagliò la gola. “Dovresti esserci tu, al mio
posto”, disse.
Il corpo si era accasciato a terra e tutt’attorno si formò
una larga pozza di sangue. Aiden pensava che di lì a poco sarebbe sparito anche
lui, morto assieme alla sua controparte. Ma così non fu, evidentemente la magia
non funzionava in quel modo. Passarono diversi minuti, poi decise di lasciare
lì il suo corpo e sparire. Le sue emozioni erano sempre accentuate ma non
riusciva più a dar loro un nome. Pensò a suo padre, pensò alla Giulia che aveva
lasciato in città. Aveva ormai importanza, chi dei due Aiden avesse conosciuto?
Camminò tutta la notte, deciso a non curarsi più di quella vita che si stava
lasciando alle spalle. Nella sua testa si riversarono mille domande, ma la più
rumorosa riguardava quali intenzioni avesse avuto la Dea dal principio, se mai
ci fosse stata una Dea. Nel frattempo, un medico uscì alla ricerca di Aiden per
dirgli che a suo padre sarebbe rimasta una settimana o due, che le sue
condizioni erano diventate inspiegabilmente critiche. Ma non trovò nessuno.
Poco dopo, degli infermieri che uscivano dall’ambulanza, notarono un cadavere
sul ciglio della strada pochi metri più avanti.
Si fece l’alba, Aiden ritrovò la stradina che conduceva alla
casa della vecchia. Tornare a casa non sarebbe servito, quindi entrò nella
casetta e riprese il dipinto che aveva consegnato alla vecchia mesi prima.
Sperava che trovasse delle risposte ma restò deluso. L’unica cosa che realizzò fu
l’incredibile somiglianza tra quella Dea da lui dipinta e la Giulia conosciuta
in città. Forse c’era un disegno divino in tutto questo, si chiese. Continuò a
guardarsi intorno, mentre nel frattempo la vecchia in ospedale giunse al suo
ultimo battito. Aiden trovò un album di famiglia molto vecchio, probabilmente
appartenuto ai genitori o ai nonni della presunta strega. Sfogliando le foto,
si chiese se a quella sua forma spirituale, distaccata dal corpo, fosse data la
possibilità di invecchiare o morire. In tal caso, il pensiero dell’immortalità
lo spaventava ma aveva paura anche di togliersi la vita una seconda volta.
Continuò a sfogliare l’album, poi notò qualcosa di strano che lo portò a
sfogliare di nuovo l’album da capo. Era incredibile la somiglianza da lui
riscontrata; le foto erano datate ma i lineamenti erano quelli della vecchia,
ne era sicuro. Prese l’ultima foto dall’album, la data segnata era 15/12/1816.
Aiden posò l’album, prese poi una sedia e restò fermo a
fissare il suo dipinto.
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