Nel
2045, il pianeta Terra fu condannato. Il surriscaldamento globale aveva avuto
inizio, e la razza umana era ormai quasi vicina all’estinzione. Solo che l’uomo
questo non lo accettò. Le più grandi nazioni mondiali finanziarono uno studio
atto a modificare l’atmosfera terrestre, senza però curarsi dei danni che
avrebbero portato al pianeta. La razza umana, in men che non si dica, arrivò al
massimo potenziale quando effettivamente il loro piano riuscì. Si prosperava
una nuova era per l’umanità, ma qualcosa andò storto: la natura non si lascia
manipolare facilmente, e in breve tempo cominciarono ad avvenire terremoti continui, numerosi
continenti sparirono negli oceani, e in una decina d’anni la Terra divenne una landa
desolata fatta di ghiaccio. Durante quel lungo inverno, durato 100 anni, la
razza umana si decimò drasticamente, e i pochi rimasti si riunirono per formare
una nuova società. Furono radunati scienziati, pensatori, uomini di un certo
livello intellettivo, per far in modo di far fiorire nuovamente una nuova
civiltà, anche se furono costretti a una rapida regressione. Costruirono una
nuova città sulle fondamenta di una vecchia, ormai divorata dalla vegetazione.
Una volta trovata una sistemazione per quei pochi sopravvissuti, fecero la loro
comparsa delle strane bestie provenienti dai boschi vicini. Queste bestie
avevano fattezze umane miste ad animali di varie specie. Li chiamarono i
Bestiamorfi. Queste creature cominciarono a razziare la città e ad uccidere
numerose persone. Sopravvisse soltanto un bambino e la sua madre. Entrambi
scapparono da quell’inferno, e iniziarono a vagabondare. La donna protesse il
figlio fino alla sua morte, quando egli compì il 13esimo anno di età. Da quel
momento, il ragazzo riprese a vagare nelle lande deserte del mondo, combattendo
per la sopravvivenza contro il clima da lui avverso, e le bestie che ormai
sembravano essere la nuova specie dominante sul pianeta.
Ma
questa è soltanto una delle tante storie che circolano nel Nuovo Mondo.
Numerose
comunità sono nate dopo quella tremenda Apocalisse scatenatasi sul nostro
pianeta, ma molte di queste non esistono più, oppure sono soltanto leggende. Si
narra di una leggendaria Città d’Oro, la più grande delle Nuove Città mai
costruite, circondata da grandi mura per tenere fuori le creature infernali.
Questa città si dice che rifletta la rigogliosità della razza umana di un
tempo, dove la tecnologia non sia mai scomparsa, e il tenore di vita è alto
grazie ai campi messi su apposta per la popolazione. Ma, ahimè, forse si tratta
solo di una leggenda. E questo lo sa benissimo Wiglef, un giovane ragazzo
abitante di un piccolo villaggio protetto soltanto da una trentina di guardie,
e popolato da un centinaio di persone, la maggior parte tutte donne e deboli.
Wiglef è un appassionato di queste leggende, e ha passato tutta la sua vita a
studiare la storia della sua civiltà, recuperando vecchi libri da città in
rovina. È un ragazzo sveglio, non avrà un fisico da combattente, ma ha una
grande forza di volontà. Suo padre, è il regnante del suo villaggio, il quale
lo ha cresciuto da solo quando sua madre fu uccisa da un Bestiamorfo. Da
allora, il suo popolo si nasconde da queste creature nascondendosi in passaggi
sotterranei nascoste nelle loro abitazioni. Solo in pochi hanno il coraggio di
affrontare le creature, ma nessuno ne esce mai vivo. Wiglef ricorda come
Sadley, una delle guardie più forti e possenti, per difendere sua moglie provò
ad affrontare un Bestiamorfo armato di numerosi oggetti da taglio. Provò a
ferirlo in numerosi modi, ma la creatura non venne mai abbattuta. Sadley morì
smembrato, aperto in due come se fosse una lattina di alluminio. Wiglef
assistette la scena spiando dalla botola in cui era nascosto, prendendosi anche
un bello spavento perché la creatura lo vide, ma non riuscì a prenderlo. Da
quel momento, nessuno più del suo villaggio osò affrontare il Bestiamorfo.
Eppure passò soltanto un anno, e la bestia in questione, che aveva un aspetto a
dir poco spaventoso, con le fattezze di cervo, continuava a far visita al
villaggio regolarmente, spaventando la povera gente. Forse dovevano scappare da
lì, ma non avrebbero poi avuto altro posto dove andare. Wiglef propose al padre
di mettersi in viaggio verso la
Città d’Oro, che secondo lui era identificata come la vecchia
New York, ma egli rifiutò. Era troppo rischioso avventurarsi fuori dal
villaggio, e ormai era quasi del tutto sicuro che al mondo non era
sopravvissuto più nessuno. Era convinto che se non si era fatto vivo nessuno
per salvarli, allora non esistevano altri sopravvissuti. Secondo lui, una
probabile civiltà avanzata sarebbe stata in grado di sconfiggere i Bestiamorfi
e avrebbero cercato altre civiltà per offrire il loro aiuto. Se ciò non era
accaduto, non aveva motivo di credere che la Città d’Oro esistesse. Wiglef non era d’accordo,
e la sera stessa in cui litigò col padre, decise di prendere e partire alla
ricerca da solo. Ma durante il suo tentativo di fuga, fu scoperto dal padre che
tentò di riportarlo in casa, ma sfortuna volle che la bestia che faceva visita
ogni notte il suo villaggio era appostato nelle vicinanze. Il padre di Wiglef
lo mise in salvo, ma fu ucciso dalla creatura, che quella notte – non si sa
come o perché – sembrava avere più appetito del solito, e iniziò a stanare
tutte le persone nascoste nel villaggio, eliminandole una alla volta. C’era
qualcosa di strano, di solito i Bestiamorfi non erano così svegli e bravi nella
caccia. Si limitavano a smembrare le vittime, erano selvaggi. Ma quella notte,
la creatura sembrava essere più razionale che mai. Wiglef capì che il suo
momento era vicino, e tentò di scappare, ma fu abbrancato dalla bestia che gli
saltò addosso e lo immobilizzò. Prima che questi potesse lanciargli una zampata
per ucciderlo, Wiglef raccolse un pezzo di vetro infranto e lo conficcò
nell’occhio della creatura che si contorse per un singolo istante, il giusto
che bastò al ragazzo per sgattaiolare via e scappare. Ma stava solo scappando
dal suo destino, la creatura era più veloce di lui, e in men che non si dica lo
raggiunse, ma Wiglef non stava correndo a vuoto: si diresse verso un torrente,
e si gettò in acqua, dando per scontato che la creatura non sapesse nuotare. Fu
fortunato, era così. Wiglef venne trasportato dall’acqua, ma una brutta botta
in testa gli fece perdere conoscenza. L’acqua lo trascinò a riva, privo di
sensi, dove un grosso uomo lo raccolse, e lo medicò. Quando Wiglef si
risvegliò, si ritrovò davanti questo grosso uomo, alto più di 2 metri e con dei muscoli scolpiti. Aveva dei lunghi
capelli castani e una barba foltissima, sulla sua pelle c’erano numerose
cicatrici, chiari segni di lotta. Wiglef identificò in lui il bambino della
leggenda, colui che vagabondava nel Nuovo Mondo da solo. L’uomo ascoltava il
giovane interessato, ma non gli rivelò nulla. A dir la verità, neanche parlava,
e Wiglef capì subito che forse non sapeva farlo. Il ragazzo gli raccontò di
come la bestia avesse ucciso il suo villaggio e il suo stesso padre, e scoppiò
in lacrime. Forse l’uomo si sentì impietosito, e fece capire al ragazzo di portarlo
al villaggio, ma ormai Wiglef non sapeva più come tornare: chissà quanto
lontano la corrente lo avesse trasportato via! Subito dopo, gli venne in mente
di chiedergli se avesse mai sentito parlare della Città d’Oro. L’uomo non capì,
e quando Wiglef gli narrò la storia, l’uomo manifestò uno sguardo spaventato e
proferì una sola parola: Grendel. Che fosse stato quello il nome della Città?
Wiglef gli chiese di portarlo lì, ma l’uomo si rifiutò, e iniziò ad urlargli
contro e lo legò ad un albero, dopodiché si sedette accanto al fuoco, in
silenzio. Non capì proprio il perché di quel gesto, iniziò a pensare che forse
quell’uomo era fuori di testa. Però, il fatto che lui esistesse, dava a
dimostrare che la teoria del padre era sbagliata: esistevano altri sopravvissuti,
anche se il fatto di aver conosciuto quell’uomo non era poi di grande sollievo.
Wiglef perse i sensi dopo un po’, a causa del sonno, e si risvegliò la mattina
dopo sulla spalla dell’uomo, che ormai si stava incamminando verso un lungo
sentiero. Lo stava portando in un piccolo villaggio fatto di capanne
improvvisate con delle vecchie case in rovina. La gente lì attorno lo accolse
con calore, e gli offrì del cibo. Wiglef conobbe anche l’uomo più influente del
villaggio, che non amava definirsi re, anche se gli altri lo vedevano come
tale. Egli gli raccontò di come l’uomo che lo aveva portato in salvo fosse il
salvatore stesso di quel villaggio, quando questi scacciò via i Bestiamorfi
sconfiggendoli uno alla volta armato solo di spada. Raccontò anche di come
salvò il suo stesso figlio staccando la mascella ad una delle creature a mani
nude. Wiglef rimase sbalordito, e chiese
al re il suo nome. Egli gli rispose che non lo sapeva; si presentò a
loro una notte, ferito a morte, mentre pronunciava una sola parola: Grendel. Fu
così che decisero di attribuirgli il nome del guerriero che affrontò la
creature dallo stesso nome della leggenda: Beowulf. Wiglef disse che secondo
lui, Grendel era il nome della Città d’Oro, e parlò a lui della leggenda. Il re
disse che tutte quelle storie erano nate da menti deboli, e che in realtà non
esisteva alcuna Città d’Oro. Erano tutte menzogne, e proseguì con lo stesso
ragionamento del padre. L’uomo, che venne identificato come Beowulf, per la
prima volta parlò. La sua voce suonava come quella di un bambino che si
sforzava a parlare per la prima volta, e disse che Grendel esisteva. Grendel
era la causa di tutto ciò che stava accadendo nel mondo. Disse che era
pericoloso andarci, perché è da lì che provenivano le bestie. All’interno della
sala calò un silenzio tombale. Dopo aver battibeccato per un po’ sull’esistenza
o no della Città d’Oro, Wiglef si disse intenzionato ad andarci, e che nessuno
avrebbe potuto fermarlo. Nonostante provassero a dissuaderlo, il giovane non
ascoltò nessuno. Ormai aveva perso tutto, e niente e nessuno gli avrebbe
impedito di andarci da solo. Chiese a Beowulf di indicargli la strada, ma
l’uomo scosse la testa, e si offrì di accompagnarlo. Wiglef chiese il perché, e
lui rispose che da solo non avrebbe mai potuto entrare nella città. I due si
incamminarono, ci vollero mesi per arrivare alle porte di Grendel, e quando
finalmente arrivarono il giovane rimase sbalordito. Era davvero immensa, gli
ricordava quelle vecchie fotografie trovate sui libri che leggeva. L’umanità,
nel pieno del suo potenziale, era lì davanti ai suoi occhi. Come mai una
civiltà così avanzata aveva deciso di rimanere fuori dal mondo? Beowulf disse
al giovane di accamparsi, e che avrebbero provato ad entrare la notte stessa.
Wiglef chiese perché, non sarebbe bastato andare lì e farsi aprire? Beowulf
rispose di no, perché loro non accettavano gli stranieri, solo lui sarebbe
stato capace di entrare, ma non a quelle condizioni. Wiglef si stancò dell’aria
misteriosa del suo compagno di viaggio, e gli chiese di essere più preciso.
Beowulf accettò di raccontargli la sua storia, tant’è che erano lì era giusto
farglielo sapere. La storia era simile alla leggenda già narrata del bambino
messo in salvo dalla madre, solo che questa non morì lasciandolo solo. E non
lasciarono mai il villaggio. Sua madre era una delle poche scienziate rimaste
in vita dopo l’Apocalisse, nonché la figlia di colui che mise in atto proprio
il progetto per cambiare l’atmosfera terrestre; quando l’umanità iniziò a
decimarsi, iniziò a studiare un metodo per allungare la vita degli esseri
umani, rinforzandone il DNA, la resistenza e la struttura fisica. Purtroppo,
ciò non funzionò mai a dovere, e le vittime morivano dopo poco. Lei stessa,
alla fine, provò a sviluppare una formula tutta per sé partendo da un campione
del suo stesso sangue, e riuscì finalmente ad arrivare al risultato che tanto
sperava. Anche se ad un prezzo. La donna creò una sorta di siero del lupo
mannaro, aveva la capacità di trasformarsi quando il suo corpo iniziava a
riposare. In pratica, ogni talvolta che dormiva, ella si trasformava. Arrivò ad
uccidere i suoi compagni di lavoro, e ciò la portò alla pazzia. Tentò di
imparare a controllare la bestia, e non seppe come ma ci riuscì. Nel frattempo,
la gente della città continuava a invecchiare, tranne lei, e questo fu un
fattore importante per la sua ascesa: cominciò a fare in modo che la città
venisse costruita rigogliosa come un tempo. Creò i Bestiamorfi clonando il suo
stesso sangue per far sì che questi attaccassero la città per spaventare gli abitanti
e convincere loro di costruire quelle grosse mura attorno alla città. Così,
nacque la Città
d’Oro, rinominata come Grendel, dal nome della bestia mitologica che fu
sconfitta da Beowulf.
Wiglef
rimase impietrito dinnanzi a questa storia, e gli chiese perché mai se tutto
ciò fosse vero e Grendel una città pericolosa, lui avesse deciso comunque di
accompagnarlo anziché impedirglielo. Beowulf disse che in realtà aveva capito
che sarebbe stato impossibile fermarlo. Rivelò che a lui piacevano tantissimo
quelle storie, e desiderava che Wiglef narrasse l’ultima leggenda della caduta
di Grendel. Di come il guerriero arrivò ad uccidere la sua stessa madre per
salvare l’umanità. Wiglef rimase in silenzio. Gli chiese chi fosse lui, in
realtà, e Beowulf disse che era il figlio della stessa donna che aveva negato
la libertà a quel popolo solamente per seguire i suoi stupidi sogni di
“rinascita della razza umana”, condannando chi ne era all’esterno ad
un’esistenza di terrore. Ormai i figli di Grendel, le creature, i Bestiamorfi,
erano a migliaia e si stavano riproducendo, e a quanto pare stavano anche
iniziando ad evolvere. Per fermare tutto ciò avrebbero dovuto fermare la sua
stessa madre. Wiglef rimase impressionato; nonostante in realtà Beowulf fosse
un mostro modificato geneticamente, aveva a cuore le persone. Si chiedeva come
fosse possibile che neanche le altre creature potessero essere così. Ma il
tempo delle domande era finito, così come quello delle storie. Era calata la
notte, e Beowulf era pronto ad entrare tra le mura di Grendel!
Wiglef
rimase impressionato quando vide la mutazione di Beowulf, avvenuta di sua
spontanea volontà. Insieme, i due si recarono verso i cancelli, e con una forza
impressionante, Beowulf li squarciò, nonostante questi fossero chiaramente
fatti di un materiale indistruttibile. Quanta forza possedeva, questo Beowulf?
Wiglef rimase incantato, una volta dentro le mura di Grende. Vide una città
futuristica, forse anche più avanzata di come era la civiltà umana prima che
questa venisse cancellata. In città risuonava solo l’allarme che stava a
indicare l’intrusione tra le mura. Beowulf si fermò di scatto, qualcosa non
andava. Richiamò così l’attenzione di Wiglef, che ancora fissava meravigliato
quella magnifica struttura che era Grendel, intimandogli di nascondersi. Da un
altoparlante si udì una voce femminile, che si presentò come “La Madre di Grendel”. Quella
voce tanto calorosa quanto terrorizzante, salutò il proprio figlio dandogli il
bentornato. Molte cose erano cambiate durante la sua assenza, e aveva ormai
deciso che la razza umana ormai doveva passare allo stadio successivo. Aggiunse
che era un peccato che aveva spoilerato così il tutto, aveva intenzione di
allargare le mura di Grendel presto o tardi, mobilitando il suo esercito per
distruggere quel poco che rimaneva della razza umana, e prendere il controllo
del pianeta per costruire il Nuovo Mondo. Wiglef ascoltò il tutto terrorizzato,
e chiese a Beowulf cosa stesse accadendo. Le strade si riempirono di
Bestiamorfi, ma questa volta erano diversi: erano non solo dotati di speciali
armature, ma si ergevano in maniera eretta; erano chiaramente più evoluti. La Madre disse a Beowulf di
incamminarsi verso il palazzo reale, dove lo avrebbe accolto per parlare di
vecchie questioni di famiglia. E gli disse anche che sarebbe stata magnanima e
avrebbe lasciato in vita il suo amico umano. I due così furono scortati fino al
palazzo, dove si ritrovarono al cospetto della Madre, una donna bellissima,
vestita in una maniera insolitamente elegante. La Madre chiese a Beowulf di
manifestarsi nella sua forma umana, e quando questo lo fece lo abbracciò
calorosamente dicendogli che gli mancava il suo amato figlio. La Madre espose ai due il suo
progetto Grendel, la nuova razza che presto avrebbe ripopolato il pianeta. Il
suo sogno era quello di dominare il mondo, insieme al figlio, visto la loro
immortalità. La Madre
rivelò che aveva il perfetto controllo su ogni creatura, dentro e al di fuori
delle mura di Grendel, aveva con loro un contatto telepatico. Lo stesso
contatto che avrebbe potuto avere anche Beowulf, se solo non avesse deciso di
reprimere la bestie. Wiglef interruppe il discorso della Madre, dicendo che
tutto questo non aveva senso, e che ciò che aveva creato erano delle
aberrazioni genetiche che erano rivoltanti. La Madre disse che si aspettava tutta questa
cocciutaggine da parte degli umani; da sempre questi non erano stati grati del
fatto che avevano impedito l’estinzione della propria razza, manipolando
l’atmosfera. Quegli stessi pensatori che stavano costruendo la Nuova Civiltà erano interdetti,
e prediligevano un ritorno alle radici, come per abbracciare il Ciclo Naturale,
ma tutto ciò non aveva senso per lei. L’umanità era destinata a rifiorire, e
ciò poteva avvenire solo grazie a lei, che dal suo stesso sangue aveva permesso
la nascita dei Bestiamorfi, e con quel potere aveva ormai il potere di dominare
la Natura e
creare una società perfetta, immaginando anche di colonizzare altri pianeti.
Per Wiglef era chiaro che ormai la donna era uscita fuori di testa, ma a questa
affermazione, Beowulf si infuriò. La
Madre disse al giovane che niente poteva spegnere l’amore che
un figlio aveva per la propria madre. Ma Beowulf era interdetto, non approvava
per niente i suoi piani. Fu ordinato alle guardie di uccidere Wiglef, ma questi
ricordò a Beowulf del suo desiderio di far nascere una nuova leggenda. Furono
parole a vuoto, Wiglef si stava dirigendo verso morte certa, mentre Beowulf si
preparava a prender posto sul trono accanto a quello della madre.
Beowulf
andò nella camera dove una volta alloggiava, e aspettò il sorgere del sole. Una
volta giunto il mattino, la Madre lo chiamò per l’esecuzione di Wiglef. Il
ragazzo rimase inginocchiato di fronte alla donna, con lo sguardo rivolto verso
il basso. La Madre gli chiese se volesse prima pregare, ma il giovane non
sapeva nemmeno cosa fosse una preghiera. La donna sorrise e non perse tempo a
sottolineare quanto debole fossero gli umani, ormai anche incapaci di credere a
qualcosa di irrazionale come degli dèi. Ordinò quindi al figlio di ucciderlo,
dandogli l’appellativo di Grendel, ma lui si fermò. Gli disse che Grendel,
nella leggenda era il figlio di Caino, ed era una creatura infernale, la cui
malvagità era soltanto seconda a quella di sua Madre. La donna rimase
sbigottita, si complimentò per essere a conoscenza della vecchia leggenda di
Beowulf, poi gli disse di non badare a queste sottigliezze e di procedere con
l’esecuzione. Ribadì che preferiva il nome di Beowulf a quello di Grendel, ma
la Madre gli disse che era una creatura, non un guerriero o un eroe. Era suo
Figlio, e come tale gli spettava di diritto il trono. “Grendel” fece cenno di
sì con la testa, si trasformò nella creatura, e protese la zampa pronto ad
uccidere Wiglef, ma con un gesto veloce, anziché sgozzare il ragazzo, fece
fuori le due guardie alle sue spalle, sotto gli occhi sbigottiti della Madre.
La donna iniziò a inveire contro di lui, dicendogli che lo aveva profondamente
deluso. Si disse decisa ad uccidere lei stessa suo figlio, e si alzò in piedi,
ma Beowulf gli staccò entrambe le braccia lasciandola agonizzante a terra, in
un lago di sangue. Beowulf si girò verso Wiglef, e lo liberò scortandolo verso
i tunnel dalla quale riuscì a scappare da piccolo che portavano direttamente
fuori le mura di Grendel. Gli diede precise indicazioni di come ritornare al
villaggio, e di raccontare a loro cosa stesse accadendo, dicendo che Grendel
era stata spazzata via per sempre. Wiglef gli chiese il perché, e lui rispose
che c’era sempre bisogno di raccontare storie, per dare speranza ed aiutare gli
umani a lottare. In questo nuovo mondo mancavano nuove leggende, ed era giunto
il momento che lui stesso ne creasse una. Intimò a Wiglef di fuggire, e nel
frattempo si preparò ad attendere le guardie che stavano andando verso di lui,
facendogli scudo. Il giovane si recò nei sotterranei, mentre Beowulf uccideva
con facilità i Bestiamorfi, che anche senza l’influsso mentale della Madre, lo
attaccavano senza tregua. Wiglef, nel frattempo, procedeva verso l’uscita da
quel tunnel, ignaro che una delle bestie lo stesse seguendo. Lo spazio era
abbastanza angusto, e impediva i movimenti di entrambi, perciò la creatura non
aveva abbastanza mobilità vista la sua possente mole, e faceva fatica a
raggiungerlo, mentre Wiglef invece era chiaramente avvantaggiato, ma nonostante
ciò, la sua vita era comunque in pericolo. Nel frattempo, la lotta di Beowulf
continuava, le creature iniziarono a fare irruzione nel palazzo facendo enormi
balzi direttamente dalle strade sfondando le finestre. L’intera città di
Grendel era contro di lui, che fu costretto a nascondersi nella sala della
Madre. Le creature lo seguirono fin lì dentro, ma si fermarono d’improvviso:
ignaro di cosa stesse accadendo alle sue spalle, Beowulf doveva affrontare
qualcosa di ben peggiore che l’orda di Bestiamorfi. La Madre si rialzò in piedi,
aumentò la sua stazza e si trasformò in una creatura enorme, alta 5 metri e più
spaventoso di qualsiasi bestiamorfo. Le sue fattezze non ricordavano nessun
animale in particolare, era qualcosa di veramente strano e mai visto; aveva
delle enormi corna che ricordavano quelle del diavolo, e un corpo peloso come
quello della Bestia. Le sue braccia, allo stesso tempo, ricrebbero. Beowulf era
spacciato, ma ciò non lo avrebbe fermato, anche se si trattava di sua madre,
Beowulf era intenzionato ad ucciderla. Wiglef, nel frattempo, quasi raggiunse
l’uscita, e la creatura alle sue spalle, ormai spazientito iniziò a distruggere
le mura causandosi da solo numerose ferite. Wiglef si prese un bello spavento,
ormai la creatura era vicina, e lui era ad un passo dall’uscita. Una volta
sgattaiolato fuori, poco prima che la zampa della bestia raggiungesse la sua
gamba, si girò e vide il Bestiamorfo dimenarsi tra le macerie che poco a poco
gli cadevano addosso. Wiglef tirò un respiro di sollievo era ormai fuori dalle
mura, ma anziché scappare via subito, approfittò di uno scorcio tra le macerie
per vedere cosa stesse accadendo all’interno delle mura. Beowulf e la Madre si
davano battaglia senza pietà, con Beowulf che era in chiaro svantaggio verso
l’enorme creatura. Wiglef provò ad avvicinarsi ma una delle creature si
avvicinò allo scorcio e il ragazzo decise di darsela a gambe levate. Nel
frattempo, la battaglia infuriava, e la città di Grendel veniva poco a poco
fatta a pezzi. I boati di distruzioni giungevano fin nel bosco, rimbombando
nella desolazione di questo, e Wiglef ormai nemmeno si interessò di guardarsi
indietro, voleva solo mettersi in salvo. A Grendel, la Madre era una furia e
aveva ormai ridotto in fin di vita il figlio, nel frattempo tornato alla sua
forma umana, infilzandolo con un corno. Sollevò la carcassa del figlio con lo
stesso facendolo penzolare, con il sangue che sgorgava sul suo viso, lanciando
delle enormi urla. Le altre creature attorno, si mostrarono stranamente
impietrite. Erano terrorizzate, e la Madre le osservava ridendo. Lasciò cadere
il corpo esanime del figlio, e si guardò attorno, e intimò alle bestie di
inginocchiarsi a lei. Lo fecero, ma con esitazione, e uno sguardo palesemente
terrorizzato. La Madre si lasciò andare in una risata, dando le spalle a
Beowulf, che nel frattempo raccolse le sue ultime energie e trafisse con
entrambe le braccia la Madre da una parte all’altra, e la squarciò in due
dall’interno, sotto lo sguardo impaurito delle altre creature. La Madre non
fece nemmeno in tempo di esalare un ultimo respiro, morì all’istante. Beowulf ,
ancora nella sua forma umana e lanciò un ultimo sguardo alle creature. Si
trascinò verso le porte di Grendel, si inginocchiò, e si accasciò a terra,
morente. I Bestiamorfi accerchiarono la sua carcassa, quasi come segno di
rispetto, mentre nel frattempo Wiglef proseguì la sua corsa verso il villaggio
senza guardarsi indietro.
Si
fece notte, e il giovane si accampò per riprendere le forze. Mentre era davanti
al fuoco, cibandosi di ciò che aveva raccolto, notò che una delle creature si
avvicinò a lui. Una parte di Wiglef voleva essere terrorizzato, ma nemmeno
provò a difendersi. Osservò la bestia girargli attorno con fare minaccioso, si
sedette accanto a lui e passò parecchi minuti ad osservarlo. Dopodiché se ne
andò, lasciandolo in vita.
Qualche
mese dopo, Wiglef fece ritorno da solo al suo villaggio. Raccontò agli altri
cosa fosse successo. Non sapendo cosa raccontare, visto che non seppe mai che
fine fece Beowulf, disse che lui ormai era lì a regnare le creature, e che fin
quando ci fosse stato lui a proteggerli, non avrebbero dovuto più temere le
bestie. Fu grazie a quella leggenda, che l’umanità seppe rialzarsi tendando di
far rifiorire da capo una nuova civiltà. Certo, col tempo vennero fuori altre
nuove storie, addirittura anche più leggendarie, ma tutto ciò era simbolico.
Beowulf, o Grendel, qualunque sia il suo vero nome, morì per far in modo che
accadesse proprio ciò che stava accadendo. Non si seppe mai cosa accadde
veramente a Grendel. Si sa solo che la Città d’Oro venne spazzata via del
tutto, e le creature a poco a poco sparirono, e l’umanità riprese a fiorire
come un tempo.