venerdì 30 dicembre 2016



Come già detto più volte tra queste pagine, il 2016 ha regalato un bel po' di bei film. C'è chi parla di Dr. Strange o Rogue One, ma ringraziando il cielo la scelta è vasta e il film di cui andrò a parlare non è di certo stato molto chiacchierato, nonostante una campagna virale sul web capace di attirare l'attenzione. Sto parlando di Morgan, film che vede il debutto alla regia di Luke Scott, figlio d'arte del già conosciuto e pluripremiato Ridley. Il film, che si basa sulla sceneggiatura di Seth W. Owen, è di genere fantascientifico e vede come protagoniste Kate Mara nel ruolo dell'agente Lee Weathers e Anya Taylor-Joy in quello di Morgan.

Pubblicizzato nei social media con l'hashtag #WhatIsMorgan, il tema centrale di questa storia è proprio questo: capire cosa è Morgan. L'interrogativo, tuttalpiù, se lo pone lo spettatore mentre l'intero cast del film sa già la risposta. Lo sanno l'equipe di scienziati che vivono con Morgan in una casa di campagna (adiacente ad un bunker dov'è rinchiuso il soggetto che porta il titolo del film) e lo sa con certezza l'agente Weathers, che è stata inviata dai suoi superiori per comprendere se il progetto Morgan è un successo o un totale fallimento.

Con questi pochi elementi, viene costruito un soggetto a dir poco interessante che, sì potrebbe risultare abbastanza scarno complice anche la poca durata della pellicola (un'ora e trenta), ma che racchiude un senso profondo, una visione del genere umano che - manco a farlo apposta - rimanda un po' ai temi utilizzati dal papà del regista, Ridley Scott, nella sua pellicola Alien e approfonditi poi in Prometheus. Che sia un caso o meno, poco importa, fatto sta che il figlio Luke ha imparato molto dal padre. La regia è impeccabile, la narrazione procede spedita e non annoia. Un plauso va anche per le (poche) scene d'azione presente nel film, le quali evitano di "strafare" rimanendo su dei binari più semplicisti. Il finale, poi, non è affatto telefonato ma qui evito di fare spoiler. Morgan è in fin dei conti un film corto, senza tante pretese, ma che si lascia guardare con delizia e il messaggio lanciato alla conclusione del film (riassumibile in il genere umano è affascinante tanto quanto orribile e manipolatore) dà quel tocco in più. Se forse sto riempiendo di elogi questo film e, una volta visto, pensate che io abbia esagerato, beh... io ammiro Morgan per la capacità di risultare semplice con una struttura narrativa profonda e un'identità tutta sua.

Come ho detto, per me Morgan è a mani basse uno dei film più belli di questo 2016, uno di quei progetti che - una volta tanto - si è saputo vendere grazie ad un utilizzo ponderato dei social media. Ovviamente, il discorso si pone al contrario per quanto riguarda la nostra penisola, il quale film non ha avuto la benché minima considerazione e nei cinema è passato per un singolo giorno. Vabbè. Un'uscita in home video, comunque, è prevista quindi vi consiglio di recuperarla appena possibile (in realtà in digitale sarebbe anche disponibile, ma ancora, noi italiani abbiamo appena cominciato a saper usare i social network, tempo al tempo).

Infine, chiudo con questa "recensione" un po' corta il 2016 dell'Oblivion Bar.
Ho postato decisamente poco, rispetto al 2015, ma è stato un anno frenetico che mi ha permesso comunque, tra alti e bassi, di poter crescere "artisticamente". Sto parlando del mio desiderio di poter scrivere racconti e, se tutto va bene, avrei alcuni progetti per l'anno in entrata che spero di riuscire a mandare in porto. Salvo ripensamenti, sperando non ce ne siano. Quindi, che dire, prendiamoci una pausa tutti insieme, avrò molto da scrivere, leggere, guardare e giocare, ma per il momento la mente è indirizzata al concludere questo anno in fretta. Ai pochi lettori (che spero ce ne siano, lol) auguro un buon fine anno. Ci leggiamo l'anno prossimo!


lunedì 26 dicembre 2016



L'edizione natalizia di Colazione da Bruno dà il via alla trasformazione definitiva di questa "rubrica" che dal recensire esclusivamente film del fu Mattei Bruno passerà a revisionare tutti i b-movie visionati col mio ormai compagno di visioni orribili, Marcello. I film visionati questo Natale sono stati tre, rispettivamente nel seguente ordine: 7 dell'Infinito contro i Mostri Spaziali, House (a.k.a. Hausu) e A Christmas Horror Story. Solitamente, passo a recensire i film nell'ordine di visione ma stavolta farò un'eccezione, andando per gradi di apprezzamento. Iniziamo, quindi, con...

7 dell'Infinito contro i Mostri Spaziali
Possono mai un'ora e venticinque sembrare otto ore? Ho visto questo film e mi sono sentito invecchiare man mano che s'andava avanti. Oddio, che parolone, non va avanti, non va da nessuna parte. Alla fine non ho capito se i mostri spaziali sono i lucertoloni (draghi di comodo ripresi combattere in una riproduzione su scala), le aragoste giganti con le faccie più simpatiche di sempre o i vampiri coi denti usciti dalle buste di patatine... che poi, ma le fanno ancora le patatine con la sorpresa? Non ne vedo in giro da parecchio, mi ricordo che da piccolino ce n'erano un botto, tipo quelle che portavano come sorpresa degli alieni di nonsochematerialeappiccicoso che mia madre odiava tanto. Se sto divagando con altri argomenti è perché è quello che ho fatto durante tutto il film. Se volete la recensione, compratevi Il dizionario dei film brutti a fumetti, Davide La Rosa è riuscito a renderlo più interessante di quello che è, perché davvero è una martellata nei coglioni. Che poi, la genialata è che il film è stato ripreso in parte a colori e in parte su pellicola in bianco e nero non so perché, così che gli sceneggiatori (delle scimmie ammaestrate, senza offesa per tale categoria) hanno pensato di ribadire a più riprese che degli alieni (forse i vampiri, boh non l'ho capito!) hanno installato un dispositivo che altera le tonalità cromatiche nell'atmosfera. Bella la scena in cui un tipo sulla Terra in due minuti scopre come hanno fatto quegli alieni costruendo un dispositivo simile che va ad alterare il filtro della pellicola della scena in cui appare l'attrice a cui sta facendo l'inutile spiegone. Non sto facendo uno sfottò, davvero in quella scena il tipo utilizza l'arma contro la tizia e l'unica "tonalità cromatica dell'atmosfera" che si va a modificare è la singola inquadratura della donna. Tutto sommato, ha l'idea carina di mostrare come sulla Terra non si usi più "fare l'amore come un tempo": i coniugi, infatti, si collegano le sinapsi in dei macchinari. Interessante, davvero, ricorda Demolition Man però comunque i tizi si toccano e si baciano, quindi che cazzo ne so. Come se non bastasse, il film è intervallato da scene tagliate ma sono così tante che viene il dubbio su quanto sia la durata effettiva del film! Poi abbiamo scoperto che nel DVD c'è proprio l'edizione italiana con scene totalmente nuove (prese poi chissà dove) e un montaggio un po' fatto a cazzo di cane perché troppo frenetico però decisamente meno noioso. A quel punto stavamo pensando di praticare l'Harakiri, però avevamo altri due film da vedere, quindi abbiamo desistito. Prossimamente, recensiremo quella versione. Andiamo avanti.

A Christmas Horror Story
Questo, a dire il vero, è stato l'ultimo film da noi visionato, ma come ho detto, si va per indice di gradimento. Questo film è stato il nostro film natalizio (La spada nella roccia e Una poltrona per due ci ha stufato) e decisamente non si può catalogare come film brutto, perché brutto brutto non è. Realizzato bene, con un tema principale veramente figo, inoltre vede la partecipazione speciale di William Shatner! Di cosa parla, insomma? Questo film ha il poster più figo di sempre, Santa Claus contro il Krampus (un demone natalizio) ma questi due sono soltanto due storie separate, perché questa pellicola racchiude ben quattro storie differenti strutturate non ad episodi ma scorre via via col film. Abbiamo una coppia di colore il cui figlio viene posseduto da un troll natalizio, un trio di adolescenti rimasti chiusi nella loro scuola mentre indagano su degli omicidi avvenuti lo scorso Natale, una famiglia che fugge dal Krampus e Babbo Natale alle prese con i suoi folletti tramutati in zombie! Bello, vero? Infatti, la parte di Santa Claus è la più figa di tutte, il resto del film ha alcune trovate interessanti ma non decolla più di tanto. William Shatner è utilizzato piuttosto male (forse se gli avessero dato un copione con più battute), le varie storie sono originali e accattivanti, tranne per la parte dei ragazzi nella scuola che utilizza un tema trito e ritrito. Il trucco del Krampus e la caratterizzazione di Santa Claus sono quelle che mantengono in vita l'interesse, il film di base però rischierebbe di finire nel dimenticatoio se non fosse per quel finale che cambia le carte in tavola. Si sarebbe potuto fare decisamente meglio, ma questo film è stata una bella rivelazione. Consigliato!

Ora, il piatto forte!

House / Hausu
House è il film di debutto di Nobuhiko Obayashi, regista sperimentale giapponese che realizza il capolavoro di una vita. La trama non è necessaria raccontarla, perché quasi fa di contorno e non è neanche interessante: sette ragazze vanno in una casa infestata dove appare un gatto e un fantasma. In realtà, c'è tutta una storia più articolata di così ma chi se ne frega, perché il film va visto per come è stato realizzato. Scene assurde, psichedelico su alcuni punti e trash in altri, lascia nello spettatore delle emozioni contrastanti. All'inizio sembra un film brutto, realizzato male e con delle scene che sfiorano - no, scusate - toccano il ridicolo... ma la cosa bella è che se pur arriva a toccare il fondo, risulta interessante per vedere cos'altro s'è inventato il regista! In venti minuti, il film è già follia pura, in un'ora e trenta il vostro cervello sarà fottuto completamente. Difficile davvero recensire questa pellicola, racchiude veramente troppi elementi, perché non è un film banale, tocca tematiche interessanti e nella narrazione ci sono frammenti di qualcosa di veramente più grosso di quel che sembra, il tutto contornato da una personalità forte, prorompente e diversa. Diversa in ogni campo, ma principalmente diversa per il panorama del cinema giapponese, strizzando l'occhio al cinema americano ma riuscendo a sua volta a diventare qualcosa di più. Tim Burton, quando parla di liberare la creatività deve chiudere la bocca perché è un signor nessuno, Obayashi è in confronto a lui un Dio e questo film ne è la prova vivente. L'intero film riesce a sembrare una continua sequenza onirica e addirittura in certe parti riesce a dare l'impressione di assistere a scene in dormiveglia - presente quando vi svegliate con la TV accesa e non capite esattamente cosa state guardando? Ecco, quella sensazione lì, solo che voi siete svegli e coscienti! Paragono questo film a due pellicole: la prima, è La Casa 2 per l'ambientazione, la storia e la follia da cazzeggio (è stato realizzato comunque prima). La seconda è Eraserhead per il semplice motivo che le emozioni che ho provato sono state molto simili, sebbene indirizzate verso direzioni differenti. Nel film di David Lynch, rimasi inquietato mentre con Obayashi ho riso tutto il tempo, però mi hanno dato entrambe la sensazione di vivere in un sogno, appunto. Poi, vorrei veramente aggiungere altro, ma credo che questo film vada visto per intero e poi giudicato. Scene memorabili: troppe. Voglio solo ricordarlo così:


Ricordate di tenere d'occhio quello scheletro, durante il film.

E dopo questa splendida recensione (scritta e non riletta, quindi non corretta!), Colazione da Bruno ritornerà l'anno prossimo con altre recensioni di film di merda! Un buon 2017 e... va beh, su vi regalo qualche altra perla da Hausu. Ciao!





domenica 11 dicembre 2016



Era il 2014 quando in questo blog rencesii i primi V/H/S, serie di film antologici che racchiudevano dei cortometraggi realizzati da registi emergenti. Ebbene, è il 2016 e ritorno qui a parlare di quel film, non nel complesso ma per il corto che, guarda caso, mi aveva affascinato di più: Amateur Night, che narrava di quattro amici alle prese con un addio al celibato che portate in camera delle escort, una di esse si rivela essere un demone succubus. SiREN è proprio Amateur Night, insomma e vede alla regia non David Bruckner (che comunque resta alla sceneggiatura) ma da un'altra conoscenza della serie V/H/S, Gregg Bishop, che nel terzo film aveva realizzato il corto Dante the Great, il mockumentary sul mago col mantello indemoniato, per intenderci. Insomma, con quest'accoppiata il film resta il giusto mix di quello che erano stati i due film, ma di questo ne parlerò tra le conclusioni!

SiREN, così come nel corto Amateur Night, ha come protagonisti quattro amici, tra cui Jonah che è prossimo al matrimonio, alle prese con un addio al celibato riuscito un po' male. Abbindolato da un tipo losco, il fratello di Jonah spinge tutti ad addentrarsi in una sorta di pub "mobile" (nel senso che non ha mai dimora fissa) e lì fanno la conoscenza di Mr. Nyx e del suo eccentrico club pseudo-satanico. Jonah, inoltre, fa la conoscenza di Lily, nome dato a questa ragazza - riconosicuta da Nyx e i suoi seguaci come "la Lilith" - che con le sue doti canore (come una sirena, appunto) riesce ad ammaliarlo al punto da farsi liberare. Peccato che Nyx l'avesse imprigionata per motivazioni più che giuste. Parte quindi così una caccia al demone succubus (perché quello resta, anche se lo spacciano come una sirena) mentre Jonah tenta la fuga: Lily, infatti, sembra averlo scelto come partner a vita.

Il film è un mix di sensazioni. Si presenta inizialmente come un b-movie, con scene demenziali, come per accattivarsi un pubblico di nicchia, poi però la fotografia e le riprese cambiano e diventa un film abbastanza mediocre, che più dell'essere accattivante non va oltre. L'attrice scelta per interpretare "la Lilith" è sempre Hannah Fierman, che sembra ritagliata apposta per quel ruolo... e per quel trucco! Resta quindi il fascino dell'estetica con cui è stata caratterizzata la demone, ma resta inspiegabile la connotazione da sirena affibbiatole. Per carità, la figura della sirena nella mitologia greca è anche facilmente ricollocabile alla figura del succubus, ma l'aspetto demoniaco e il canto ammaliante sono due qualità che si accostano proprio male, a mio parere, ma vabbè.


In definitiva.
Ritorniamo un attimo al concetto lasciato a metà in introduzione: con l'accoppiata Bruckner/Bishop si arriva al mix esatto di sensazioni che le pellicole presentate da loro in V/H/S e V/H/S: Viral hanno lasciato. Per Amateur Night mi salì il profondo interesse sia per la caratterizzazione del demone che per il mio amore non tanto velato proprio per il succubus, mentre in Dante the Great non ci ho visto assolutamente nulla oltre quell'aria mistica che, per quanto accattivante, restasse fine a sé stessa. Con questo mix, si raggiunge quindi un giudizio negativo: come già detto, il film parte come un b-movie e poi si discosta totalmente, per poi tornare su una vena più tragicomica per raggiungere lo stesso finale del corto da cui è stato estrapolato questo film. L'intero contesto, a livello di trama e introduzione del demone, è dovuto in quanto parliamo di un lungometraggio e non di un corto e, sostanzialmente, può starci ma le modalità di narrazione sono la vera falla di questo film. Una nota negativa anche al cast e alla caratterizzazione dei personaggi. Quest'ultima è a dir poco macchiettistica e anche se voluta, risulta più ridicola che divertente, mentre per la scelta di attori direi che nessuno spicca per doti recitative se non, appunto, l'attrice antagonista e questa soltanto per la sua "presenza scenica" in vesti di demone, insomma andiamo proprio bene. Di contro, ho visto numerose recensioni positive riguardo questo film, a dimostrazione che magari i gusti stavolta potrebbero far davvero la differenza; apprezzo l'horror come fan e ben venga l'ironia, ma ci sono casi e casi e, per me, qui non regge poi molto. Consigliato? Andateci cauti. Potrebbe risultarvi accattivante soltanto la caratterizzazione di Lilith e, secondo me, è l'unica motivazione valida per guardare questo film.



Pet



Nella mia continua ricerca di film horror, devo ammettere che raramente trovo qualcosa di veramente valido. Pet non si distingue certo da un film mediocre per qualità o originalità, ma è stata una piacevole sorpresa, la dimostrazione che - di tanto in tanto - qualche idea buona riesce a venir fuori. Il film, uscito nelle sale americane ad inizio dicembre e già rilasciato in versione digitale, vede alla regia Carles Torres, già conosciuto per il corto M for Mom presente in ABCs of Death 2.5 sulla sceneggiatura di Jeremy Slater (Fantastic 4 e la serie L'esorcista). Il cast vede la partecipazione di Ksenia Solo e Dominic Monaghan, conosciuto per il ruolo di Merry ne Il signore degli anelli, non di certo un cast di prima scelta ma, se non altro, nel complesso la produzione - a discapito di diversi titoli simil-indipendenti - è abbastanza buona.

A Love Story, è la tagline del film. No, non è un eufemismo, di base Pet è davvero una storia d'amore mascherata come un horror thriller psicologico. Il protagonista di questa storia è Seth, un ragazzo presumibilmente quasi trentenne che lavora in un canile come addetto alla manutenzione. Seth è una persona sola, vive in un appartamento in cui non gli è permesso neanche avere un cane e questo lo rende conscio della sua passività nei confronti della vita: ci sono cose che non può ottenere ed è d'accordo col lasciarsi scivolare tutto via. Questo fin quando non incontra Holly, ragazza che conosceva già ai tempi della scuola e che, in un primo momento ha una semplice cotta, poi diventa una vera e propria ossessione, al punto da spingerlo di creare una gabbia in uno stanzino nello scantinato del canile appositamente per lei. Seth, quindi, rapisce Holly ma la storia, da questo punto in poi, prende una piega inaspettata. Seth ha scoperto qualcosa di Holly e il suo obiettivo è quello di salvarla...

La frase che riassume il vero senso del film è citato nel diario di Holly: "L'amore è solo un etichetta per i nostri obblighi biologici", ma a mio parere lo si può racchiudere anche in una citazione dei Rammstein: "Amore, amore, tutti vogliono solo addomesticarti". Su questi due aspetti, il film contrappone due figure irrimediabilmente romantiche, due facce della stessa medaglia, ovvero due persone sole e incomprese, chi per un motivo chi per un altro. L'amore, tema centrale di questo film, è vissuto in una maniera romanticamente distorta; da un lato c'è chi desidera l'amore nella sua maniera più pura, dall'altro chi ricerca qualcosa che soddisfi i suoi bisogni biologici ritornando ugualmente, in entrambi i casi al desiderio di "addomesticare" e mantenere una posizione di potere in una relazione. Come si fa con i propri cani, insomma. La violenza, in questo caso, è la perfetta ricetta per tramutare una qualsiasi storia d'amore in un horror che non disprezza l'avventurarsi nei meandri della mente umana. Su questi presupposti, però, il film non raggiunge la mediocrità per degli evidenti difetti che vanno dal montaggio alla sceneggiatura. Passaggi da una scena all'altra sì intuitivi e che non appesantiscono la comprensione del film (che io ho trovato molto semplice da comprendere), però accumulati fanno un po' storcere il naso, mentre per quanto riguarda la sceneggiatura boccerei il finale un po' scontato e dei passaggi nella trama che, per causare il colpo di scena, sfocia nell'esagerazione più eclatante. Nulla che non sia coerente col resto del film, per carità, ma con qualche accortezza credo che Pet avrebbe potuto superare la mediocrità.

In definitiva.
Come detto introduzione, sono alla perenne ricerca di film horror che possano soddisfare il mio palato da appassionato di genere e devo dire che Pet è riuscito ad essere interessante al punto giusto, decisamente sopra la media di molte porcate che escono negli ultimi tempi. Se poi valutiamo il tutto rendendoci conto che il film è del 2016, tanto di cappello. Poi, oddio, Pet non si avvicina molto al genere horror se non per la violenza e la tematica Sindrome di Stoccolma + visione distorta e malata dell'amore, direi che come genere si avvicina molto più al thriller, ma tant'è. Ripeto, comunque, che per me resta un film che, sebbene mi abbia colpito positivamente, resta nella mediocrità per quegli evidenti difetti citati poc'anzi. Non bocciato perché per tematica e qualità resta una spanna sopra rispetto a molte altre produzioni. Consigliato sì, ma non per chi si aspetti il filmone.


venerdì 2 dicembre 2016



Quando parliamo di serie TV, non sono mai il più adatto a farlo.
L'avrò ribadito più di cento volte in questo blog, non sono tipo da serie TV - ne seguo alcune e raramente mi lascio trascinare in una visione per semplice curiosità. Questa volta è capitato con Crazyhead, una serie horror, chiaramente tendente alla commedia di nazionalità inglese. Insomma, per il sottoscritto si è presentata come una serie dai giusti prerequisiti, niente che mi potesse far gridare al capolavoro assoluto come accade in ogni puntata di Ash vs. Evil Dead (lì raggiungiamo livelli inarrivabili) però, ho pensato: serie inglese, da sei episodi, si può fare. In poche parole, mi sono lasciato trascinare, totalmente ignaro di cosa andasse infine a trattare.

Crazyhead, in sostanza, parla di due ragazze un po' sopra le righe: Amy e Raquel sono due ragazze che faticano ad integrarsi con le altre persone, Raquel in chiave più marcata, a causa di un dono particolare: sono in grado di vedere i demoni. Raquel, che rispetto ad Amy non riesce affatto a legare con le persone, una volta scoperto che la ragazza ha il suo stesso dono, inizia a frequentarla e, assieme a Jake (ragazzo a dir poco odioso innamorato di Amy) danno la caccia ai demoni. Il tutto, contornato dal classico cattivone demone che vuole portare un esercito sulla Terra e qualche "demone" (figurale e non) del passato travagliato di Raquel.

La serie si apre quindi con un esorcismo poco ortodosso, che va dalla consultazione del rito su internet a far la pipì sulla vittima, tanto per chiarire sin dal principio quali sono i toni che andranno ad accompagnarci per ben sei episodi. E devo dire la verità, convince parecchio. L'umorismo inglese, sempre irriverente e sopra le righe, è qualcosa che non si sa perché ma fa sempre effetto, tanto da riuscire a rendere carina e guardabile una serie che si muove in maniera un po' scontata e prevedibile. Esatto, perché se proprio dobbiamo dirla tutta, a parte la sigla, non ha nulla di particolare. Niente di nuovo, niente di mai visto. Lo zero assoluto della novità. Eppure, la comicità riesce a far sorridere. Ma qui abbassiamo un po' i toni, perché sebbene ci riesca non alza affatto la qualità dello show. Le attrici, a parer mio, sono sì brave ma mancano di qualcosa di caratteristico. La scelta di utilizzare dei volti differenti dai classici stereotipi "ci sta", non pensiamo alle classiche ragazze dai capelli sempre al proprio posto e super-truccate, Amy e Raquel escono fuori da ogni canone di bellezza stereotipata, sia per aspetto che per caratterizzazione, tuttavia nonostante ciò e la bravura indiscussa delle due, manca sempre quel tocco in più. Amy, interpretata da Cara Theobold, non enfatizza a dovere il suo personaggio, per tutto il tempo ha sempre la stessa medesima espressione con gli occhi spalancati. Susan Wokoma, alias Raquel, è già più calata nella parte ma ha zero carisma. Parlando di gusti personali, il suo ruolo è sì divertente, ma la sua presenza abbastanza irritante e "antipatica" a pelle. Lo stesso discorso si applica a Lewis Reeves (Jake) mentre per Arinze Kene (Tyler, il fratello di Raquel) il discorso è inesistente perché svolge un ruolo molto marginale. Nulla, nel cast, è degno di nota. Dei personaggi che interpretano degli archetipi ma che più di recitare due battute non sanno far trasparire emozioni o particolarità. Non è qualcosa che incide pesantemente sull'intera qualità della serie, però gli sottrae sicuramente molti punti.

In definitiva.
Non ho intenzione di bocciare completamente Crazyhead: resta una serie indiscutibilmente carina e divertente, adatta a spendere 40 minuti se proprio non si ha nulla da fare. Il ché non è poi tanto malaccio. Comprendo che, per il genere horror comedy, è sicuramente una bella sfida visto che al momento se la contende con due capolavori come Scream Queens e Ash vs. Evil Dead, quindi è un peccato che sia gettata nel mucchio. Ritengo che, difetti a parte (che potrebbero benissimo essere gettati nel discorso della soggettività) sia una serie non da buttare, sebbene - ancora - ritengo che di potenziale per farne una serie più che divertente ce ne sia ma è sfruttato male e l'idea di base non è neanche tanto nuova. Vedetelo se proprio non avete come passare il tempo.